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Alessia Zucchi

13/04/2025

Alessia Zucchi

“Non possiamo accettare il fatto che si perda il gusto dei prodotti made in Italy. Dobbiamo tutelare e valorizzare quei gusti, sono il nostro vero e inimitabile patrimonio. Oggi è in atto una tendenza a un gusto standardizzato, questo segnerebbe la fine della nostra straordinaria biodiversità. Una biodiversità che non è solo dovuta alla naturalità delle materie prime ma anche allo studio, alla professionalità, al know how delle aziende italiane dell’agro-alimentare”.

Non è cominciata da queste affermazioni l’intervista con Alessia Zucchi, amministratore delegato dell’oleificio Zucchi, azienda che ha sulle spalle 215 anni di storia e di innovazione, ma quel concetto è basilare per capire quale deve essere il futuro del cibo nel nostro Paese.

 

Abbiamo incontrato Alessia Zucchi direttamente in azienda e, solamente osservando come tutto si muove secondo una logica molto precisa, abbiamo capito che qui c’è strategia, c’è la voglia costante di guardare avanti, ma lasciamo che sia proprio lei a raccontare.

 

Iniziamo parlando del comparto a cui si rivolge sala&cucina: quali sono le strategie di Oleificio Zucchi verso l’horeca?

“Il canale dei consumi fuori casa lo presidiamo da molto tempo. Risaliamo agli anni Sessanta del secolo scorso quando fu lanciato il nostro primo brand di canale: si chiamava Zeta e aveva una distribuzione nazionale. I primi contatti, essendo noi lombardi, avvennero nel bresciano ma, fin da subito, il mercato nazionale reagì bene alla nostra proposta e, anno dopo anno, siamo entrati in tutti i comparti del fuori casa, dalla crocieristica fino ai bar. È stata sicuramente quella la chiave del successo perché abbiamo sempre customizzato l’offerta per i singoli operatori professionali. La crocieristica, infatti, ha esigenze ben diverse rispetto a quelle di un distributore che serve i ristoranti, così come un bar ha bisogni diversi rispetto alla tavola di un ristorante d’albergo. Riuscire a personalizzare tutti questi aspetti ci consente, tuttora, di avere una posizione autorevole nel fuori casa. Soprattutto negli ultimi anni abbiamo lavorato tanto sulla cultura di prodotto e sulla formazione: solo nel 2024 sono state più di cento le occasioni di formazione e i risultati si vedono, grazie al nostro speciale team che si occupa del canale, con una presenza commerciale ma anche di marketing e di capacità di ascolto. Non ultimo il nostro orientamento all’innovazione: siamo orgogliosi di affermare, tra le altre cose, che siamo stati i primi a mettere in commercio il formato da 10 litri, molto più maneggevole nelle cucine professionali e comodo per la movimentazione anche da parte di mani femminili”.

Alessia Zucchi

La storia di Oleificio Zucchi è sempre stata coraggiosa: a cominciare dall’aver dato vita a un’azienda olearia in un territorio, la provincia di Cremona, dove non c’è una sola pianta di ulivo. Eppure ce l’avete fatta: oggi come viene visto l'Oleificio Zucchi dal mercato?

