L’olio è come il vino, diverso ma uguale. Diverso, perché nel primo caso abbiamo a che fare con una bevanda, nell’altro con un alimento. E c’è grande differenza anche nel proporre qualcosa da bere rispetto a qualcosa che va mangiato e gustato insieme con altri ingredienti e non in solitaria. Non c’è la stessa immediatezza e il medesimo approccio.
L’olio tuttavia è uguale al vino perché ogni anno arriva la nuova produzione e c’è tanta curiosità. Si parla di vendemmia, quando si ha a che fare con il vino, e di olivagione, invece, con l’olio ricavato dalle olive.
Ci sembra tutto chiaro, eppure non si colgono ancora tutte le opportunità che l’olio extra vergine di oliva appena franto offre al ristoratore. Mentre per il vino esiste (seppure non si sia ancora affermato del tutto) il vino novello, posto ben in evidenza sui tavoli, l’olio al contrario sembra quasi un soprammobile, collocato a caso qualora servisse all’occorrenza. L’errore sta qui, nel non dare la giusta collocazione e un ruolo di primo piano.
Se c’è una differenza sostanziale tra vino e olio sul termine “novello”, questa va intanto chiarita. Il vino novello è frutto di una complessa elaborazione e si produce infatti con una tecnica, la macerazione carbonica, diversa rispetto alla classica produzione del vino, e come tale resta appunto un prodotto diverso. La Francia ha saputo creare una solida tendenza di consumo con il Beaujolais nouveau.
Ma il vino novello ha vita breve, a differenza del vino nuovo, che invece è destinato a invecchiare, avendo ben altra struttura. Il vino novello va consumato subito, e in questo somiglia molto all’olio novello.
L’olio appena franto va consumato infatti entro pochi giorni - qualche settimana, non di più - perché non essendo filtrato dopo un po’ si notano i sedimenti sul fondo della bottiglia, con le particelle d’acqua e il velo dei frammenti residui di buccia dell’oliva.
Non è uno spettacolo bello da vedersi, ma, soprattutto, quel fondo di residui è fonte di inquinamento per l’olio, in quanto contribuisce alla sua ossidazione, con esiti sensoriali sgradevoli. Ecco allora la necessità di gestire l’olio novello in tempi ristretti, beneficiando di tutta la sua immediatezza e bontà tipica dell’olio appena franto.
Nei frantoi c’è la consuetudine, oltre che di annusarlo e gustarlo in purezza (una quantità esigue, appena un sorso di 10-12 ml, giusto per valutarne la qualità estratta) di assaporarlo sul pane, il più delle volte anche sul pane caldo, perché si amplificano le sensazioni e si apprezza nel contempo la croccantezza del pane posato sulla piastra calda.
Una vera bontà. Anche i ristoranti possono fare altrettanto, quale saluto di benvenuto nei confronti dell’ospite in attesa che legga il menu e scelga cosa ordinare. Sarebbe una iniziativa perfetta, lodevole, perché premia il lavoro di chi l’olio lo ha prodotto e suscita nel contempo curiosità. L’olio novello esprime, su chi lo prova, il fascino della novità, perché ci fa capire come si presenta la nuova olivagione. È quasi un rito. Anzi, deve diventare un vero e proprio rito, destinato a essere celebrato ogni anno. Per questo è necessario che ci sia la volontà e l’impegno da parte del ristoratore. Può diventare l’occasione per organizzare cene speciali. Quanto alla differenza tra vino e olio novello, questa è sostanziale.
L’olio è un succo di oliva estratto tal quale e il processo produttivo è il medesimo di ogni olio, ma mentre l’olio novello (o nuovo) si consuma subito, l’olio destinato a essere consumato nel corso dei mesi successivi viene lasciato tranquillo a sedimentare e, attraverso il processo di filtrazione, viene pulito da ogni particella residua in sospensione, ottenendo così un prodotto durevole, più stabile, in grado di mantenere a lungo l’integrità delle proprie caratteristiche sensoriali, nutrizionali e fisico-chimiche: una vera bontà.
Luigi Caricato