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C’è pane carasau e pane carasau

03/07/2023

C’è pane carasau e pane carasau

I prodotti che appaiono semplici, perché all’occhio poco strutturati, non di rado comportano una preparazione laboriosa e per nulla scontata, come nel caso del pane carasau.
Non deve infatti trarre in inganno quella sfoglia talmente sottile e croccante – come eterea – da essersi guadagnata l’appellativo di ‘carta da musica’ (perché scrocchia sotto i denti) di contro ad altri tipi di pane, che per via di dati oggettivi come volume ed alveoli si impongono maggiormente all’attenzione.
Una sfoglia di pane è divenuta prodotto identitario per un’intera regione, al punto da essere inserita nell’elenco dei  Prodotti Alimentari Tradizionali (PAT) della Sardegna. Sono quattro gli ingredienti specifici che compongono il pane carasau: semola di grano duro rimacinata , acqua, lievito naturale (lievito madre o lievito di birra) e sale marino.


Che sia chiaro però che anche per questo prodotto non si può parlare di uniformazione di gusto: un pane carasau non vale l’altro, da produzione a produzione cambia. Più o meno fragrante, certamente per la tipologia degli ingredienti selezionati (come il lievito madre o il lievito di birra) e la qualità degli stessi, la presenza o meno di quella croccantezza perfetta che lo dovrebbe sempre caratterizzare. Anche lo spessore della sfoglia può variare (siamo nell’ordine di 1/2 millimetri) determinandone più o meno friabilità. Così come la cottura, che originariamente era solo nel forno a legna.
Variabili queste che incidono sul risultato finale, per cui è il caso di dire che c’è pane carasau e pane carasau. Chi è per la qualità dovrebbe adottare l’esercizio della comparazione, per la gioia di scoprire prodotti di sempre migliore qualità, dando meno peso alle guide specifiche di prodotto e più al proprio palato, l’unico giudice a cui dover rispondere.

Illadare, stesura dei panetti in dischi finissimiIlladare, stesura dei panetti in dischi finissimi

Il pane dei pastori
Di origini antichissime - pare addirittura che già fosse presente nell’isola nell’era nuragica - nella storia più recente il pane carasau affonda le sue radici nella zona più montuosa della Sardegna, la Barbagia, precisamente nella provincia di Nuoro,  dove le mogli dei pastori avevano escogitato di preparare loro questo pane dall’importante apporto energetico (alta concentrazione di carboidrati) che si sarebbe conservato per un lungo tempo durante la transumanza. Questo grazie a una doppia cottura, che di fatto è l’ultima fase del ciclo di preparazione del carasau, in gergo chiamata carasatura (tostatura) cioè una seconda ripassata in forno per togliere la più parte di acqua e far sì che non si creasse mollica, che lo rendeva secco e meglio conservabile.
Le sfoglie così ottenute fungevano dapprima da piatti su cui i pastori usavano consumare prima altro cibo (la ricotta e altri formaggi prevalentemente) per poi essere mangiate a fine pasto.

Cochere, la prima infornata di una tundaCochere, la prima infornata di una tunda

Un rito di famiglia e di vicinato
L’usanza di preparare questo pane nelle famiglie della zona si è perpetrata come una sorta di rito - scandito come vedremo da diversi passaggi - che si ripeteva a cadenze stabilite, con il coinvolgimento di familiari e vicini di casa, principalmente donne, a cui in cambio veniva dato cibo o soltanto restituito il favore. I vecchi di oggi raccontano come sia stato naturale crescere dentro la cultura del pane carasau. Sin da bambini la mamma chiedeva loro di aiutarla e così loro hanno fatto con i propri figli. Nella stessa misura in cui hanno imparato a mangiarlo hanno imparato a farlo.
Ogni volta ne venivano preparati grandi quantitativi, poi puntualmente riposti e custoditi in cassapanche.


 

