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Daniele Piccinin

Daniele Piccinin

Questa rubrica dedicata al vino, pur avendo accolto vignaioli con diverse storie e collocazioni geografiche, pare attraversata da un filo rosso comune. 

Un aspetto che lega tutti gli intervistati è il focus delle conversazioni: non si è parlato solo di bottiglie, annate, note di degustazione. È venuto spontaneo concentrarsi su altre tematiche: sul pensiero in campo, sulla natura, la circolarità, la sostenibilità delle produzioni. Questo è un grande indicatore narrativo. Ci ricorda che, se lo si vive come si dovrebbe, il vino è un prodotto agricolo e culturale, prima che una bevanda che crea brio e accompagna il pasto. Ne abbiamo parlato anche con Daniele Piccinin, un nome noto del panorama vitivinicolo veronese.

Daniele Piccinin

Chi è Daniele 

Daniele Piccinin è vignaiolo dal 2006. La sua azienda, Muni, è nata a San Giovanni Ilarione, in Lessinia, in una fascia territoriale particolarmente vocata alla coltivazione della vite, sia per l’altitudine lieve (tra i 300 e i 500 metri) che per l’esposizione verso sud/sud-est.

Alla prima vendemmia le uve raccolte erano Durella, una varietà locale, e Chardonnay. Daniele, però, nasconde un passato da cuoco e ristoratore. E da qui parte la nostra conversazione.

“Il cibo e il vino hanno parecchie cose in comune. Una delle più evidenti è il coinvolgimento dei sensi. Ho lavorato in cucina, poi in sala, ed è lì che sono stato affascinato dalla viticoltura. La nostra sfera sensoriale va sempre allenata ed è senz’altro questo che tiene insieme i due mondi, il cibo e il vino, dentro e fuori un ristorante. Se si lavora con uno spesso è facile anche rimanere sedotti dall’altro”.

Essere stato dall’altra parte lo aiuta anche a gestire in modo accorto, e prioritario, le relazioni con la ristorazione.

“Abbiamo sviluppato un bisogno negli ultimi anni. Ossia di conoscere quanto più possibile le persone che acquistano i nostri vini. C’è proprio l’esigenza di dare loro una corrispondenza narrativa, di scoprire cosa fanno nei loro locali, di farci conoscere a nostra volta, di mettersi in contatto. Il mondo del vino è cambiato negli ultimissimi anni. Se fino a qualche anno fa il vino convenzionale era entrato in contrapposizione con quello naturale, non sempre di ottima fattura, oggi le persone, il pubblico professionale, ma anche i clienti dei locali, scelgono prodotti buoni, privi di difetti, che esprimano una certa personalità e abbiano dietro una storia tangibile. Ecco allora che andare lì, proprio lì a conoscere chi propone i tuoi vini, diventa fondamentale”.

Daniele Piccinin

Rompere il concetto di monocoltura

Daniele e la sua azienda hanno sempre manifestato il desiderio di contrastare la monocoltura. Ci piace anche chiamarla agricoltura per sfruttamento. 

“Penso che l’uomo debba dedicarsi ad un’agricoltura in grado di rigenerare, di mantenere vivo il suolo. Anzi, ci immaginiamo di lasciarlo più vivo di come l’abbiamo trovato.

Il nocciolo della questione è: è possibile applicare questo modello su larga scala? La mia risposta è sì, a fronte di costi inevitabilmente più elevati. La strada da percorrere è quella della riduzione dei consumi, questo ridurrebbe molto il bisogno delle monocolture. La sovralimentazione, l’eccesso dei consumi, è un fenomeno da contrastare con decisione”.

 

Ma parliamo ancora di suolo, un cruccio per Daniele e la sua azienda.

“Bisogna tenerlo vivo, per questo studiamo e preserviamo gli organismi che popolano i nostri vigneti. Prima dell’avvento della tecnologia avveniva esattamente così, grazie alla rotazione delle colture e all’assenza di trattamenti. Non si stressava il terreno, non lo si deturpava, ci si prendeva cura della sua ricchezza e biodiversità. Dovrebbe andare esattamente così, è il nostro modello di riferimento”. 

Daniele Piccinin

Essere vignaiolo 

Abbiamo chiesto a Daniele cosa significhi essere vignaiolo.

“Bella domanda. Per me significa essere integralmente dediti alla vigna. Lo definirei un innamoramento mutevole, che si evolve e consolida nel tempo. Ogni vendemmia passata è un’esperienza, un tesoretto. Ogni vendemmia che arriva è un’emozione nuova. È importante però non vederne solo l’aspetto puramente romantico. È fondamentale fare archivio, avere un proprio database che contenga parametri precisi, misurabili, di come si sono comportati uva e mosto, di come si siano evoluti nel tempo i vini. Nel nostro caso il campo della sperimentazione è ampissimo, specie con la Durella, una varietà locale che vinifichiamo sia per il bianco fermo (in purezza e non) che per la bolla. È un’uva dal potenziale elevato. Non mi nascondo: sto cercando ancora di capirla. Il mio obiettivo è attraverso lo studio ricavarne il massimo godimento”. 

Stando al posizionamento nei locali e all’apprezzamento del pubblico Daniele potrebbe già ritenersi soddisfatto. Ma c’è qualcosa, un motore che spinge, che lo induce a voler perfezionare i propri vini e a voler capire fino a dove possono arrivare. La questione etica, i propositi, però, non passano mai in secondo piano. Infatti, ci saluta così:

“I miei vini sono sottili, eleganti, stretti, ricalcano le caratteristiche del suolo e delle uve. Questo perché il mio essere vignaiolo sarà sempre legato a un concetto di rispetto territoriale: vini vivi perché così sono anche i terreni da cui provengono”.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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