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All’ombra del cupolone

13/05/2025

All’ombra del cupolone

La prima raccolta di ricette “alla romana” si fa risalire ai tempi dell’imperatore Tiberio, intorno al 20 d.c., e il De Re Coquinaria, redatto da Marco Gavio Apicio, resta il documento più importante dell’epoca in campo culinario. 

Dall’antica Roma al cinquecento e oltre le testimonianze storiche mostrano una tradizione culinaria dove l’abitudine di mangiare nelle taverne dell’Urbe è tangibile; piatti semplici preparati con quello che il territorio offre dalle verdure agli ortaggi, dalla carne degli ovini ai maiali. Nascono piatti come l’abbacchio o i carciofi alla Giudia, frutto della contaminazione derivata dall’ampliarsi della comunità ebraica nella città. Nell’Ottocento viene istituito in città il Mattatoio di Testaccio che segna una svolta anche nelle abitudini culinarie della popolazione: l’uso del quinto quarto si diffonde nelle case e nelle trattorie e tutto ciò che deriva dalla lavorazione della carcassa bovina - frattaglie, coda, testa, zampe e altri scarti – si trasforma in ricette gustose, da sempre simbolo della tradizione romana: la coda alla vaccinara, la trippa, la coratella coi carciofi, il rognone al pomodoro. 

Ma la particolarità della cucina romana si basa soprattutto sui piatti poveri ma succulenti, la pasta, le minestre, le verdure. Come non ricordare uno dei piatti più apprezzati, oggi in grande spolvero anche nei locali alla moda, la cacio e pepe. L’origine della ricetta risale al mondo pastorale quando i contadini per accompagnare i lunghi spostamenti del gregge erano soliti portare le uniche provviste caloriche e reperibili che avevano a disposizione: la pasta, il pepe e il pecorino.  Ma anche le verdure dell’orto, puntarelle, broccoli, cicorie, fave. Nascono piatti come la gricia, pasta e fagioli con le cotiche, e una lista infinita di ricette di spaghetti in mille modi: all’arrabbiata, alla carrettiera, alla puttanesca, alla checca, alla bersagliera, che ancora oggi costituiscono la carta immancabile di locande, trattorie e ristoranti romani, attrattiva per turisti e per cittadini locali che ne riscoprono il piacere. 

Le vie di Roma pullulano di locali tipici, dove l’aroma della cucina si espande e attira; diventano meta privilegiata e poco concedono alla moda della rivisitazione dei piatti ma richiamano atmosfere antiche, popolane, sempre radicate nel cuore dei romani e dei visitatori. 

All’ombra del cupolone

Giubileo 2025, che opportunità per la ristorazione?

24 dicembre 2024, a Roma, inizia il Giubileo 2025. Si era previsto che l’evento potesse attirare in città circa 30 milioni di pellegrini, secondo i sondaggi del Vaticano e delle autorità. L’occasione per immergersi nei tanti itinerari spirituali che Roma offre ma anche per godere della tradizione gastronomica simbolo del luogo. Un’opportunità per ristoranti e trattorie. Considerando che ogni pellegrino potrebbe trattenersi in città per due o tre giorni sarebbe ipotizzabile un aumento della richiesta per la ristorazione.
Oggi, a circa quattro mesi dall’inizio dell’evento, possiamo provare a verificare la situazione partendo dalle recenti analisi comunicate da Confcommercio: nel 2024 a Roma l’1,9% e ben 495 locali sono scomparsi sui 26.016 dell’anno precedente. Non si registrano nuove aperture significative.
Il Giubileo si avvia in sordina e l’impatto su ristorazione, trasporti, ospitalità strutturata o b2b, commercio locale sembra davvero minimo.
Altri elementi, inoltre, hanno avuto, e continuano ad avere nel preciso istante in cui queste righe sono scritte, un peso considerevole sulla conduzione dell’evento: la malattia di Sua Santità Papa Francesco e la sua dipartita. L’eco mediatico, non solo emotivo, potrebbe causare risvolti inaspettati nelle prossime settimane. Roma capoccia attende, attonita o speranzosa, in lutto o in attesa di sviluppi forieri. Del resto attende da millenni e non si è mai persa, e “la santità der cupolone”, come cantava Venditti, resterà un rifugio per fedeli o atei.

