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Al ristorante, in hotel

15/10/2024

Al ristorante, in hotel

foto di copertina Francesco De Marco


Uscire a cena e recarsi in un ristorante situato all’interno di un hotel. All’estero è una consuetudine, in Italia un’abitudine che si sta affermando da qualche anno e suggerisce ottime prospettive.

La cucina d’albergo sta vivendo un’evoluzione costante grazie alla sinergia tra gruppi alberghieri di alto livello e chef affermati che, insieme, propongono a una clientela sempre più vasta, internazionale o locale, ospitalità di classe, cucina raffinata e in perfetto equilibrio tra lusso e qualità, accoglienza e tradizioni gastronomiche eccellenti. 

Si dibatte molto su questo tema – ristorazione in hotel – e sono molte le voci che si alzano a favore e gli esempi illuminanti. Se un tempo, in Italia, infatti, i ristoranti degli alberghi erano considerati un puro servizio aggiuntivo agli ospiti residenti e non offrivano un’accoglienza all’altezza delle stelle dell’hotel, tante o poche che fossero, oggi il panorama è molto cambiato.

Potremmo dire, in effetti, che anche l’Italia inizia a uscire da quel provincialismo folkloristico che ha spesso contraddistinto la sua offerta turistica e culinaria per abbracciare uno stile, benché adattato al carattere del territorio, più internazionale e glamour.

Le ragioni di questa evoluzione positiva sono innumerevoli, potremmo sintetizzarle in: 

  • ringiovanimento del settore, nuove leve di cuochi e manager d’hotel che aspirano ad attribuire un’impronta di modernità alla concezione di ospitalità; 
  • un pubblico più consapevole e aperto, alla ricerca di esperienze culturalmente evolute;
  • l’evoluzione di un mestiere, quello dell’accoglienza, che pone le sue basi su organizzazione, metodo e professionalità, su una progettualità studiata nell’espressione e nell’esecuzione;
  • ultimo, ma non meno importante, la sicurezza economica offerta da un gruppo di proprietà rispetto all’imprenditorialità familiare in un’epoca complessa e densa di incertezze come quella che stiamo vivendo, ricca certamente di risorse intellettuali ma limitata, forse, di quelle materiali.

Un’Italia variegata, un unico intento: la soddisfazione del cliente

Il ristorante in hotel sembra essere, dunque, un terreno fertile per i cuochi che possono in tale contesto dimostrare le proprie capacità e crescere professionalmente. Sono molte le realtà che offrono uno scenario positivo e propositivo. Ne è convinto Antonio Guida, due stelle Michelin al Seta all’interno del Mandarin Oriental di Milano: “Prima la gente non cenava in albergo, oggi è tutto cambiato e per l’hotel il ristorante è un plus. Possiamo lavorare con la clientela esterna come sull’ospite interno ed è terreno fertile di crescita, anche personale. Lavorare in un ristorante d’hotel è molto formativo per un cuoco, è un’esperienza che consiglio a tutti i giovani che si affacciano al mestiere perché facendo tanti numeri, dovendo soddisfare situazioni diverse si impara a gestirle, dalla colazione al room service, dal bistrot al ristorante. Gli ospiti, in un hotel di alto livello come il Mandarin Oriental sono molto esigenti”. 

Italiani o stranieri, e molti milanesi, conferma chef Guida, che in una città come Milano, viva e attenta, amano sempre più l’alta ristorazione e la premiano. “Il segreto è essere sempre a disposizione per soddisfare ogni richiesta, accontentare ogni desiderio” afferma chef Guida. Impegnativo? Certo. Un banco di prova per i migliori.

