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Alla Corte dell’Oca il fegato grasso coi fichi secchi, senza alimentazione forzata

06/12/2024

Alla Corte dell’Oca il fegato grasso coi fichi secchi, senza alimentazione forzata

La Corte dell’Oca di Mortara (PV) corrisponde alla boccaccesca contrada di Bengodi, un luogo d’accoglienza d’altri tempi, con le porte sempre aperte. Gioachino Palestro è un cerimoniere pronto ad accogliere i visitatori e a farli mettere a tavola per degustazioni anche improvvisate dei suoi salumi d’oca, sempre condite dai suoi racconti e da una vena ironica («Ci farà mica male?») che rimanda al ragazzino disperazione di sua madre ai tempi in cui di nascosto andava a rane, a nuotare nei fiumi e a bere l’acqua fresca dei fontanili. 

La Lomellina, terra di “mare a quadretti” dove le risaie s’alternano a pioppeti e campi coltivati, vede le quattro stagioni scandite dalla coltivazione del riso, piantato in primavera e, superata la parentesi estiva, regala il cambio dei colori autunnali quando le spighe cominciano a piegare perché il riso è quasi maturo, mentre d’inverno la nebbia spesso è un invito a lasciar perdere la macchina per ritrovare il tempo lento di andare a fare quattro passi sospesi nel silenzio bianco. 

Alla Corte dell’Oca il fegato grasso coi fichi secchi, senza alimentazione forzata
Gioachino PalestroGioachino Palestro

Ora, immaginate quando la Corte di Gioachino ospitava cene con Giacomo Bologna, Luigi Veronelli, Gianni Mura, Giorgio Grai, Cesare Giaccone, fiumi di parole che confluivano in un mare di idee mentre le bottiglie vuote venivano messe per terra per far posto sul tavolo ad altre bottiglie. 

Lui ha fatto il macellaio fino alla fine degli anni Settanta, poi la fortuna di conoscere Giacomo Bologna, il vignaiolo che reinventò la Barbera, che lo spinge a ridare nuova vita all’antica tradizione dell’oca, fino a battezzargli “Corte dell’Oca” il nuovo immobile acquistato per trasferirvi la propria azienda. Poi trova supporto in un bravissimo veterinario locale, al viturinari dottor Pietro Cervio, che considera un suo secondo padre. Con lui nasce l’idea del fegato grasso “Ficatum”, dal termine latino iecur ficatum, fegato (ingrassato) coi fichi. Plinio il Vecchio attribuisce al gastronomo romano Marco Gavio Apicio l’invenzione di cibare oche e maiali con fichi secchi per ingrossarne il fegato.

Gioachino ricorda ridacchiando sornione che Riccardo Riccardi, conte di Santa Maria di Mongrando, quand’era capo ufficio stampa della Martini e Rossi, diceva che gli “smutandati” (sanscoulottes) francesi dovevano mettersi il cuore in pace perché sono venuti a conoscenza del fegato grasso d’oca, e di molte altre cose di cucina, grazie a Caterina de’ Medici.

Sempre grazie a Giacomo Bologna nasce l’amicizia con Luigi Veronelli, e poi con padre Eligio, che all’epoca gestiva la comunità per tossicodipendenti nell’antico castello di Cozzo di Lomellina. Quando comincia a lavorare l’oca la tradizione sembrava estinta, nonostante una sagra che ogni anno cercava di riproporre quei prodotti.

Fegato grassoFegato grasso

Lui si butta a capofitto nel progetto, scoprendo ad esempio che Davide Rolandino, all’esposizione universale di Parigi nel 1913 vinse la medaglia d’oro con il suo “sausisson d’oie” di Mortara. Raccoglie antiche ricette e fa propri i versi seicenteschi di Alessandro Tassoni nella Secchia rapita: E il giorno di Ognissanti al dì nascente / ognun partì de la campagna rasa / e tornò lieto a mangiar l’oca a casa.

Rilancia gli allevamenti in Lomellina, una terra dove l’oca si allevava fin dall’anno Mille, mentre la lavorazione dell’oca da parte delle comunità ebraiche arriva quando Ludovico il Moro autorizza gli ebrei a insediarsi a Mortara per preparare il loro salame kasher.

