Il grande dizionario di cucina
Nell’introduzione si legge: “L'uomo ha ricevuto dal suo stomaco, alla nascita, l'ordine di mangiare almeno tre volte al giorno, per riparare le forze tolte dal lavoro e, ancor più spesso, dalla pigrizia”.
L’opera colossale di Dumas non è un vero e proprio libro di cucina: non si trovano nuove ricette, pesi o misure, consigli o descrizioni tecniche di preparazioni ma si gusta un magnifico invito letterario a pensare alla cucina come arte, cultura e storia, farcendola di aneddoti conditi con arguzia, mescolando memorie personali con racconti di viaggio e incontri insoliti, apparecchiando, infine, numerosi riferimenti storici: poco importa se reali o immaginari, come nei suoi romanzi, perché sempre e comunque ricchi di un fascino travolgente.
Il testo è un vero e proprio dizionario in ordine alfabetico: si parte dalla parola Abaisse, una sorta di pasta frolla fino a Zucchetti uno stufato italiano. Ogni voce è farcita di numerose ricette: in totale sono circa 3000, molte delle quali dedicate alla carne e soprattutto alla selvaggina, “carne tra le carni”. Se Dumas considerava il vino come “la parte intellettuale del pasto”, la carne ne era “la parte materiale”.
Molte preparazioni fanno parte della grande cucina classica francese e internazionale, alcune ricette sono riportate da altri cuochi, citati o meno nel testo, mentre altre solo immaginate, come quella a base di canguro (“facciamo con la coda del canguro, molto muscolosa e molto forte, una zuppa che supera ogni altra nel suo sapore e nella sua bontà”) o di piedi di elefante.
La descrizione dell'ostrica, presente in tutti i menu dell’epoca, non manca di sapore: “uno dei molluschi più deprivati della natura perché non ha testa, né vista, né udito, né olfatto; il suo unico esercizio è dormire e il suo unico piacere è mangiare.” Tra le sue ricette esotiche e ironiche, Dumas propone quella delle zampe d'orso impanate con gelatina di ribes rosso o la frittata delle grandi uova di struzzo.
Molte sono le imprecisioni come, ad esempio, l’origine del tacchino, secondo l’autore portato dai gesuiti dall'India e non dall’America, ma rese accettabili dal punto di vista letterario. C’è da immaginare il divertimento di Dumas nell’ideare alcuni nomi di recette: Testa di cinghiale alla Machiavelli, Aragosta alla Borgia, Braciola di vitello al Doge di Venezia, senza dimenticare Il pollo alla Cinque Giornate di Milano, La beccaccia al quadrilatero veneziano e La piramide al ritorno degli eserciti. Grazie alla sua permanenza a Napoli fu un estimatore dei “Macheroni alla napoletana”, ricetta che esportò a Parigi, in antitesi con la versione con il tartufo e spacciata come napoletana, servitagli dal suo amico e musicista Gioacchino Rossini: fu la fine di una grande amicizia, naturalmente.