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Antonello Magistà: lavorare in una sala di ristorante è molto bello

04/10/2022

Antonello Magistà: lavorare in una sala di ristorante è molto bello

 

Sono molti gli elementi che giocano a favore del ristorante Pashà di Conversano, ai margini di quella Valle d’Itria che cela gioielli architettonici e paesaggi magnifici: la posizione in un palazzo del Quattrocento un tempo Seminario Vescovile; il giardino in cui si cena in estate; la cucina di uno chef, Antonio Zaccardi, che brilla per inventiva e concretezza; il ricordo, mai dimenticato, della cucina di mamma Maria che, probabilmente, ritornerà sotto forma di originalissimo bistrot in altro luogo della città.

Ma su tutti questi elementi domina la figura, raffinata, informale, elegantissima, di Antonello Magistà: un patron che fa della sala del Pashà una delle più intriganti che abbia avuto modo di conoscere, grazie ad un personale giovane, colto, entusiasta di lavorare proprio lì, con Antonello. In tempi così difficili è stata un’autentica sorpresa!

 

L’intervista ad Antonello Magistà
Come è andata la stagione estiva? In molti hanno parlato di una Puglia in difficoltà ma, almeno in questa zona, non mi è parso?

“Per noi, che abbiamo pochi coperti, è andata molto bene rispetto agli ultimi anni. La differenza forse è stata che, mentre prima eravamo sempre in over-booking, quest’anno abbiamo riempito tutte le sere ma senza quell’effetto. Anche le strutture ricettive, con le quali collaboriamo, erano piene. In pratica c’è stata, è vero, meno gente ma la qualità del turismo si è elevata. Con una fetta di questo turismo, circa la metà, che arriva da paesi stranieri”.

Antonello Magistà: lavorare in una sala di ristorante è molto bello

Con il personale avete avuto anche voi dei problemi?

“Per la verità no! Anche se il fenomeno è stato evidente come mai prima e questo deve stimolare riflessioni profonde sul settore. Molti sono i fattori che stanno minando alla base il nostro comparto: la scelta di una diversa qualità della vita che si è evidenziata dopo la pandemia; un reddito di cittadinanza che colpisce le parti meno nobili di questa professione; una cultura del lavoro che si sta perdendo; una scuola che è considerata ancora di ripiego per soggetti sociali inadeguati e questa tendenza va assolutamente invertita. Mentre per la cucina non ci sono problemi a trovare personale, in sala paghiamo il prezzo di un andamento delle iscrizioni all’alberghiero assolutamente sproporzionato che riduce i candidati. Eppure lavorare in una sala di ristorante è molto bello, me lo dico ogni giorno ma forse sono troppo innamorato del mio lavoro per non capire il perché non viene intrapreso. Eppure qui al Pashà la sala è un concentrato di giovani, dinamici, belli, motivati che fanno la fortuna del mio ristorante”.

 

Quali sono le soluzioni, secondo te?

“Intanto togliere quella patina di scuola di serie C che hanno gli istituti alberghieri. Poi intervenire, subito, sui programmi ministeriali che definire anacronistici è un complimento. Ma ciò che è più necessario nell’immediato è un avvicinamento tra scuola e mondo del lavoro. Chiamare noi professionisti a raccontare il nostro mondo avrebbe l’effetto immediato di affascinare di più i ragazzi piuttosto che insegnare che si serve da destra e non da sinistra. Vedere da vicino, dal vero, come si lavora oggi in sala permetterebbe ai ragazzi di uscire da scuola con una preparazione adeguata e idonea al mondo del lavoro che li aspetta. In questo anche i genitori devono fare la loro parte, alimentando le passioni dei ragazzi, portandoli a cena qualche volta in posti dove possano vedere altri giovani intenti a far star bene le persone. In questo modo, forse, non sarebbero necessarie scuole post-diploma, di solito abbastanza care economicamente, per dare dignità alla figura del cameriere. Non dico che non siano necessarie, dico però che cinque anni di alberghiero fatti bene ridurrebbero l’ingresso nel mondo del lavoro e darebbero una maggiore autonomia ai ragazzi, anziché tenerli in casa dei genitori fino all’età adulta”.

Antonello Magistà: lavorare in una sala di ristorante è molto bello

La riduzione dei tavoli dettata dalla pandemia ha determinato anche una riduzione di personale che non è più tornato?

“Per noi no, perché non mi andava bene sottrarre personale di sala e tenere solo quelli bravi: La pandemia ci ha, anzi, permesso di lavorare di più sulla formazione per affrontare ciò che sarebbe successo dopo, anche se nessuno di noi sapeva come sarebbe stato. Vedi, ogni ristorante ha un’impostazione e un’anima diversa. La capacità dei ristoratori, dei proprietari, è riuscire a spiegare quest’anima e la bravura dei collaboratori sta nella disponibilità a capirla. La formazione vera è sul campo, non è solo teorica, proprio perché siamo infinite realtà diverse l’una dalle altre. La soddisfazione degli ospiti la avvertiamo quando la brigata è stabile, quando tra loro si conoscono, con i loro pregi e i loro difetti e risolvono tutto prima di entrare in scena. Non è facile ottenere tutto questo. Da parte mia posso solo impegnarmi a farli stare bene, come orari, come programmi, come trasparenza nelle azioni, e lo faccio con il cuore. Ai ragazzi chiedo una propensione alle relazioni e un adattamento a lavorare insieme.

 

Non chiedi curriculum pieni di posti dove hanno lavorato, quindi?

“Quelli preferisco non guardarli nemmeno. Nel tipo di società in cui viviamo la cosa che mi interessa di più sono i valori umani delle persone e la loro cultura generale. Solo dopo viene la capacità tecnica, perché quella capacità devo essere io a dargliela, sempre perché ogni ristorante è a sé stante. Oggi sono necessarie persone con cultura e sensibilità. Questo serve anche a dare maggiore dignità alla professione. E una cosa non deve mai esserci: subordinazione psicologica e reverenzialità”.

Antonello Magistà: lavorare in una sala di ristorante è molto bello

Qual è il rapporto tra sala e cucina?

“Questa è una nota dolente. Da sempre chi arriva in cucina proviene da percorsi differenti che formano in un determinato modo: l’attenzione alla precisione, una certa maniacalità che non giova nelle relazioni in generale. Chi fa servizio di sala è l’esatto opposto: allenato al problem-solving; capacità di interloquire con una pluralità di persone che li rende più aperti al dialogo e a minimizzare i problemi per quello che sono. In sala le negazioni vanno ridotte ai minimi termini per dare valore all’ospitalità. La soluzione ideale sarebbe quella di far fare un po’ di sala ai cuochi e viceversa ma è difficile”.

 

L’eleganza è indispensabile in sala, tu che lo sei in maniera naturale?

“Ti sei dato la risposta. L’eleganza ha diverse sfaccettature e ognuno deve star bene con sé stesso, nel luogo in cui è. Da noi i ragazzi sono sicuramente eleganti ma in maniera assolutamente informale, adatta a loro, perché le forzature sono percepite subito dagli ospiti e questo non aiuta nell’obiettivo di farli star bene”.


Pashà
Via Morgantini 2, 70014
Conversano BA
www.ristorantepasha.com

 

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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