Non si sa da dove iniziare a raccontare questo progetto, sbocciato - e non v’è verbo più indicato - nel cuore del parco storico del Monte Sole a Marzabotto (BO), nel 2007, facendosi largo tra le maglie di un terreno fertile, circondato dalle colline, al di là del fiume Reno. Una terra che, molti ricorderanno, è legata all’eccidio nazifascista del 1944.
Lasciando la principale si penetra in una scena tutta nuova, naturale, quasi fiabesca, stretta tra curve, sali scendi e verde, finché non si raggiunge il civico 10 in località Ca’ de Co.
Per molti anni gli appezzamenti che costeggiano questa proprietà sono rimasti sospesi, ma silenziosamente attivi, perché adibiti a prati stabili.
“Sembravano fermi ma già celavano una vocazione viticola, spartita tra Albana, Barbera e vitigni autoctoni minori” ci appunta subito Danila Mongardi. A ricordare le buone attitudini di queste terre a Danila e al marito Gabriele Monti, i motti propulsori di questo progetto, sono stati gli abitanti della zona. Ma pure il nonno e il padre di Gabriele, che in questi pendii prestavano un servizio agricolo e di falegnameria.
La rinascita di un luogo
Facciamo un passo indietro, partendo proprio dalle origini.
“Un giorno ci ha contattati il proprietario terriero per cui la famiglia di Gabriele aveva lavorato. Ci chiedeva se eravamo intenzionati ad acquistare questo spazio. Non sapevamo cosa sarebbe nato ma ci siamo lasciati guidare, per sentimento e sensazioni, e abbiamo detto sì”.
Sono tante le particolarità che cercheremo di riportarvi in questo racconto ma c’è un’immagine che, più di ogni altra, descrive la forza che tiene eretto questo progetto. Non è uno scatto del fiume, come potrebbe suggerire il nome, ma la fotografia di un rudere decadente, in cui si distinguono sassi, travi in legno, e poco altro.
“Era così” ci conferma Danila. “Quando l’abbiamo preso c’era davvero poco, era tutto da costruire. L’abbiamo coltivato piano piano pensandolo come luogo di accoglienza, senza proiettarci in un’attività commerciale. Ora c’è l’osteria, al primo piano, gestita da Marzia e Simone, e sotto la nostra cantina, affiancata da un altro spazio di cui siamo molto fieri, gestito da mio figlio e amato dai giovani”.
Mattone e canapa, termoisolanti naturali, terra cruda e paglia; e poi legno, ferro, reperti agricoli reinventati, e delle particolarissime tinte alle pareti ottenute con un’antica tecnica romana, il coccio pesto: dentro alla struttura ci si sente in un mondo vivo, fatto di mani e tante, anzi tantissime, materie.
“Abbiamo coinvolto gli artigiani locali per edificarlo. Per noi doveva essere espressione di un territorio, di una comunità, e ogni cosa impiegata per la costruzione o per l’arredo doveva - e deve - avere un senso. La nostra scommessa è che chiunque entri in questo luogo possa cogliere un modo nuovo di fare le cose!” conferma Danila.