“Ci tengo a dire che quest’anno festeggiamo i 215 anni di storia del nostro oleificio. Una storia di cui siamo orgogliosi perché è una storia di famiglia che ha visto succedersi numerose generazioni ma tutte con un obiettivo che ha connotato ogni nostra azione: la trasparenza. Innanzitutto, noi nasciamo come azienda di olio di semi, questo va dentro con orgoglio, perché comunque costituiva una valida alternativa al burro.  Nel corso proprio dei decenni, dei secoli, primariamente spremevamo i semi, poi c’era tutta la parte di produzione dell'olio di semi. Mio padre aveva deciso di non entrare nel settore dell’olio d’oliva proprio perché, in quegli anni, non c’era la giusta trasparenza e lui non voleva problemi di nessun tipo. Solo con l’avvento di mio fratello Giovanni abbiamo iniziato a trattare l’extravergine di cui lui si era appassionato. Il progetto sull'extravergine nasce proprio da una passione e tutta l'azienda poi ha portato avanti il progetto, perché rientrava nelle linee di sviluppo dell’oleificio, ma ogni volta con la massima trasparenza del settore di cui siamo sempre stati promotori. Io ritengo, infatti, che l'unico modo sia raccontare il settore per quello che è, senza la narrazione romantica, ma andando a valorizzare quali sono le nostre conoscenze, le nostre capacità, tra cui l'arte del blending di cui siamo stati i primi ideatori. Su questo abbiamo lavorato, e da lì è nato il primo prodotto dell'olio extravergine, 100% italiano, tracciato e sostenibile, che ci ha portato alla certificazione anche del Made in Italy, da parte del Ministero dell'Ambiente. Una certificazione importante anche se in questo momento riguarda principalmente l’impronta ambientale ma che, andando sempre più verso una sostenibilità a 360°, può anche arricchirsi di ambiti sociali ed economici. Mi scuso, sono uscita un po’ dal senso della domanda ma quando parlo della nostra storia mi infervoro. Come viene visto Zucchi sul mercato? Penso che il mood principale sia quello dell’affidabilità, anche e soprattutto nei momenti di forte criticità dei mercati come quello che stiamo vivendo in questo periodo, prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, il cambiamento climatico e la scarsità di produzione. Quando c'è stato il problema del Covid ci siamo posti in un'ottica di partnership, non di fornitore. C’è

stato un momento forte di crisi per il settore, perché tutto era fermo, le difficoltà

erano davvero tante, ma abbiamo mantenuto sempre il dialogo aperto con i

nostri clienti. Li abbiamo accompagnati attraverso le complessità e ovviamente anche verso la ripresa dopo

l’emergenza; ciò si traduce in vicinanza dal punto di vista finanziario, fornitura

continua in un momento in cui la costanza nell’approvvigionamento

era complessa; molteplici quindi, vi erano molteplici le tematiche da

affrontare. Tutto questo è avvenuto grazie a relazioni solide, frutto anche di decenni di consulenza che noi facciamo sempre, per i nostri clienti, su quando è il momento di comprare bene, nel momento giusto. Abbiamo sempre cercato le migliori condizioni per tutti loro, siano essi dell’industria alimentare o il titolare di un bar, per aiutarli a far quadrare i loro conti. Questo ripaga alla grande”.

 

In Italia c'è, secondo me, un problema di vecchiaia del settore primario, di parcellizzazione estrema e questi due elementi non aiutano sicuramente il settore oleario a rappresentare quello che dovrebbe rappresentare in questo paese, un paese del Mediterraneo che è il centro della cultura gastronomica internazionale. Che azioni occorre fare per modernizzare secondo lei?

“Nella domanda sta già anche la risposta perché il tema della parcellizzazione è un problema. È un problema perché l'Italia ha dei grandissimi operatori che fanno delle produzioni di eccellenza, questo va detto, ma resta il fatto che sono troppo piccoli. Quindi se tu vuoi andare a portare il tuo prodotto sui mercati, non solo italiani ma anche esteri, hai la necessità di avere anche quantità. Il tema dell'aumento della produzione è cruciale per il settore. Questo non deve andare a discapito, non deve necessariamente entrare in contrapposizione con il tema qualità, questa è una cosa importantissima da spiegare e far comprendere. Infatti è il limite di questo Paese, perché la teoria del piccolo è bello è una versione un po' romantica del mercato. Io sono, invece, convinta che se ci sono degli operatori, in questo caso stiamo parlando di settore primario ovviamente, che riescono ad avere una maggior dimensione anche il territorio stesso dove operano ne beneficia. Infatti se si riuscisse a fare massa critica, migliorebbero i conti economici, permettendo di conseguenza investimenti sulle migliori tecniche agronomiche da mettere in campo. Il tema è che noi comunque dobbiamo aumentare la produzione, altrimenti resteremo produttori di nicchia, che va benissimo per coloro che puntano a quello, ma non va bene per valorizzare la nostra grande biodiversità, abbiamo ricchezza di gusti, di sapori, di cultivar che si possono esprimere, come il vino, in tanti differenti gusti. Ed è questo su cui dobbiamo lavorare”.

