Le anguille sono a rischio di estinzione e oggi è sparito quasi il 90% delle specie che resistono praticamente solo negli allevamenti. Le principali cause sono la pesca, la perdita di habitat e la scarsità di acque pulite in cui nuotare. Ma le anguille non sono le sole a rischio. Anche altri pesci di fiume come la lampreda padana e di ruscello, lo storione cobice, la trota e tante altre 50 specie che vivono nelle nostre acque dolci hanno le stesse problematiche. L’unica specie fuori pericolo è il Cavedano, un pesce resistente agli inquinamenti e capace di nuotare in acque corrotte da scarichi industriali. Il problema dell’anguilla è che riesce a riprodursi soltanto in mare e per arrivarci deve nuotare per migliaia di km, fino al mare dei Sargassi, nell’Atlantico. Il viaggio, negli ultimi anni è diventato molto rischioso a causa delle acque cosiddette eutrofiche dovute agli scarichi industriali.
Nelle Valli di Comacchio, da sempre luogo d’elezione dell’anguilla, questi pesci, una volta entrati non affrontano più il mare aperto e quindi, a loro volta, si estinguono.
I progetti per fermarne l’estinzione sia a livello europeo, sia regionale, non mancano, ma è anche necessario contenere la pesca selvaggia di questa specie, sia allo stadio adulto sia giovane. Carlo Petrini, che già dal 2003 con Slow Food ha creato il presidio dell’anguilla delle Valli di Comacchio, sollecita il ritorno ai consumi secondo la tradizione di un tempo.
Quando cioè le anguille si pescavano e si consumavano d’inverno, dopo che si erano riprodotte.