La ristorazione è un comparto fragilissimo. Questa è la verità che il Covid-19 ha fatto emergere in modo chiaro. Un comparto che ha tanti attori, molto diversi tra loro, ma accomunati da un dato: due mesi di chiusura sono il limite massimo di resistenza e, se non ci fosse stata la cassa integrazione in deroga o la possibilità di praticare delivery, quei due mesi si sarebbero ulteriormente ridotti.
Di questa fragilità e del modo per risolverla, però, non si è mai parlato (o non abbastanza) nei mesi precedenti, nell’altra vita (direbbe qualcuno), quando parlare di cibo e di ristorazione era molto di moda.
Scrivere oggi di ristorazione impone, prima di ogni altra considerazione, prendere atto di alcune cose, oltre alla fragilità; raccontare seriamente di come essa stia reagendo a questa maledizione chiamata Covid-19; spiegare come molti ristoratori hanno affrontato la riapertura; capire che il turismo internazionale è la ricchezza vera per l’Italia e per la ristorazione, quindi occorrerà molta pazienza ancora per tornare ai livelli di solo pochi mesi fa e questo tempo dovrà essere utilizzato non per piangersi addosso, ma per apportare quelle migliorie che renderanno la ristorazione italiana un settore che da fragile può diventare davvero competitivo.
Partiamo dalla prima di queste riflessioni. La reazione e le riaperture. Le due cose viaggiano spesso di pari passo perché, anche in questo caso, nei mesi del lockdown si sono sviluppate due situazioni contrapposte: da una parte il gridare, il lamentarsi, le manifestazioni di piazza con le consegne delle chiavi dei ristoranti ai sindaci delle città e dall’altra, una buona parte, forse la maggioranza, di ristoratori silenti, che lavoravano con il delivery per sopravvivere e, soprattutto, per svolgere un servizio per i loro clienti e i loro territori, che pensavano a come migliorare l’offerta alla riapertura, che mantenevano i contatti con i loro clienti, per sapere come stavano, per offrire loro qualche idea di cucina.
Questa dicotomia si è evidenziata, in modo quasi netto, al momento della riapertura, che ha visto i ristoratori silenti e riflessivi aprire quasi subito, pur con tutte le preoccupazioni del momento, con il desiderio di offrire un luogo molto sicuro agli ospiti, perché era giusto farlo. Gli altri che dicevano: meglio non aprire, non c’è chiarezza, non ci sono i turisti e quindi non guadagno nulla nel farlo.
Bene, sappiate cari ristoratori, che non c’è peggior cosa che non considerare il proprio cliente. Questa è una regola basilare per chiunque svolga un’attività commerciale: la soddisfazione del cliente prima di tutto!
Siamo stati in parecchi ristoranti in queste prime due settimane e la sensazione, a parte la mascherina sul viso di chi accoglie e del personale in cucina, è che non sia cambiato nulla, se non in meglio. Possiamo davvero dire che il ristorante è uno dei posti più sicuri in questo momento, se anche gli ospiti fanno la loro parte e, anche questo, avviene nella stragrande maggioranza dei casi.
Il ristoratore, forse perché era insito anche prima, da sempre, nel suo ruolo, applica con rigore tutte le semplici regole che gli sono state indicate; pulizia degli ambienti, cura delle persone e degli alimenti, cura di sé stessi e del personale., distanziamento dei tavoli (che, in molti casi già c’era e che, in altri, rende ancor più bello un locale).
Sapere questo favorisce un ritorno più rapido, fa superare le paure, unico e principale motivo per cui le persone non frequentano ancora con il ritmo di prima i locali. Non sono i pochi soldi e non sono gli aumenti di prezzo al ristorante (anche questa è una fake-news in molti casi).
Si è parlato molto, troppo, si è urlato senza essere ascoltati anche perché i problemi, in quel momento, erano altri e molto più gravi (si moriva come mosche fino a qualche giorno fa). Ora deve vincere il buon senso, da tutte le parti, e questo buon senso ci fa dire: ritorniamo al ristorante per vivere, come sempre, un paio d’ore di piacere. Forse, questa volta, è indispensabile per reagire al dolore che ha coinvolto tutti in questi mesi!
Infine, la pazienza! Ce ne vorrà davvero tanta perché il turismo non sarà in testa ai pensieri delle persone in questi mesi e, se ci sarà, riguarderà un turismo interno, fatto di vacanze brevi perché molti giorni di ferie se ne sono andati nelle prime settimane di lockdown. Questa pazienza, cari ristoratori, possa diventare la vostra forza; fatene un uso intelligente, applicatela a rendere il vostro locale ancor più accogliente con pochi accorgimenti (insonorizzazione, ridipingendone le pareti, cambiando i colori della mise en place) se ancora non ne avete avuto il tempo. Rafforzando la conoscenza dei vostri collaboratori, perché magari non ancora dispiegata completamente e, senza saperlo, avete dei fenomeni in casa. Soprattutto digitalizzando i vostri servizi: questo è il settore dove il ritardo, rispetto ad altri paesi, è ancora troppo elevato ed è un ritardo che, se non colmato rapidamente, non renderà voi e l’Italia competitivi e contemporanei.