Roma e la ristorazione

Quali sviluppi per il mondo della ristorazione romana? Gli eventi, o meglio “l’evento” per antonomasia sarà in grado di ottimizzare i tempi? Ne abbiamo parlato con Federico Villani, titolare di FAIC Foodservice, che da oltre trent’anni gestisce con efficienza la fornitura di prodotti alimentari per il mondo ho.re.ca. nella capitale e a Milano.
“Questo è il terzo Giubileo che affronto – racconta Villani – e ormai ho capito che non porta granché dal punto di vista dell’incremento dei consumi. Porta numeri, ma questi non cambiano gli asset di fatturato delle aziende. Il turismo legato al Giubileo è un turismo semplice, quasi mordi e fuggi; la sera i pellegrini escono a cena ma lo fanno in maniera frugale. Tra alloggio e ristorazione non è certo il classico turismo che lascia nella piazza più denari”.
Analizzando le pur diverse situazioni che si verificano, quindi, in generale il Giubileo di Roma non si manifesta come evento trainante per i consumi. Riflette Federico Villani: “Ogni Giubileo è diverso, certamente, e in questo caso lo stato di salute del Papa ha forse influenzato le scelte dei pellegrini: senza la sua presenza il coinvolgimento emozionale e mediatico potrebbe forse mutare e condizionare la decisione di qualcuno di partecipare o meno. Vedremo con l’elezione del nuovo Pontefice. Anche nel caso di turisti abituali, laici, che potrebbero perfino evitare Roma come meta per non doversi confrontare con la folla di pellegrini e con tutto quello che ciò comporta. Roma è sempre piena di gente ma ci sono varianti. Occorre tener presente che i turisti religiosi di solito non frequentano gli hotel convenzionali ma si rivolgono alle strutture gestite dalla Chiesa; i prezzi inoltre sono aumentati già da un paio d’anni; chi deve mettere in preventivo il viaggio non può ignorare questi aspetti”.
Per affrontare la situazione, dunque, molte attività si sono attrezzate per reggere l’aumento numerico di pellegrini facendo accordi con ristoranti, con residenze ecclesiastiche, creando menù a prezzo fisso. Situazioni al risparmio, secondo Federico Villani, adottate per far fronte a un incremento di affluenza alla quale non corrisponde un aumento di fatturato. Qualcuno, addirittura, conferma Villani che ne ha riscontrato l’effetto, chiede prodotti di qualità inferiore o gamme di sottoprodotti per poter soddisfare l’esigenza di limitare i costi: “Non è un’abitudine diffusa – afferma – ma tangibile”. 

Insomma, in generale, il Giubileo è un momento che non sembra destinato a portare grandi frutti oltre i soliti. “Le aziende crescono – afferma Villani - noi cresciamo bene, ma per situazioni e progetti indipendenti dal Giubileo”. 

