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Barraco

12/06/2025

Barraco

Nella storia, in qualsiasi storia, c’è un prima e un dopo. E l’uomo, che si muove dentro alle storie, non è un suppellettile: indossa ruoli, esercita responsabilità, concorre alle evoluzioni e alle rivoluzioni, piccole o grandi che siano. 

È questo uno dei pensieri che ci si porta a casa dalla visita in Contrada Bausa, nella costa marsalese, dove risiede oggi la cantina Barraco. Conoscere i vini, e prima il pensiero di Nino e Angela, è una presa di consapevolezza ulteriore su ciò che significa fare il vino con cultura.  Interrogandosi, provando a dare delle risposte, senza che sia la consuetudine a guidare le scelte.

 

Il paesaggio, il mare, il terreno

Conviene raggiungerlo piano piano, salendo dal mare, osservando i vigneti, questo luogo che è un tutt’uno con il paesaggio circostante. Abbiamo detto ‘piano piano’ perché la lentezza è una posa che la Sicilia invita a mantenere: è il miglior modo che si ha per interiorizzare i luoghi, le storie, l’arte, l’aria tiepida o calda a seconda della stagione, le straordinarie vedute che si incontrano lungo il tragitto. 

Barraco è un po’ una commistione di tutto questo e sarà difficile condensare tutti gli aspetti in poche pagine. Allora proviamo a raccontare subito lo straordinario panorama che si può ammirare dal terrazzo che sovrasta la cantina: dopo un sussulto iniziale, in qualsiasi direzione si allunghi lo sguardo, c’è bellezza. Le ordinate viti ad alberello occupano buona parte della veduta, che culmina a nord con la sagoma di Erice, a ovest con i profili dell’isola di Mozia, dell’isola Grande, di Favignana. Il mare è lì, a due passi, e non si può slegare dal racconto: è co-narratore, influenza e caratterizza le uve. Quando si assaggiano i vini di Nino la salsedine si sente, è sotto che tesse le fila, è evocazione e piacevolezza. Ma il mare non scrive nulla da solo: lavora con il suolo, che è fortemente caratterizzato a seconda della localizzazione del terreno. I vigneti di Petrosino, per esempio, sono sabbiosi, ricchi di calcare e qualche volta di alghe. Rina Vecchia, il più datato, è su una duna di sabbia marina;  il particolarissimo vigneto di Rinazzello si distingue per marne e calcarenite. E via andare. E poi, oltre a ciò che la natura mette a disposizione, c’è l’uomo, che ha il potere di direzionare il racconto, come ci suggeriscono le riflessioni di Nino.

Nino BarracoNino Barraco
Il panorama da Contrada BausaIl panorama da Contrada Bausa

Interrogarsi è la chiave per scrivere qualcosa di nuovo

“Prima che iniziassi a fare vino qualcosa mi stonava quando sentivo parlare di terroir. Mancava il legame con la terra, a cominciare dal vitigno. In quest’area si coltivavano soprattutto quelle che venivano definite uve pregiate, ossia i vitigni internazionali. C’era il rischio consistente di perdere i vitigni autoctoni, rappresentativi della nostra storia, delle nostre abitudini, della nostra identità, come il Grillo e il Catarratto. Noi marsalesi eravamo proiettati su grandi mercati e stavamo adottando un linguaggio che potesse funzionare nel mondo dimenticandoci il valore dei nostri dialetti”.
Nino non è il prosieguo di un’azienda familiare legata al mondo enologico: ha studiato Scienze Politiche, è appassionato d’arte e fotografia. Più di vent’anni fa, interrogandosi su questo aspetto del terroir, e su altri legati al rapporto con la terra e la natura, ha sentito il desiderio, con Angela, di fare vino con cura.
“Siamo partiti da una sorta decalogo. Un programma, che include la scelta di cosa vinificare e il come farlo, ovvero con approccio artigianale e senza compromessi. Per me è fondamentale che ci siano delle linee guida alla base di un progetto. Il nostro parte dall’idea che è importante il messaggio che trasmetti, il principio che vuoi consegnare agli altri”.
Quando Nino parla di cultura del vino, evidentemente, non fa riferimento alla conoscenza tecnica, ma piuttosto al consumo consapevole.
“Il vino è un prodotto culturale e non lo diciamo per slogan. Nasce dal sapere, dalla convergenza di competenze. Oggi c’è più consapevolezza rispetto a questo: non abbiamo bisogno del vino come alimento come lo era per la comunità contadina in passato, ha un altro ruolo e un altro valore nelle nostra vite”.
Abbiamo anche parlato di vino naturale, espressione che nel corso degli ultimi anni è rimbalzata da una parte all’altra, tra produttori italiani e stranieri, a volte accostandosi a bevute memorabili, altre a ricordi decisamente negativi; a volte avvicinando il pubblico, altre allontanandolo.
“Non direi che l’espressione vino naturale si sia svuotata di significato, piuttosto che sia stata male interpretata da alcuni. Il punto è che il vino, come dicevo, è un esito culturale, non si fa da solo. L’esperienza e la competenza servono. Poi, per quanto mi riguarda, non cerco la perfezione: il vino dev’essere buono, rappresentativo di un’annata e di un territorio, ma l’eccesso di zelo in alcune pratiche ha portato a delle deviazioni importanti, azzerando la complessità insita nella natura”.

