La storia di Oleificio Zucchi è sempre stata coraggiosa: a cominciare dall’aver dato vita a un’azienda olearia in un territorio, la provincia di Cremona, dove non c’è una sola pianta di ulivo. Eppure ce l’avete fatta: oggi come viene visto l'Oleificio Zucchi dal mercato?
“Ci tengo a dire che quest’anno festeggiamo i 215 anni di storia del nostro oleificio. Una storia di cui siamo orgogliosi perché è una storia di famiglia che ha visto succedersi numerose generazioni ma tutte con un obiettivo che ha connotato ogni nostra azione: la trasparenza. Innanzitutto, noi nasciamo come azienda di olio di semi, questo va dentro con orgoglio, perché comunque costituiva una valida alternativa al burro. Nel corso proprio dei decenni, dei secoli, primariamente spremevamo i semi, poi c’era tutta la parte di produzione dell'olio di semi. Mio padre aveva deciso di non entrare nel settore dell’olio d’oliva proprio perché, in quegli anni, non c’era la giusta trasparenza e lui non voleva problemi di nessun tipo. Solo con l’avvento di mio fratello Giovanni abbiamo iniziato a trattare l’extravergine di cui lui si era appassionato. Il progetto sull'extravergine nasce proprio da una passione e tutta l'azienda poi ha portato avanti il progetto, perché rientrava nelle linee di sviluppo dell’oleificio, ma ogni volta con la massima trasparenza del settore di cui siamo sempre stati promotori. Io ritengo, infatti, che l'unico modo sia raccontare il settore per quello che è, senza la narrazione romantica, ma andando a valorizzare quali sono le nostre conoscenze, le nostre capacità, tra cui l'arte del blending di cui siamo stati i primi ideatori. Su questo abbiamo lavorato, e da lì è nato il primo prodotto dell'olio extravergine, 100% italiano, tracciato e sostenibile, che ci ha portato alla certificazione anche del Made in Italy, da parte del Ministero dell'Ambiente. Una certificazione importante anche se in questo momento riguarda principalmente l’impronta ambientale ma che, andando sempre più verso una sostenibilità a 360°, può anche arricchirsi di ambiti sociali ed economici. Mi scuso, sono uscita un po’ dal senso della domanda ma quando parlo della nostra storia mi infervoro. Come viene visto Zucchi sul mercato? Penso che il mood principale sia quello dell’affidabilità, anche e soprattutto nei momenti di forte criticità dei mercati come quello che stiamo vivendo in questo periodo, prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, il cambiamento climatico e la scarsità di produzione. Quando c'è stato il problema del Covid ci siamo posti in un'ottica di partnership, non di fornitore. C’è
stato un momento forte di crisi per il settore, perché tutto era fermo, le difficoltà
erano davvero tante, ma abbiamo mantenuto sempre il dialogo aperto con i
nostri clienti. Li abbiamo accompagnati attraverso le complessità e ovviamente anche verso la ripresa dopo
l’emergenza; ciò si traduce in vicinanza dal punto di vista finanziario, fornitura
continua in un momento in cui la costanza nell’approvvigionamento
era complessa; molteplici quindi, vi erano molteplici le tematiche da
affrontare. Tutto questo è avvenuto grazie a relazioni solide, frutto anche di decenni di consulenza che noi facciamo sempre, per i nostri clienti, su quando è il momento di comprare bene, nel momento giusto. Abbiamo sempre cercato le migliori condizioni per tutti loro, siano essi dell’industria alimentare o il titolare di un bar, per aiutarli a far quadrare i loro conti. Questo ripaga alla grande”.
In Italia c'è, secondo me, un problema di vecchiaia del settore primario, di parcellizzazione estrema e questi due elementi non aiutano sicuramente il settore oleario a rappresentare quello che dovrebbe rappresentare in questo paese, un paese del Mediterraneo che è il centro della cultura gastronomica internazionale. Che azioni occorre fare per modernizzare secondo lei?
“Nella domanda sta già anche la risposta perché il tema della parcellizzazione è un problema. È un problema perché l'Italia ha dei grandissimi operatori che fanno delle produzioni di eccellenza, questo va detto, ma resta il fatto che sono troppo piccoli. Quindi se tu vuoi andare a portare il tuo prodotto sui mercati, non solo italiani ma anche esteri, hai la necessità di avere anche quantità. Il tema dell'aumento della produzione è cruciale per il settore. Questo non deve andare a discapito, non deve necessariamente entrare in contrapposizione con il tema qualità, questa è una cosa importantissima da spiegare e far comprendere. Infatti è il limite di questo Paese, perché la teoria del piccolo è bello è una versione un po' romantica del mercato. Io sono, invece, convinta che se ci sono degli operatori, in questo caso stiamo parlando di settore primario ovviamente, che riescono ad avere una maggior dimensione anche il territorio stesso dove operano ne beneficia. Infatti se si riuscisse a fare massa critica, migliorebbero i conti economici, permettendo di conseguenza investimenti sulle migliori tecniche agronomiche da mettere in campo. Il tema è che noi comunque dobbiamo aumentare la produzione, altrimenti resteremo produttori di nicchia, che va benissimo per coloro che puntano a quello, ma non va bene per valorizzare la nostra grande biodiversità, abbiamo ricchezza di gusti, di sapori, di cultivar che si possono esprimere, come il vino, in tanti differenti gusti. Ed è questo su cui dobbiamo lavorare”.