La cucina sotto il cupolone

Danilo Frisone e il suo socio Saverio Crescente
testimoniano come non sia l’evento Giubileo in sé ma la buona gestione delle proprie risorse il segreto per un’attività fiorente. Cresci, in zona Vaticano, all’ombra di San Pietro, forno di quartiere da 40 anni, oggi è osteria, ristorante di cucina casalinga, pizzeria e locale vivo e accogliente da mattino a sera. Il suo laboratorio a vista è un’attrattiva, la proposta culinaria è tipica romana e contemporanea al tempo stesso, l’accoglienza calorosa. Un locale giovane nella sua tipicità che vive tutta la giornata; un locale per tutti.
“Abbiamo tanto lavoro – racconta lo chef Danilo Frisone – perché cominciamo la mattina alle sette e finiamo a mezzanotte. Il forno è alla base, con pizze, pane, bakery e poi c’è l’offerta ristorativa. La nostra clientela è principalmente composta di gente del quartiere e di coloro che, lavorando in Vaticano, ogni giorno passano di qui e si fermano. In questo periodo, poi, con la Pasqua, ci siamo concentrati sulla produzione di dolci e non sono mancati i turisti comuni. Certo, il Giubileo e le vicende legate al Papa sono state un’attrattiva in più, nel bene e nel male. Ora si vedrà, con gli ultimi avvenimenti, ma in generale non è il Giubileo a trainare il nostro lavoro, piuttosto il riconoscimento di un’attività stabile e affidabile”.
Insomma, pare evidente come il turismo religioso non influisca in maniera tangibile, spiega Danilo: “Non vengono per mangiare, se lo fanno è solo per nutrirsi. I pellegrini sono gente frugale, non mangiano al ristorante. Per noi va bene perché avendo un’offerta molto varia possiamo accontentare tutti: facciamo tanti panini, pizze da asporto, piatti semplici, costi contenuti anche per chi non può permettersi di spendere di più. La nostra posizione, poi, proprio nel cuore della città, a due passi dal Vaticano, con lo sguardo sul cupolone, è certamente favorevole. Ecco perché la nostra offerta non è cambiata in previsione del Giubileo, non ce n’era bisogno. Ora, con lo sviluppo della situazione che si è verificata con la morte di papa Francesco vedremo. Un po’ di confusione in occasione del funerale, poi tornerà la consuetudine”.

Tanta gente, consumi ridotti

Insomma, tirando le somme, appare un quadro piuttosto chiaro: il Giubileo di Roma, come sempre, per il mondo ho.re.ca. offre aspettative poco corrisposte. Lo conferma anche lo chef Stefano Bartolucci patron del ristorante RossoDiVino a Valmontone, ristoratore da molti anni e portavoce del settore.
“La popolazione dei pellegrini non incide in maniera significativa quanto auspicato sulle attività di ristorazione della zona – afferma chef Bartolucci – il pellegrino si alza di buon’ora, va in giro, partecipa alle funzioni, mangia al volo e la sera si ritira presto per riposare. Tecnicamente non incide sul nostro settore; lo fa marginalmente su attività come i bar, i panifici, le tavole calde, ma non sui ristoranti classici. I turisti convenzionali, quelli che verrebbero comunque, non mancano certo e sono numerosi anche nelle zone periferiche e nei dintorni della città perché trovano prezzi più convenienti rispetto al centro, ma sono cambiati i consumi. Il turista mangia un piatto di pasta, o un secondo, e basta. Questa è una tendenza che si manifesta da anni: al massimo ci scappa un dolcetto”.
Insomma, secondo Stefano Bartolucci, è il cambiamento degli stili di vita a influire sul comportamento dei turisti, convenzionali o religiosi, e non l’evento in particolare. “L’orientamento – spiega Bartolucci – è verso un consumo più healthy, sul pasto salutare, sostenibile. Dobbiamo puntare sul km 0 e sulla sensibilità del cliente. Anche gli stranieri, su Roma, cambiano a seconda del periodo e della stagione; ci sono sempre gli americani, molti russi; ma sono turisti diversi dai pellegrini: vanno nei posti esclusivi ma non partecipano alla vita del luogo. Il turista che passeggia per Roma, invece, sta attento ai costi, fa spuntini e non cena al ristorante”.
E la cucina tipica romana? Ha perso la sua attrattiva? “Quella rimane – conferma Bartolucci – immancabili la carbonara, la gricia: la pasta fa Italia, fa Roma. Però non mangiano più la trippa, la coda alla vaccinara; pochi chiedono ancora il pollo alla cacciatora come lo faceva nonna…solo qualche nostalgico, Giubileo o no”.
 

a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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