Alessia Zucchi

Il settore non è prodigo di grandi novità. Voi, invece, negli ultimi tempi avete introdotto il Fritturista: quali obiettivi vi ponete con questi oli?

“Fritturista è nato con l’obiettivo di essere un prodotto molto performante per l’operatore che gestisce la frittura in cucina. Ovviamente per essere attrattivo abbiamo giocato anche un po' coi colori. Volevamo essere un po' rock. Zucchi è un operatore affidabile, solido, che ha una sua identità corporate molto seria, insomma, molto classica. Volevamo con il Fritturista, ma anche con Fritto Libero, dare una scossa. È un prodotto che voleva dare un po' di carica, anche per il fatto che il fritto viene collegato a un momento di evasione. E poi quel pagkaging così particolare permette di fare della comunicazione nel locale, nei punti di ristoro dove hanno i prodotti in esposizione e quindi il fatto che fosse accattivante poteva essere comunque un supporto stesso per chi poi del fritto fa la sua vocazione. Infine l’innovazione che lo caratterizza con performance diverse rispetto agli altri, dalla resa, agli odori, a tutto, insomma. Quella è stata la prima di una serie di azioni che si snoderanno nel corso dei prossimi anni per far conoscere maggiormente l'Oleificio Zucchi come operatore nel mondo del fuoricasa. Ed è proprio per questo che a Sigep abbiamo lanciato la linea Zucchi Professional, una gamma di prodotti, sia di semi che di extravergine, dedicati proprio agli operatori professionali. È un progetto che punta a rendere il lavoro di chi opera nelle cucine professionali più performante, rapido e veloce. Sono tanti gli elementi da considerare quando si lavora all'interno delle cucine con tempi sempre molto stretti e noi vogliamo dare un contributo alla soluzione dei problemi. E poi ci sarà tutto un progetto che andrà avanti anche per la tavola, di cui parleremo al momento opportuno”.

 

Questa sua affermazione mi porta a fare un’ultima domanda: Cosa pensa della carta degli oli al ristorante e che suggerimenti si sente di dare a un ristoratore rispetto agli oli?

“innanzitutto dipende da che ristorante è. Mi spiego meglio: la ristorazione stellata non porta nessun tipo di olio in tavola. Quindi, più che la carta degli oli, io suggerirei di scrivere sul menu che tipo di olio è stato usato per quel determinato piatto: i menu, hanno, sempre di più, il calice di vino abbinato al piatto, dal mio punto di vista la stessa cosa potrebbe valere per l’olio e, magari, alla fine della cena il cliente potrebbe aver voglia di comprarsi quella bottiglia e portarsela a casa”.  

 

Giuro, questa è l’ultimissima: una nuova cultura dell'olio: è scritto nel vostro sito: cosa intende per nuova cultura?

“La valorizzazione del prodotto, dell'olio in sé. Ma valorizzare cosa vuol dire? Vuol dire arricchirlo di contenuti e far capire qual è il vantaggio per coloro che lo utilizzano. Questo è il tema. Nell’olio ci sono dentro aspetti nutrizionali, aspetti di performance funzionale, aspetti di filiera, quindi tutela dei territori legati a quella filiera. La nostra azienda ha molto a cuore la cultura di prodotto e, per rispettarla, facciamo molte iniziative, l’ultima delle quali si chiama Evo Masterclass e si rivolge agli studenti degli istituti alberghieri; una forte azione formativa a cui hanno aderito, ad oggi, 120 classi. 

