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Enrico Mazzaroni, 53 anni, studi all’Università di Bologna e attività in diritto internazionale ma il richiamo della tua terra, i bellissimi Monti Sibillini, ha vinto.
Quando sei tornato, ormai diversi anni fa, hai cominciato ad occuparti della ristorazione nell’agriturismo di famiglia: mai avuto un momento di ripensamento?
“Quasi mai, forse nel periodo più duro della mia carriera di cuoco. Ho scelto consapevolmente di fare questo mestiere che ho imparato, giorno dopo giorno, ad amare e continuerò ad amarlo”.
Quanto incidono i luoghi in questa professione?
“Per me completamente. Per molti chef non è così importante, mentre la mia parte di cuoco si è formata in questo territorio ed è indissolubilmente legata ad esso. Me ne sono reso conto quando ho dovuto lasciarlo. Questo non vuol dire che le idee possano spaziare in tutto il mondo ma il territorio mi ha formato, ha dato identità precisa alla mia cucina”.
Hai cambiato, poco a poco, la cucina dell’agriturismo, grazie anche alle esperienze in Francia e Giappone, portandola a un livello di completa personalizzazione: mi dai una definizione della tua cucina?
“Credo che sia, in una parola, una cucina di sentimento e di amicizia. Ho sempre sperato che la mia cucina suscitasse dei sentimenti nelle persone, e quello dell’amicizia per me è il più importante”.
Nei primi anni 2000 la carta dei vini è stata l’inizio di un percorso che ti ha portato a creare un ristorante gourmet all’interno dell’agriturismo, nella squadra è entrato tuo cugino, Gianluigi Silvestri, nel ruolo di sommelier e direttore di sala: come è cambiata la percezione del vino in questi ultimi anni?
“È cambiata molto, l’approccio ai vini è diventato sempre maggiore, con una competenza più alta tra le persone. Si prediligono le degustazioni rispetto alla bottiglia e questo vuol dire che c’è fiducia in chi propone, in questo caso Gianluigi. E questa fiducia genera nuova conoscenza, si aprono bottiglie di piccoli produttori, di cantine che hanno una visione molto chiara dell’importanza, in tutti i sensi, che riveste il vino a tavola. Il cambiamento è in meglio, naturalmente, e ha dato vita anche a un lavoro di ricerca nel redigere la carta, non solo i vini che vengono proposti dal distributore ma scoperte che facciamo andando direttamente nelle cantine italiane”.
Percezione del vino ma anche diversa percezione della ristorazione. Qualcuno dice che al ristorante non si va più per mangiare ma per vivere un’esperienza. Non sono d’accordo su questa definizione, ma come viene vissuto il tuo ristorante?
“Devo dire che anch’io credo che il motivo principale per cui si va al ristorante è per mangiare bene, le persone devono essere soddisfatte del cibo. Poi viene l’esperienza, fatta di ambiente curato, di accoglienza, di conversazione e conoscenza. Non bisogna perdere di vista il motivo principale e, nel mio ristorante, le persone sono sempre venute per mangiare bene, sia quando eravamo trattoria sia ora che abbiamo un ristorante gastronomico e devo dire che io esco sempre alla fine di ogni pasto e li invito a farmi anche critiche e queste sono rivolte, quando ci sono, sempre verso il cibo. Per me è un arricchimento ascoltare, recepire, perché comunque, anche se non si è un critico gastronomico, le persone hanno delle sensazioni che vanno sempre espresse”.