Per conquistare uno dei titoli in palio a Young Chef Olympiad è necessario superare un iter rigido: nella prima fase i piatti (tre per l’esattezza) realizzati dai partecipanti vengono valutati per composizione, cromie ed estetica, equilibrio nutrizionale… insomma verranno analizzati in parametri non solo legati alla tecnica di cucina.
Inoltre, la preparazione di uno di questi, quello vegetariano, è vincolata da parametri più stringenti tra cui il ventaglio di ingredienti: la commissione ne mette a disposizione 50, ma solo quattro sono locali (ovvero italiani).
La seconda fase, quella a cui accedono i dieci migliori della prima, sarà focalizzata su due preparazioni classiche: la Saint Honoré e un consommè. In questo caso la valutazione da parte della giuria sarà prettamente tecnica.
“La mia preparazione per le olimpiadi è iniziata più di tre mesi fa, sotto la guida del mio mentor Ivano Pintonato. Mi sto sottoponendo ad allenamenti serrati, perché la sfida è abbastanza accesa e la giuria è pretenziosa. Valuteranno il nostro metodo di lavoro in cucina a distanza, avvalendosi di quattro telecamere fisse e due mobili, ma ci saranno anche tre giudici italiani scelti in presenza, per la valutazione sensoriale diretta del piatto. Lavorare a distanza non è semplice, anzi, sicuramente competitività e concentrazione sono messe a dura prova, ma manterrò la calma. Temo, tra tutti, la Cina e il Giappone: hanno delle culture culinarie peculiari e tutte le carte in regola per svolgere un ottimo lavoro”.
Un grande in bocca al lupo a Jessica e all’Italia dei giovani in cucina.
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