“Sa cotta”, l’originario processo di lavorazione del pane carasau
La conoscenza dell’impegno che comportano le produzioni in generale, e quelle più complesse in particolare, dovrebbe renderci più rispettosi di quel che portiamo alla bocca e di chi ci ha messo mano.
Quanto al pane carasau ci basti sapere che è sempre stato considerato e trattato come sacro, e per questo accompagnato durante la sua preparazione da preghiere e gesti scaramantici.
Si iniziava al sorgere del sole con l’impasto, in grandi contenitori di legno, con semola di grano duro, lievito madre e acqua (operazione denominata s’inthurta), seguiva poi un’energica e lunga lavorazione dell'impasto fino a renderlo liscio ed elastico (cariare). È qui che si determinavano la buona riuscita e la durata o meno del pane. 
L’impasto veniva poi posto in contenitori di terracotta e ricoperto da teli di lana perché riposasse (fase della lievitazione, chiamata pesare, che significa alzare). Iniziata la lievitazione si procedeva con il ricavare dall’impasto panetti regolari, infarinati e riposti in canestri ricoperti da teli di lino o lana, perché continuasse la lievitazione (orire o sestare). Si passava poi alla stesura dei panetti, con l’aiuto di piccoli mattarelli e dei polpastrelli, fino ad ottenere dischi di pochissimi millimetri (illadare) poi depositati fra le pieghe di panni di lana lunghi anche 10 metri, creando pile di una decina di dischi o tundas.
A questo punto poteva avere inizio la fase della cottura, avendo preriscaldato il forno a legna, alimentato solo con legno di quercia o olivastro. Quando la temperatura si aggirava intorno ai 450/500° si poteva procedere con la prima infornata di una tunda che si gonfiava rapidamente come una palla (cochere). Questa, una volta sfornata, doveva essere sottoposta tramite un coltello ad un’operazione chirurgica di separazione delle due facce che la componevano. Ne uscivano due dischi con una parte liscia (esterno palla) e parte ruvida (interno palla). Fase certamente delicata perché si maneggiava un prodotto bollente su cui era necessario intervenire in velocità (fresare o calpire), prima che la palla si sgonfiasse e le pareti si attaccassero fra loro. Dopo la separazione si procedeva con il ripassare i dischi in forno per la seconda volta (carasare), per un tempo variabile a seconda dei gusti e delle zone di produzione. Di fatto la sfoglia di pane doveva diventare dorata con qualche puntino bruno in superficie e risultare croccante.

Fresare o calpire, separazione dei due dischiFresare o calpire, separazione dei due dischi

Oggi
La ricetta del pane carasau è ad oggi sostanzialmente immutata. Ci sono ancora donne che amano realizzare il pane carasau in casa, seguendo gli stessi identici passaggi di cui abbiamo parlato.
Tuttavia ha preso piede una fiorente produzione commerciale, che vede protagonisti piccoli o grandi panifici, più marcatamente artigianali o meno, per cui c’è ancora chi lavora a mano ma c’è pure chi impasta a macchina, così come chi utilizza il forno a legna e chi quello elettrico o a gas.
Per chi approccia l’isola, dal bar al ristorante, il pane carasau è un incontro costante, immancabile come snack per un aperitivo, nel cestino del pane dell’osteria e del ristorante di livello e pure in forma di pietanza. Senza volere quindi si entra in contatto con tanti pani carasau diversi, per piccole o grandi differenze. Una sorta di esercizio obbligato da cui, se si pone un poco di attenzione, si possono ricavare interessanti spunti e magari anche indirizzi giusti sul dove approvvigionarsi.
Nel recente tour della Sardegna, che ci ha visto incontrare spessissimo il pane carasau, ci è piaciuto prendere nota di questi “incontri”, per tirare qualche somma una volta tornati sulla terraferma.

Scorcio di BarbagiaScorcio di Barbagia

Tiu Maro’
Fra le diverse sensazioni ce n’era una persistente: il ricordo nitido di un carasau assaggiato ad Alghero, dove abbiamo fatto una breve tappa, per devianza di mestiere, ad una libreria indipendente, Cyrano, che ci aveva colpito nelle parole di Massimo Onofri  nel suo libro Passaggio in Sardegna.
In quell’occasione, essendo l’ora dell’aperitivo, ci siamo presi un buon calice di bianco, che ci è stato servito con stuzzichini e qualche cialda dell’immancabile pane carasau: fragrante, con un gusto che rimandava direttamente al grano, croccante e scioglievole dalla sottigliezza.
Non ne abbiamo chiesto immediatamente conto, lo abbiamo fatto dopo, una volta rientrati a casa.
Prontamente i gestori ci hanno risposto che il pane carasau che propongono fa parte di una selezione di prodotti di qualità della Sardegna pensati per l’HO.RE.CA, Tiu Marò, brand che esiste da molti anni sul mercato, grazie all’impegno dell’azienda distributrice Marongiu Catering di Sennori (SS).
A questo punto contattiamo il titolare, Franco Marongiu, che ci parla di “un pane fatto bene, a mano, con farine selezionate, che ha il pregio di rimanere - aspetto questo interessantissimo - croccante anche in quelle zone dove l’umidità del mare si fa sentire e già tagliato a misura di cestino”.
 E aggiunge “Il problema è che se ne mangia troppo! Tra l’altro abbiamo fatto realizzare anche dispenser da collocare nei ristoranti e negli alberghi, perché se gli ospiti hanno gradito possano pure acquistarlo direttamente”.
Lavorare bene paga: chi è per la qualità riconosce chi la pratica e ci si imbatte senza bisogno di segnalazioni speciali.
 

a cura di

Simona Vitali

Parma, la sua terra di origine, e il nonno - sì, il nonno! - Massimino, specialissimo oste, le hanno insegnato che sono i prodotti, senza troppe elaborazioni, a fare buoni i piatti.
Non è mai sazia di scoprire luoghi e storie meritevoli di essere raccontati.
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