Le radici del passato che si trasformano nella visione del presente, un sogno antico che si appropria del linguaggio moderno per offrire una rappresentazione dell’accoglienza, completa e avvolgente, in cui l’ospite si senta a casa, appagato.
Alberto Bettini, patron della
Trattoria Da Amerigo 1934, fondatore e segretario dell’Associazione
Premiate Trattorie Italiane, ha portato a
Oltre i Gesti la testimonianza di un mondo speciale, quello degli osti di un tempo, delle locande di campagna, e ha raccontato la sua esperienza da quando, bambino, udiva il nonno sotto casa fare il vino e sentiva i profumi inebrianti dell’uva. Alberto Bettini è un trattore, ma il suo locale non è lo stesso di quei tempi in cui gli ospiti erano gente rustica alla ricerca di un piatto semplice, di un bicchiere di vino e una partita a carte.
La Trattoria Da Amerigo 1934 è l’erede di un mondo, l’evoluzione di un modo di vivere. “Credo che un cuoco – ha detto Bettini – non debba solo inventare piatti fini a se stessi ma debba appropriarsi di una gestione coerente che racconti una vallata, i suoi prodotti e produttori, e che ne tragga , dove può, una redditività”.
Ecco che Bettini, nel raccogliere l’eredità dei nonni, della mamma e della zia che ancora oggi tirano la sfoglia a mano nella cucina dell’Amerigo, ci propone una formula innovativa che unisce la tradizione e la modernità. Tradizione nel recupero delle antiche ricette, nei prodotti locali meticolosamente selezionati che ne elevano la qualità, nel rispetto assoluto della stagionalità; innovazione nella trasformazione di queste ricette in nuovi classici, e in un concetto di ospitalità unico e senza paragoni.
“Ho creato un habitat personale e riconoscibile – spiega Alberto Bettini – dove esistono regole non regole, dove la sala è informale, alternativa, vissuta con disinvoltura. Ho orientato il servizio verso un’apertura completa al territorio, verso il racconto di una storia, la realtà di un luogo ideale”. Il riconoscimento arriva e si chiama stella Michelin, racconta Bettini: “La stella è stata una benedizione, se prima eravamo fuori da ogni circuito, oggi arrivano clienti da tutto il mondo. E se all’inizio restavano stupiti perché si aspettavano un luogo più formale, oggi apprezzano la spontaneità dell’accoglienza, le mie regole/non regole come quella di aprire le bottiglie di vino al banco e mai al tavolo dove servo personalmente in calice, come lasciar entrare il cliente in cucina come a casa, come il divieto di mettere il Parmigiano in tavola per evitare che qualcuno possa rovinare il gusto del piatto aggiungendone a caso. Ma i miei clienti sono come me, o forse sono io che sono come loro, e chi apprezza ritorna. Abbiamo una nostra identità e ci piace mantenerla nel cibo, nell’atteggiamento, nell’atmosfera, nel servizio”.
Marina Caccialanza