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A New York con i cuochi italiani

18/05/2016

A New York con i cuochi italiani
Massimo Carbone è arrivato a New York nel 1985 da Rimini, attratto dal fascino della Grande Mela e, da qui, non è più andato via. Certo, i viaggi in Italia non mancano ma è qui che ha costruito la sua vita professionale e la sua reputazione che ora lo vede a capo, oltre che tra i fondatori, dell’Associazione Cuochi Italiani di New York, AICNY.
Nata nel 2015 con lo scopo, come recita lo statuto, “di rappresentare sul territorio di New York coloro che si dedicano all'attività culinaria professionale, creando occasioni di incontro e dibattito su problemi della categoria, favorendo una migliore conoscenza e cooperazione tra tutti i soggetti che operano nel settore. Promuovere, autonomamente e in collaborazione con altri enti, tutte le iniziative che contribuiscono alla conoscenza e alla diffusione della cultura gastronomica dell'Italia e in particolare dei prodotti della ristorazione”, l’associazione conta già 160 iscritti.
“Un buon numero – esordisce Massimo Carbone – se consideriamo che i cuochi italiani attivi a New York sono poco più di duecento. L’idea è piaciuta subito per il suo principio base: incontrarsi, confrontarsi, diventare punto di riferimento per chiunque intenda promuovere il made in Italy”.
Abbiamo incontrato Massimo Carbone al termine del suo show cooking a LSDM, la tappa newyorchese delle Strade della Mozzarella, presso lo Store Agnelli USA: “Una bell’esempio di come deve funzionare un network. Abbiamo accolto volentieri l’invito, perché questo è il format più identificativo del mangiare italiano e poterlo promuovere direttamente qui è un ottimo risultato”.
Ma quanti sono i ristoranti che fanno cucina italiana a New York?
“Che mettono la bandierina tricolore sul menu sono circa 1.150. Che fanno autenticità molti meno. Anche per questo abbiamo voluto identificarci con l’associazione”.
Come si fa a rafforzare la conoscenza del sapore autentico italiano?
“Il consumatore americano è molto cambiato in questi anni ed è aumentata la conoscenza, pertanto il mercato stesso comincia a diversificare. Per parte nostra stiamo lavorando ad un progetto di selezione e certificazione dei prodotti per agevolare le aziende italiane del food”.
In cosa consiste?
“In un disciplinare che ci siamo dati, dove una commissione di chef da me presieduta, approva il prodotto e autorizza l’azienda ad apporre in etichetta il marchio Approved by AICNY”.
Avete altri progetti di sviluppo?
“Il nostro obiettivo è restare indipendenti, estendendo il network. E’ ormai prossimo il lancio dell’Associazione Cuochi Italiani USA, con le diverse delegazioni sparse negli states”.
Massimo Carbone oggi svolge un ruolo di consulente per gruppi di ristorazione e catene alberghiere e gli abbiamo chiesto di delineare un concept per identificare un ristorante italiano.
“Quando entri deve esserci la sfoglina che tira la pasta a mano per dare l’idea del fatto in casa che connota la cucina italiana. Poi deve esserci sempre l’effetto sorpresa nel menu: pochi piatti ma che cambiano spesso, attingendo all’enorme patrimonio di ricette che vantiamo. Infine gli arredi che devono esaltare la bravura dei nostri artigiani”.
Idee chiare e tanta voglia di affermare lo stile di vita italiano e un appello: “C’è bisogno di cuochi, che abbiano voglia di dimostrare che la nostra cucina ha il primato di migliore del mondo e va difeso. Qui c’è spazio per chi vuole provarci” conclude Massimo Carbone.

Luigi Franchi
luigifranchi@salaecucina.it
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