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Carla Cantamessa

13/09/2024

Carla Cantamessa

Non so se credete alla casualità della vita ma quest’intervista non sarebbe mai avvenuta se avessimo scelto un posto diverso dove fermarsi a pranzo, se invece di scegliere la cantina avessimo scelto di sederci all’aperto e se al posto di Carla Cantamessa ci avesse accolto un altro cameriere al nostro tavolo.

Fatta questa premessa la città in questione è Aosta, il locale un bistrot, o meglio un bar à fromage, con annessa bottega gastronomica dove troneggia un bellissimo banco con ottanta tipologie di formaggi, il nome del locale: ErbaVoglio Anselmo.

Ed è un nome che ha una coerenza visto che il proprietario, Stefano Lunardi, anche e soprattutto affinatore di formaggi, sale sulle malghe e sceglie i pascoli da cui provengono le erbe che mangiano gli animali per dare il latte dei suoi formaggi.

Bene, in questo locale, molto curato, con tavoli ben distanziati, musica giusta che arriva da un giradischi dove si può scegliere quale musica ascoltare, piatti semplici ma decisamente gustosi, abbiamo avuto la fortuna di essere accolti e serviti da Carla: una donna che ci ha raccontato ogni più piccolo particolare di ciò che stavamo mangiando, dalle trote di Morgex alla selezione di formaggi affinati da Stefano, fino alla tipologia di vino che ci era stato proposto, dimostrando una competenza e una passione strabilianti.

Non poteva che essere lei la protagonista dell’intervista che ospitiamo in ogni numero e che determina anche la copertina della rivista. Glielo comunichiamo e lei viene sopraffatta da un’autentica emozione. Passa qualche giorno e avviene la chiacchierata telefonica per l’intervista che supera abbondantemente l’ora dedicata, ma crediamo che le cose che ha detto valgano la pena di essere condivise con tutti voi, per sincerità e originalità.

Carla Cantamessa

Partiamo dalla tua storia Carla…

“La mia storia professionale ha inizio 37 anni fa in una caffetteria di San Salvatore Monferrato, che si chiamava Bubble Bar. Dai semplici lavori che si svolgono dietro al banco di un bar, capendo che quello che facevo mi piaceva molto, sono passata alla mixology e alla gestione dei flussi, non solo di persone ma anche di cassa. Da quell’esperienza parte tutto; l’incontro con le persone, la cura dei dettagli, l’accoglienza diventano il mio grande amore. Il proprietario di quel bar era un grande professionista, gli scontri con lui erano frequenti ma da quelle discussioni uscivamo entrambi con una aumentata stima reciproca e con qualcosa di nuovo che avevamo imparato. Per me è stata una vera scuola dove ho capito la cosa più importante per questa professione: l’ascolto. Saper ascoltare è una delle cose più difficili e belle che esistano. Capire le persone da come si pongono svela tantissime cose. Mio fratello Andrea, che era un grande chef, vedendomi così presa da questo lavoro, a un certo punto mi ha chiesto di andare a lavorare con lui. Faceva le stagioni nei grandi alberghi e io lo raggiunsi a Cortina d’Ampezzo dove incontrai un altro grande maestro, un direttore di sala dai modi forse un po’ rudi ma che andava dritto al punto, facendoti capire come ci si doveva muovere in sala e quello è stato il momento in cui ho capito che avrei fatto questo per tutta la vita. Nel frattempo, però, mi iscrissi anche all’università: scienze economiche con indirizzo turistico-amministrativo. Lo ritenevo necessario per il mio sogno di allora: diventare direttore d’albergo. Un sogno infranto dall’arrivo di mio figlio Edoardo, a quel tempo, e ancora oggi in molti casi, era difficile conciliare le due cose ma non sono affatto pentita di aver scelto la maternità!”

Carla Cantamessa

Da quel momento come è cambiata la tua vita?

“Hai scelto il termine giusto: cambiare. A me piace molto cambiare, amo lo stimolo del nuovo, del non conosciuto, che mi ha sempre portato a scoprire cose nuove di me, a credere che basta volere, anche le cose più difficili, e ci si riesce. Quando Edoardo è diventato più grandicello ho continuato la collaborazione con mio fratello, l’ho seguito in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti per poi tornare da dove è cominciato tutto: nel Monferrato. Aprimmo alcuni locali e una società di catering e Andrea mi chiese di dare una mano anche in cucina; per me è stata una grande esperienza formativa, solamente andare a fare la spesa è sufficiente a capire cosa significa gestire una cucina di qualità, a toccare con mano la complessità e la bellezza di gestire un ristorante nel suo insieme. Poi ho iniziato a sovrintendere agli antipasti e ai dolci in maniera autonoma fino al 2013 quando mio fratello ha lasciato la vita, per malattia. Entrare in quei locali dove avevamo condiviso tutto per me diventava insopportabile così ho venduto tutto e ho ripreso a lavorare in sala, ancora a Cortina con Ferruccio D’Antone, uno dei mentori di mio fratello, poi qui in valle, a fare il direttore di sala a Courmayeur al 4810 food con il patron Enrico Grivel, discendente di una famiglia storica di alpinisti”.