Con questa iniziativa intendiamo dare nuovi stimoli ai futuri

operatori del settore ristorazione, sia per gli aspetti più legati alla cucina che alla

sala. Far conoscere il valore della filiera produttiva per comprendere il frutto di

ogni singolo operatore e del processo produttivo. Inoltre riteniamo importante

creare un dialogo con le istituzioni per rendere sempre più protagonista il mondo

dell’olio, vero ambasciatore del Made in Italy. Per agevolare la diffusione di una

forte cultura di prodotto tra gli operatori penso sia fondamentale creare strumenti

e format chiari, semplici, snelli, dove evidenziare quali sono i valori aggiunti per

coloro che sceglieranno quel determinato tipo di olio. 

Infine la formazione, questo è l’altro elemento chiave, cioè andare a far provare

direttamente il prodotto, far vedere come esso performa,

permettendo all’operatore finale di poter accrescere la propria professionalità.”

 

Alessia Zucchi

Esiste un giusto prezzo?

“Quando parliamo di giusto prezzo, questo deve rispecchiare il valore del

prodotto, e quando parlo di valore non parlo del mero costo del

tappo, della confezione o materia prima. Se il prodotto vale è perché

restituisce dei plus rispetto allo standard, questo si riversa poi come

moltiplicatore di valore per l’operatore. Ad esempio un prodotto innovativo può

essere utilizzato in minori quantità e rendere di più rispetto ad un prodotto

standard; quindi, non solo permette di risparmiare in termini di quantità di utilizzo

del prodotto ma anche di produrre meno rifiuti. Con il Fritturista, per esempio,

le friggitorie si ritrovano a utilizzare un olio che fa meno odore, questo

salvaguarda la convivenza con i vicini e con i clienti. Sono tanti gli elementi da

considerare rispetto al mero prezzo della confezione”.

 

Riflessioni, quelle di Alessia Zucchi, che devono aprire una nuova visione per

l’olio: quella, appunto, di una nuova cultura.

 

Non mi sento insegnante di nessuno ma sentiamo l’esigenza di dare nuovi stimoli, di mantenere alta l'attenzione attorno all’intera filiera che coinvolge anche il tema anche del riciclo dei prodotti, una valorizzazione dei prodotti stessi al termine del ciclo vita del prodotto, quindi per farli diventare nuovi elementi e quindi fare un tema di economia circolare. Penso che non ci sia miglior modo per raccontare come facciamo le cose se non andare a proporlo nei prodotti, creando strumenti e format chiari, semplici, snelli, dove evidenziare quali sono i valori aggiunti per coloro che sceglieranno quel determinato tipo di olio. Infine la formazione, questo è l'altro elemento chiave, cioè andare a far utilizzare il prodotto, far vedere come esso performa e questo permette all'operatore finale di poter magari anche accrescere la propria professionalità. Anche sul tema del prezzo ritengo che sia giunto il momento che questa componente debba rispecchiare ciò che è il valore del prodotto, e quando parlo di valore non parlo del mero costo del tappo, della confezione o altro. Il tema qual è? È che se il prodotto vale, e valere vuol dire che si differenzia e dà dei plus rispetto allo standard, questo si riversa poi come moltiplicatore di valore. Mi spiego meglio: se ho un prodotto innovativo, dove ne usi meno ma ti rende di più, io ti sto facendo comunque già guadagnare perché ne utilizzi di meno, in più avrai anche meno rifiuto e tutto il resto. È un esempio stupido? No, è un esempio concreto. Faccio un altro esempio: le friggitorie, con il Fritturista, si ritrovano a utilizzare un olio che fa meno odore, questo salvaguarda la convivenza con i vicini e con i tuoi clienti. Sono tanti gli elementi da considerare rispetto al mero prezzo della confezione”.

 

Riflessioni, quelle di Alessia Zucchi, che devono aprire una nuova visione per l’olio: quella, appunto, di una nuova cultura.

Alessia Zucchi
a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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