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Basta una settimana per imparare una mise en place

13/05/2025

Basta una settimana per imparare una mise en place

Quest’affermazione di Mauro Santinato, durante il convegno di Emergente Sala, mi ha riportato alla memoria quando, da giovanissimo, facevo il cameriere e la signora Carolina Besenzoni mi fece rifare per tre volte, in un pomeriggio, la sala per il banchetto del giorno dopo. Ottanta coperti a ferro di cavallo che mi sembravano perfetti e non riuscivo a capire dove fosse l’errore. Alla terza volta me lo disse: c’era un piatto troppo spostato rispetto al centro. Due centimetri!!! Non l’avrebbe notato nessuno tranne lei ma imparai bene la lezione. E mi è servita per tutta la vita!

In un pomeriggio capii come si fa una mise en place sul piano tecnico e, se dovessi rifarla oggi, mi ricorderei benissimo il metodo.


Questo piccolo ricordo personale per dire come sia necessario ripensare i modelli di insegnamento che riguardano il servizio di sala perché è da lì che deve cominciare il cambiamento. Infatti se oggi in sala i più bravi sono solitamente ragazze e ragazzi che vengono da tutt’altri studi rispetto all’alberghiero qualcosa vorrà pur dire.

Con questo non consideriamo l’alberghiero una scuola che non serve, anzi, ma vorremmo che i piani didattici fossero aggiornati ai tempi contemporanei, vorremmo che le divise che indossano quei ragazzi fossero meno formali, più allegre, soprattutto della misura giusta (cosa non sempre vera, purtroppo). 


E che il piano di studi, tolta la settimana in cui si impara la mise en place, descrivesse le grandi straordinarie opportunità che un diploma alberghiero può dare al loro futuro; raccontasse di casi di successo, dei tanti casi di successo di ragazze e ragazzi che sono usciti da quelle scuole per affrontare e vincere nel mondo del lavoro;  parlasse di cosa significa il termine territorio per l’Italia, la forte biodiversità, il paesaggio formato dall’uomo, i prodotti con la loro storia straordinaria, la sicurezza alimentare delle materie prime italiane; che tenesse in forte considerazione i temi della psicologia dell’uomo, cosa significa acquisire empatia, gentilezza, buona educazione; che desse particolare risalto alla conoscenza delle lingue; che facesse capire l’importanza della professione di sala, un’importanza enorme anche sul piano economico per il successo di un ristorante.

Forse, partendo da lì, troveremmo la giusta chiave di lettura per dare valore a una professione che garantisce il futuro della ristorazione.

Forse, se certi professori mettessero più entusiasmo e meno colpevolizzazioni anche i ragazzi ne trarrebbero beneficio. E questo lo possiamo dire a ragion veduta, visto che negli alberghieri ci siamo ogni mese e riusciamo a individuare quegli istituti dove il personale docente affronta con entusiasmo e professionalità il proprio lavoro, lì si vedono i risultati.
 

Forse, se i genitori non facessero la parte che purtroppo fanno – quella di iscrivere i propri figli all’alberghiero perché non hanno voglia di studiare – avremmo dei ragazzi che imparano a credere un po’ di più in sé stessi.

Sono molti i forse ma se non ci proviamo non sapremo mai da che parte arriva il malessere e non riusciremo mai a dare la giusta dignità a questo mestiere che è davvero tra i più belli del mondo per le opportunità di conoscenza che offre.

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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