 

Veniamo ad oggi. Nel nostro incontro hai dimostrato una passione e un legame con il locale e i suoi prodotti che pareva ne avessi un coinvolgimento diretto ma, come sappiamo, non è così; cosa ti porta ad avere un atteggiamento così positivo?

“Cominciare, grazie a mio fratello Andrea, a fare la spesa per il ristorante non è un fatto banale perché capisci la visione che ogni cuoco o ogni patron ha del suo locale. Se il tema è fare cassetto c’è un approccio puramente economico, cosa mi conviene, cosa costa meno. Se invece la visione è quella di valorizzare il territorio che stai vivendo in quel momento e, pur attenti al ritorno economico, far conoscere agli ospiti quello che di veramente buono c’è in quel luogo allora cambia tutto. Se ciò che vi ho servito non fosse stato così eccellente non saremo qui a fare questa bella chiacchierata, non avrei ricevuto la tua telefonata, ma la domanda è: quante persone capiscono questo lavoro di ricerca?!”

Carla Cantamessa

Per lavorare in sala, per fare il cameriere serve una scuola, un corso di formazione dedicato? Oppure si impara sul campo, conoscendo almeno un paio di lingue?

“Tutto fa, nel senso che è giusto che ci sia una scuola, una formazione seppur teorica, ma da quello che vedo, soprattutto negli ultimi anni, c’è stato un appiattimento. La carenza che ho notato nei corsi di studio per la sala è che non esiste un approccio alla conoscenza di un territorio. E poi dico anche che se non sei portato per questo lavoro, se non c’è la passione come ingrediente fondamentale il servizio diventa freddo e distaccato. Sensibilità, empatia, curiosità sono le parole chiave per questa professione e i corsi, purtroppo, ne tengono pochissimo conto. Quello che è davvero necessario è trovare sul percorso di ognuno una persona che sappia trasmetterti quelle parole chiave”.

 

Questa professione di sala non è delle più preferite al giorno d’oggi, eppure in una sala molte volte sembra di essere al centro del mondo e tu ne sei la dimostrazione. Si parla tanto di cambiare nome al cameriere, ma non credo che sia quella la ricetta giusta: quali consigli ti senti di dare?

“Il consiglio principale è di affrontare ogni giorno con la voglia di imparare. Quello che vedo al giorno d’oggi, non da parte di tutte le persone, è l’atteggiamento di supponenza di chi sa già tutto, ma non può essere così. Riuscire a capire l’ospite da come si siede a tavola, dal tono della voce, dai gesti è un lavoro che richiede anni di esperienza. Guardare, osservare, ascoltare con tutta te stessa è un aspetto fondamentale per questa professione. L’altro è la proprietà di linguaggio che è necessaria per poterti relazionare con qualsiasi persona e, da questo lato, purtroppo, vedo un analfabetismo culturale che è molto preoccupante”.

Parte del problema non può derivare anche dalle pretese un po’ assurde, a volte arroganti, degli ospiti? Penso alle intolleranze a volte presunte che creano solo problemi in cucina, oppure ai ritardi non comunicati, alle cancellazioni in ritardo o addirittura ai cosiddetti no show. Sono tante le difficoltà che fanno passare la voglia…

“Questo è sicuramente un argomento importante, le intolleranze vere vanno rispettate ma quando sento dire ‘io sono intollerante all’aglio’ mentre l’aglio non dà nessuna allergia mi deprimo. Non so se pensano che dicendo questo abbiano diritto a una maggior attenzione ma non è così. Questo dimostra quanto è necessaria l’informazione. Sul fatto che tutti questi problemi possano far dissuadere i giovani non lo credo perché questa situazione la vedi mentre la vivi in diretta. Il tema vero è che ci sono, purtroppo mi tocca dirlo, datori di lavoro che considerano i dipendenti come ‘schiavi’ da utilizzare al 3.000 per cento senza dover dare i giusti compensi. Ed è un problema anche il fatto che un ragazzino che arriva in stagione viene pagato come un professionista che da trent’anni fa questo mestiere”. 

 

Una volta era il ristoratore a scegliere lo staff, oggi è il lavoratore a scegliere il locale. Tocca al locale rendersi appetibile. Ma quale linguaggio nuovo occorre adottare per motivare un giovane che vuole iniziare?

“Occorre una comunicazione chiara, il progetto deve essere immediatamente comprensibile. Poi deve essere un locale di tendenza, grande quel tanto che permetta di avere una rotazione per fruire di un giorno di riposo al sabato o alla domenica a rotazione”. 

 

Nuove strategie, nuove dinamiche di mercato, la crisi climatica, i robot che sostituiscono le persone, la crisi demografica di cui non si parla mai abbastanza: argomenti grandi che, a volte, si preferisce non affrontare ma che cambieranno il volto del mondo nei prossimi cinque/dieci anni: tu come ti vedi in questo scenario e come vedi, più in generale, il futuro della tua professione? 

“Hai ragione, arriveranno persone che non conoscono il territorio e il rischio sarà quello di un appiattimento se non saremo in grado di formare persone consapevoli e questo è l’impegno della scuola e dei datori di lavoro. Senza questa condizione la ristorazione finirà, diventerà una semplice mensa con il robot che ti porta il piatto al tavolo. Da parte mia spero di essermi già ritirata nel mio giardino bucolico!”

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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