“Il lavoro in un ristorante di hotel è stimolante – dichiara Emanuele Scarello, chef dell’unico due stelle della Croazia, Agli amici Rovinj, situato nel Grand park hotel Maistra e il ristorante Agli amici dopolavoro, all’interno del JW Marriott Venice Resort & Spa sull’Isola delle Rose  – è un lavoro meticoloso. Si fa parte di un gruppo e occorre essere concreti, applicare controlli accurati per la salute dell’azienda. Questo va a scapito del folklore, forse, ma a vantaggio del business. Il futuro del fine dining passa anche da questo perché ci sarà sempre l’alta ristorazione, che resta un punto di riferimento, così come ci sarà sempre la trattoria, da cui nasce la storia della ristorazione. Per questo abbiamo studiato un format in cui ogni ospite viene accolto come se fosse in famiglia, con calore e intensità. Questo concilia ogni esigenza e determina il successo dell’attività. In albergo come a casa, perché dobbiamo essere grati alle persone che entrano dalla nostra porta, potrebbero andare altrove”.

da sin Antonio Guida, Emanuele Scarello, Guido Paternolloda sin Antonio Guida, Emanuele Scarello, Guido Paternollo

Conferma la tendenza Guido Paternollo, chef del ristorante Pellico 3 presso il 5 stelle lusso Park Hyatt di Milano. “Prima di entrare in hotel, dopo un periodo di lavoro molto formativo in Francia presso il Plaza Athenée – afferma chef Paternollo – ho valutato attentamente l’alternativa se aprire un mio ristorante e poi ho scelto l’opportunità dell’hotel e ne sono contento. Innanzi tutto si impara moltissimo, poi la stabilità offerta da una compagnia assicura una sostenibilità economica che si traduce in efficienza e formazione. Il ristorante è un’azienda sotto tutti gli aspetti, la gestione è fondamentale: la responsabilità di dover rendere conto da un lato e la sicurezza di essere sostenuti dall’altro favoriscono l’espressività e incitano la crescita”. Il risultato, dunque, si manifesta in miglioramento dell’offerta e, dunque, in successo. Al Park Hyatt si è formata una squadra giovane molto affiatata. Ne è un esempio la collaborazione ideale tra Guido Paternollo e il suo Pastry Chef Alessio Gallelli, una nuova generazione di professionisti dell’accoglienza che sta reggendo egregiamente l’eredità lasciata dal resident chef precedente, Andrea Aprea. La svolta, quel tocco che ha incentivato la frequentazione del ristorante da parte, soprattutto, dei milanesi che, vivendo in una città che tanto ha da offrire devono essere stupiti per essere conquistati, è stato il lavoro fatto “su Milano” in quanto identità, spiegano Paternollo e Gallelli: “La gente vuole tornare all’essenza, alla concretezza della cucina. Dove avremmo potuto giocare se non sulle tecniche della cucina milanese? Così accanto alla proposta che comprende grandi classici del territorio e piatti che strizzano l’occhio all’internazionalità abbiamo creato un menù dedicato alla nostra città, nel quale è possibile vivere un percorso che, dall’antipasto al dolce, tocca i ricordi della tradizione milanese. Si inizia col carpaccio per passare al risotto giallo, poi la cotoletta. Infine, il dessert studiato per ricreare il gusto del panettone con una millefoglie”. E il pubblico ha apprezzato, non solo i milanesi ma gli stranieri. Perché va bene il fine dining, ben venga la creatività, ma quando la cucina va troppo oltre il classicismo rischia di non essere compresa.

È un percorso simile a quello avviato, in un contesto differente, da Matthias Kirchler, alla guida della cucina dell’Hotel Das Majestic, 4 stelle Superior a Riscone in Val Pusteria. 
“Abbiamo sempre praticato, nel nostro ristorante gourmet, una cucina di stampo internazionale – racconta chef Kirchler – basata su prodotti eccellenti da tutto il mondo. A un certo punto ci siamo resi conto che i nostri ospiti cercavano soprattutto l’identità del luogo e oggi facciamo cucina del territorio. Utilizziamo le erbe selvatiche, i funghi, specialità a Km 0, dalle nostre Alpi. Usiamo il pesce, ma solo quello locale d’acqua dolce; facciamo fermentazioni ma non di stile orientale, usando l’orzo al posto della soia; le carni sono del posto, i formaggi vengono dal caseificio sociale. Grazie al supporto della proprietà, la famiglia Feichter, e a tutto il team dell’Hotel Das Majestic, i nostri ospiti possono assaporare i gusti e i sapori della Val Pusteria in un una chiave moderna, che ne rispetta ed esalta i valori gastronomici.”
Una cucina stagionale e dinamica al servizio dell’ospite, perché, afferma Matthias Kirchler: “Tutti debbano avere la possibilità di vivere un’esperienza gastronomica che racconti il territorio senza filtri”.

