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Antonella Iandolo: “Cuoca, che bella parola!!!”

24/04/2012

Antonella Iandolo: “Cuoca, che bella parola!!!”
“Il posto delle rose selvatiche” potrebbe essere il titolo di un film. E forse, in qualche modo, lo è, e di quelli a lieto fine. Antonella Iandolo è chef, sceriffa e supercheffa come qualcuno l’ha definita: per noi è una Signora con la S maiuscola, colta e non saccente, rassicurante e non casalinga, carnale e non approssimata. Tale e quale alla sua cucina. La raggiungiamo al telefono la seconda volta in due mesi e, ancora, ci fa venire voglia di prendere la macchina e macinare seicento chilometri per mangiare insieme, promessa questa che, senza troppa fatica, ci strappa alla fine della nostra lunga conversazione. L’avevamo lasciata “in vacanza”, conclusa troppo presto l’esperienza da solista alla Scuderia di San Michele, dopo essere stata la regina della cucina alla Maschera di Avellino, ma impegnatissima nelle consulenze, in un programma radiofonico e ancor più dedicata “alle sue contadine”, incontri irrinunciabili per imparare sempre qualcosa in più sulla materia. La ritroviamo poco dopo il suo debutto, a Pasqua, come cuoca del ristorante “Il posto delle rose selvatiche”, una baita immersa nel verde alle pendici di Montevergine nel comune di Summonte, attorno la quale crescono rigogliosi cespugli di rose canine, appunto.
Cos’è successo? “Ho scoperto che il paradiso è qui. Ero alla ricerca del mio posto, sapevo che c’era da qualche parte un disegno giusto per me, e ho capito, poco alla volta, che era questo.” Il locale, che domina il Parco Regionale del Partenio, è gestito dai coniugi Aldo e Michela Genovese, architetto lui e insegnate lei, e nasce come maneggio di cavalli per assecondare una loro passione. La stessa, per i casi della vita, di Antonella.
I Genovese hanno ricavato un rifugio con sei posti letto e soffitti a vetro che regalano la sensazione di dormire “sotto una coperta di stelle”. La stessa filosofia ha generato gli spazi del ristorante, dome dominano il calore del legno e la luminosità che filtra delle ampie vetrate.  “Qui sto cercando di portare il mio vissuto: la sala potrebbe tenere fino a ottanta coperti, oltre lo spazio esterno con vista mozzafiato, ma cerchiamo di stare entro le quaranta-cinquanta persone: loro possono rilassarsi e godere a fondo del luogo e io posso esprimermi al meglio”: la cucina di Antonella non è replicabile per troppi numeri, non è fatta per affluenze esagerate, altrimenti diventerebbe altro. Ce lo spiega benissimo lei stessa: “Vado al mercato, cerco, trovo, e quando torno, compongo. I miei piatti nascono perché vado a fare la spesa: è la mia fonte di ispirazione, se mi mancasse sarebbe la fine. Quando cucino è come se avessi davanti una tavolozza di colori, è un piacere, non è studiato, ma istinto. E alla fine il piatto viene bene, senza prove. In fondo, se uno dipinge non è che prima fa la prova!” Eccola qui, Antonella Iandolo: cuoca dalla nascita senza saperlo, allieva inconsapevole della nonna, una vita come maestra elementare precaria e la successiva illuminazione, come qualche volta succede ai più fortunati, che la porta a capire il segreto della felicità, quello che ti fa sorridere quando parli di qualsiasi cosa: capire cosa desideri davvero e trovare il coraggio di farlo.
Mentre parliamo con lei, Antonella sta scrivendo il menu e ne condivide alcuni passaggi con noi: “Strudel di ortaggi con salsa di fagioli tondini di Caposele, mousse di cavolfiore e caciocavallo podolico croccante per antipasto; di primo invece vi propongo il Timpano, si tratta di paccheri ripieni di ricotta di podolica al basilico con ragù avellinese, che si distingue dal napoletano perché fatto, oltre che con le tracchie e la braciola, con la cotica, la salsiccia, pecorino, prezzemolo e aglio.” Immancabili le zuppe, suo fiore all’occhiello, come quella di cicerchie di Frigento con tortino di scarole e baccalà oppure di lenticchie rosse con borragine spontanea e pomodorini del Vesuvio caramellati. Lo stracotto di vitello al vino Taurasi con julienne di verza cruda ci da un’idea dei secondi, e l’Annurchina riassume tutta l’attenzione per una cucina sana, genuina e con pochi grassi: è una piccola torta di mele annurche calde servita con una crema alla cannella, preparata senza zucchero, burro e addensanti. Questa è anche una delle ricette che Antonella Iandolo presenta nelle scuole della provincia di Avellino dove, insieme ad una biologa e ad una nutrizionista, ha da poco iniziato un progetto sulla corretta alimentazione nell’infanzia per combattere le cattive abitudini e l’obesità.
Chef, creativa, artista, insegnante, esperta della materia prima, perfezionista della spesa: chi è davvero Antonella Iandolo? La risposta, con una risata cristallina, strizza l’occhio a Totò. “Cuoca, che bella parola!!!”

www.antonellaiandolo.blogspot.com

Alessandra Locatelli
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