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Cherubini

16/12/2024

Cherubini

Scrivere di Mattia Corbellini mentre si sorseggia una delle sue bolle rende tutto più semplice.
Lo rappresentano davvero. È un’espressione che solitamente si usa nel mondo dell’artigianato, quella del prodotto che racconta il produttore, ma in questo caso è calzante.
Bastano pochi scambi di parole per capire che Mattia è un vignaiolo pragmatico, poco amante dei riflettori, sempre meno tollerante alle fiere, con le sue idee, la sua riservatezza, una buona dose di franchezza. Esattamente come di grande schiettezza sono i suoi vini, i vini dell’azienda Cherubini: decisi, ritmati, in continua evoluzione non appena si posano nel bicchiere.

 

Dal ristorante alle prime bottiglie

Mattia non nasce agricoltore. Bazzica fin da giovane nel mondo della ristorazione per assorbimento familiare. Migra a Londra, poi torna in Italia e rientra operativo nel ristorante di famiglia dove comincia a dare ascolto all’interesse per il vino. Come spesso accade a chi è in sala, ne approfitta per assaggiare, farsi un’idea generica, poi via via più specifica, del territorio che lo circonda, la Franciacorta, e non solo. Nel 2011 si dedica a un primo appezzamento di 3000 metri, quindi mette in piedi le prime basi. Esce con le prime bottiglie e la fa assaggiare al ristorante, raccogliendo da colleghi e clienti i primi pareri. Furono incoraggianti, al punto da stimolarlo a pensare di dedicarci sempre più tempo.

“Come ho imparato? Sperimentando, come hanno fatto tanti altri che non hanno avuto un’azienda alle spalle. L’errore in agricoltura, come in vinificazione, è seguito da una perdita ma sicuramente anche da un arricchimento. Ogni volta che sbagli impari, aggiusti, trovi l’assetto nell’operazione successiva. Quindi ho imparato così a fare il vino”.
Impariamo a conoscerlo man mano che si racconta, senza filtri o timori.
“Ma sottolineo che ho imparato e sto imparando, ogni giorno assimilo qualcosa di nuovo. Credo che pensarsi arrivati sia la prima sconfitta per un produttore. Faccio questo mestiere da più di dieci anni ma ogni volta penso di essere all’inizio” ci racconta mentre inizia a spendere parole sul suo metodo strettamente artigianale.

Mattia CorbelliniMattia Corbellini

 

Il vigneto dietro al convento
Nel 2013 Mattia giunge all’attuale cantina. O meglio, al vigneto, che è stata la vera scoccata che l’ha indotto a cambiare vita. 

Quando ce lo si trova davanti, anche nei freddi mesi invernali, si capisce tutto: si tratta di un impianto del 1965, distante in linea d’aria appena due chilometri dal centro di Brescia. Praticamente un vigneto urbano, ma sembra di essere in un micro-mondo a parte. I filari ospitano solo Pinot Nero e Chardonnay, e sono situati in una porzioncina di terreno dietro a un convento, in una sorta di anfiteatro, baciato da un’esposizione ideale.
Sono a circa a cento metri d’altezza, rivolti verso sud, costantemente rinfrescati da una brezza fresca che scivola giù dai rilievi dietro stanti.
“Ho apprezzato da subito le condizioni ottimali di questo posto. Non è l’unica caratteristica che mi ha convinto: siamo a due passi dall’inizio della zona di Franciacorta, nella parte orientale, con un terreno dal substrato particolare, differenziato rispetto a quello che connota la zona vitivinicola più nota ed estesa della Lombardia. Qui il suolo è caratterizzato da fossili e argilla rossa. Sotto presenta una roccia viva, ricca di strati calcarei di origine marittima, che conferiscono ai vini acidità e mineralità, due fattori ideali per la mia idea di vino”.
Ed erano proprio queste le sensazioni che ricordavamo dopo gli ultimi assaggi - tutti metodi classici - di Mattia Corbellini. Ma non le uniche.
 

Cherubini

Ostinazione e libertà

Non solo il territorio e non solo il vigneto fanno il vino. I francesi ce lo hanno insegnato con quella parola magica; un termine olistico su cui tutto il mondo ha iniziato a costruire la comunicazione, ma potevamo arrivarci dalla semplice osservazione del lavoro dell’artigiano. 

Quando s’incontrano produttori come Mattia si capisce che pur impiegando le stesse risorse, le stesse uve, proveniente dal medesimo vigneto, non si avrebbe mai un prodotto uguale. 

Il terroir è anche mano.
“Il mio obiettivo è portare il territorio nel bicchiere, quindi intervengo il meno possibile: non irrigo e non diserbo, impiego solo rame, zolfo e zeolite. Poi c’è tutta la parte di vinificazione e affinamento. In un’azienda come la mia occupa una fetta di tempo importante, direi totalizzante. Non mi avvalgo di aiuti esterni e cerco di fare tutto in autonomia. Quello che vedete qui è l’azienda”.
Mentre ci racconta questo metodo agli antipodi rispetto alle grandi realtà franciacortine disvela la cantina, indicando il torchio, le vasche di fermentazione, le barrique su cui tutti i vini sostano fino alla messa in bottiglia. 

La tecnologia all’interno è praticamente inesistente. Si effettuano, inevitabilmente, le analisi, e i parametri enologici vengono monitorati, ma c’è molto sentire, molto ascolto.
“Ho scelto di svolgere la maggior parte delle operazioni manualmente, comprese le sboccature, consapevole che un giorno molto vicino dovrò apportare dei cambiamenti. Oggi prendo in mano ciascuna bottiglia, dal primo imbottigliamento alla fine, una decina di volte. Molto tempo, molta fatica, mi direte. Però sono soddisfatto. Credo che il metodo classico sia la modalità di vinificazione in cui, per forza di cose, il produttore manifesta la sua identità, compiendo scelte precise in ogni fase, dall’inizio alla fine. Dietro c’è un investimento di tempo importante, ogni scelta o operazione sbagliata può tramutarsi in una perdita o determinare risultati inattesi, ma ci credo e mi ripaga”.
Man mano che il Subsidium - cuvèe composta da Chardonnay e Pinot nero, affinata 60 mesi - si muove nel bicchiere, esprimendosi con grande intensità, ma anche freschezza, ne abbiamo la conferma. Dietro uno spirito libero - quello di Mattia Corbellini lo è senz’altro - non può che esserci un vino vivo.

 

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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