Dalla colazione al dessert
Fare colazione in hotel per chi non vi risiede è una delle nuove abitudini che stanno conquistando il pubblico. Del resto, la colazione è sempre stata uno dei momenti più piacevoli e divertenti quando si pernotta in albergo. Ci si concede quei piaceri che a casa o semplicemente al bar, non sono contemplati dalla consuetudine.
“Per i clienti esterni del Mandarin è diventata un appuntamento piacevole - afferma Antonio Guida – siamo perfettamente attrezzati ad accogliere l’ospite, qualcuno viene ogni giorno perché trova cura e attenzione. La nostra squadra è giovane, poco formale e il calore che dimostra è apprezzato”.
Il piacere di gustare specialità insolite, poi, può fare la differenza, come “riso e latte” la chicca che Alessio Gallelli propone ai suoi ospiti a colazione al park Hyatt: l’evoluzione creativa di un piatto semplice e casalingo che può sostituire il classico porridge e, facendo rivivere i ricordi dell’infanzia, dà energia.

Matthias KirchlerMatthias Kirchler

Sono progetti che nascono dalla consapevolezza che la pasticceria, al ristorante, deve seguire un concetto diverso da quello che regola la pasticceria da laboratorio, seppure essendone parte integrante. Lo spiega chiaramente Enrico Pozzobon, pastry chef al Quellenhof Luxury Resort Passeier a Merano (BZ) dove, sotto la guida dello Chef Michael Myer, ha affinato le sue competenze in pasticceria lavorando in un contesto di alta cucina e dove coordina le attività dello staff: “Il dolce arriva alla fine del pasto, è il piatto che il cliente ricorderà. Per questo è importante mettere molta cura nella creazione del predessert che deve pulire la bocca dalla sapidità e dal grasso, deve avere aromi tenui. Mi piace abbinare, per esempio, il limone o lo yuzu con il dragoncello, e organizzare l’acidità utilizzando la frutta stagionale, fresca o secca, e ogni materia prima del territorio che abbiamo a disposizione. Non è semplice, quando si progetta un nuovo dessert ci si confronta e si lavora in gruppo. Alla base c’è la consapevolezza che per creare un dessert bisogna uscire dal concetto di pasticceria, bisogna andare oltre e raggiungere l’equilibrio corretto, solo un po’ più spinto: nocciola e tartufo bianco, mela e rosmarino, marmellata e aceto balsamico, sapori dolci e note amare, note aromatiche. La pasticceria in hotel è un’esperienza unica”.

Enrico PozzobonEnrico Pozzobon

Concorda Alessio Gallelli: “La pasticceria da ristorazione è diversa da quella di laboratorio pur essendo parte integrante. In Italia, il dessert al ristorante è spesso sottovalutato, il cliente vi rinuncia in favore di altri piatti. Il nostro compito, come pastry chef, è quello di invogliare il pubblico fino a non poterne fare a meno”. Fondamentale l’intesa con lo chef, il lavoro continuo di confronto per creare un percorso che soddisfi l’ospite fino al dolce. Uno dei metodi vincenti, secondo Alessio, è usare la frutta ed elaborarla in modo da creare una cucina dolce, usare un vegetale ricreando e riportando alla mente il ricordo del suo sapore e, intorno a questo concetto, creare il dessert. 

Alessio GallelliAlessio Gallelli
“Il Park Hyatt è in centro a Milano – spiega Gallelli – non possiamo basarci su produzioni agricole locali e quindi il ruolo del pastry chef è quello di utilizzare un prodotto medio/buono e riuscire ad esaltarlo tanto da renderlo degno dell’alto livello della cucina. È un metodo che funziona. L’importante è avere un pensiero, un’organizzazione, mentale e del lavoro, efficiente; fare in modo che il cliente, quando ritorna, ritrovi le stesse sensazioni che l’avevano appagato la volta precedente e stabilire un legame tra la cucina e la pasticceria con basi semplici elaborate in chiave moderna: creare armonia”. 
a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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