Barraco
Barraco

La fiducia verso la natura
Non è la prima e non sarà l’ultima volta che parliamo con un volto del mondo del vino di rapporto con la natura. È uno dei temi che fanno il perno di questa rubrica. Ci piace indagare il pensiero, capire quali sono le aspettative, se ci sono; se sussistono timori, quali sono le azioni preventive.
Nel caso di Nino Barraco le parole sono potenti e sostenute da una fiducia quasi incondizionata. “Ho fiducia nella terra. Credo che la natura sia una fonte inesauribile di complessità e originalità. Per quella che è la mia esperienza fino ad oggi, la natura è in grado di sorprendere l’uomo. A volte si spinge oltre ciò che ci aspettiamo, come constato ad esempio nei tratti evolutivi che raggiungono certi vini. È vero che sono in atto dei cambiamenti importanti, il clima sta cambiando, e non è semplice relazionarsi a queste variazioni, ma personalmente non riesco a immaginare un futuro senza questo prodotto nella vita dell’uomo. Ci sarà una nuova complessità da scoprire”. 
I vigneti Barraco vengono allevati con il metodo dellarido-coltura, una pratica che consente alle piante di sopravvivere senza irrigazione, spingendole a cercare l’umidità nelle profondità del terreno. È un processo che stimola radici forti e profonde, rispettando appieno il ciclo della terra e riducendo gli sprechi d’acqua.
“È una tecnica che è nella storia di questa regione. Come dicevo prima parlando dei vitigni, vogliamo trattenere quello che ci appartiene. Non abbiamo mai amato l’idea di ostentare una lingua che non conosciamo!”.
Non solo verso la natura: Nino ci racconta anche del rapporto con le persone. Come quello, particolarissimo, instaurato con alcuni amici produttori: Francesco De Franco (A Vita, Cirò-Crotone), Corrado Dottori (La Distesa, Cupramontana-Ancona), Giovanni Scarfone (Bonavita, Faro-Messina), Stefano Amerighi (Stefano Amerighi, Cortona-Arezzo). Con loro Nino ha fondato Halarà, un collettivo di vignaioli che insieme alleva e vinifica; le uve si raccolgono proprio vicino a Contrada Bausa.
“È un bel progetto nato sotto il segno dell’amicizia. L’idea di fondo è che nell’interazione con gli altri si accelerano i processi di conoscenza. C’è uno scambio, una crescita reciproca. E proprio parlando di nuovi equilibri nella natura, confrontarsi con chi lavora in altre zone geografiche può aiutare molto a capire come relazionarsi a nuove problematiche. Noi per esempio abbiamo dimestichezza con la siccità mentre i produttori del nord hanno esperienza con la peronospora”.

Barraco
Barraco
Avremmo potuto parlarvi in modo approfondito dei vini di Nino e Angela, tutti fortemente connotati e diversi l’uno dall’altro ma legati da un linguaggio coerente e comprensibile. Chi legge li avrà  probabilmente scelti per la propria carta dei vini, oppure incontrati in ristoranti ed enoteche che amano l’identità e la territorialità. Avremmo anche potuto dare più spazio alla spiegazione dell’Altogrado, il primo “Vecchio Marsala” prodotto senza l’utilizzo del metodo perpetuo o del metodo soleras, a cui Nino Barraco ha dato vita nel 2009. Non l’abbiamo fatto: siamo sempre convinti che la comprensione di un vino, e di una storia così articolata come quella dei vini ossidativi, debba passare per l’esperienza diretta e per la voce del produttore. Vi invitiamo ad assaggiare con la giusta calma il Biancammare, il Bianco G, lo Zibibbo, l’Altogrado e tutti gli altri vini Barraco, immaginandovi come questo nuovo racconto si sia innestato su una terra arida, ma sempre incredibilmente florida di cultura, come quella siciliana.


 
a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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