Palestro prepara il salame di oca in purezza, che il professor Corrado Barberis volle battezzare come “Ecumenico”. Sui prodotti kasher e sulle tecniche di macellazione si è confrontato con Rav Arbib, rabbino capo di Milano, e Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, perché loro vogliono il dissanguamento dell’animale vivo mentre lui dubita che l’animale non ne soffra e le sue compulsioni facciano “prendere febbre” alla carne, così come dubita del fatto che con quella tecnica si depurino completamente dal sangue le carni dell’animale. Per loro il sangue è un elemento impuro. Lui ricorda invece che un tempo col sangue d’oca si facevano le frittelle impastandolo con pangrattato, spezie, pepe bianco, buccia di limone grattugiata e poi lo si metteva a cucchiaiate a friggere in padella.

I paperotti di oca bianca di razza Romagnola glieli fornisce l’azienda agricola Bartolotti di Alfonsine (RA) www.aziendabartolotti.it/ mentre sono diverse le aziende agricole della zona che allevano le oche per lui. Nella Corte dell’oca gli animali arrivano già macellati.  Lì vengono sporzionati e inizia la lavorazione. Ogni anno lavorano tra le cinque e le 6000 oche che da vive arrivano a pesare sui 6 - 6,5 chili

Fra i tratti distintivi della sua produzione, quello più forte è dato dal rifiuto di praticare il gavage, l’alimentazione forzata che è alla base di uno dei prodotti più famosi della cucina francese il foie gras. Fin dall’inizio lui adotta un altro metodo, facendo affidamento sul fatto che l’oca è ingorda per natura. Così le fa alimentare con una miscela di mais, fichi e erba per arrivare poi ai soli fichi secchi. Quando è stagione e i fichi sono maturi, ne mangiano per quanti gliene metti. Il suo fegato grasso “Ficatum” è la prova evidente di quanto abbia avuto ragione.

Ma l’oca non vale per il solo fegato, perché alla Corte si produce il salame di Mortara, misto oca maiale, l’Ecumenico che è una rarità prodotta da fine ottobre a metà gennaio, esclusivamente con carne magra di oca, non macinata o “battuta” ma lamata a coltello, insaccata a mano nella pelle del collo d’oca unitamente ad aromi naturali, sale e pepe e poi fatta stagionare per circa cinque o sei mesi. Questa particolare lavorazione cessa a metà gennaio, perché in quel periodo i riproduttori vanno in amore e cominciano ad avere qualche linea di febbre e la carne perde di qualità. Buona parte della produzione di Ecumenico viene acquistata dalle comunità ebraiche di tutt’Italia, specie in vista della settimana di Pesach, la Pasqua ebraica che ricorda la liberazione del popolo ebraico dall'Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa.

Nella loro linea Kasher, prodotta con lavorazione separata controllata dal rabbino, ci sono il prosciuttino, il petto, il doppio petto stagionato, i ciccioli d’oca.

Poi ci sono prodotti che rivisitano e reinventano una certa tradizione locale come la galantina, le mortadelline di fegato, il marbré, i ciccioli d’oca pressati, il salame cotto tradizionale di Mortara, il “Salam d’la duja d’oca” fatto maturare nello strutto all’interno di olle in terracotta, tutti con carne d’oca mischiata con quella di maiale. 

Salame crudo dSalame crudo d'oca
Ciccioli, ciccioli pressati e vari salumi dCiccioli, ciccioli pressati e vari salumi d'oca
Il MarbréIl Marbré

Un ultimo prodotto va tenuto in alta considerazione: il grasso d’oca ricavato dalla fusione del “panno” che ricopre lo stomaco dell’animale, sciolto a bassa temperatura e successivamente filtrato e conservato in vasi di vetro da 1 chilo. Con un punto di fumo intorno ai 300° è ottimo per la frittura, le patate fritte col grasso d’oca sono indimenticabili, ma viene usato anche per la preparazione dei biscotti “Pavarin”, dal nome dialettale delle ochette appena nate, dove il burro è completamente sostituito dal grasso che dà a questa pasta frolla una fragranza unica e al tempo stesso leggera e gustosa.

Lo spaccio di Gioachino è sempre aperto, bussate e una degustazione non vi verrà mai negata. Sarà un’esperienza indimenticabile. 

Il grasso dIl grasso d'oca
Lo spaccio della Corte dellLo spaccio della Corte dell'Oca

Corte dell’oca

Di Gioachino Palestro
www.cortedelloca.com
info@cortedelloca.com

 

Via Francesco Sforza, 27
27036 Mortara PV

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