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Esperienze da manuale

17/10/2024

Esperienze da manuale

Solitamente in questo periodo dell’anno usciamo con un articolo che tira le somme dell’estate. Un bilancio in cui si tiene conto di numeri, presenze, cose andate bene e cose andate meno bene, ora che le cifre sono più nitide. Qui sotto non troverete numeri ma solo alcune situazioni - tratte da locali di vario genere e pubblico - che diventano spunto di riflessione. In estate… e per tutte le altre stagioni. 

 

Chi deve essere il primo a dettare le regole?

Negli ultimi anni ci siamo ritrovati a leggere, o a raccontare, soprattutto l’esperienza al ristorante percepita da un numero esiguo di commensali (il singolo, la coppia, al massimo tre o quattro persone). Lo dobbiamo sicuramente all’attenzione mediatica per il settore, alla smania di criticare in modo soggettivo ciò che viene servito, come viene presentato, abbinato, cucinato, raccontato. La maggior parte delle ‘ispezioni’ si concentrano su questo, sul momento-topico dell’esperienza eno-gastronomica individuale, mentre si parla decisamente meno delle cene o dei pranzi di gruppo sottovalutando il valore di un’esperienza positiva al ristorante anche quando cadono delle ricorrenze o vi sono eventi speciali, ritrovi sportivi, religiosi, tra amici.

Vogliamo dedicare uno spazio a questo tema anche perché le insegne allocate al mare, sulle montagne o fronte lago sono prese d’assalto nei mesi estivi (e questo si ripeterà tra poco, con l’arrivo delle festività) e non è così inusuale che in viaggio, oltre a famiglie e coppie, vi siano anche gruppi più o meno numerosi.
Anche se spesso queste persone sono legate da qualche attitudine condivisa, l’eterogeneità delle esigenze è praticamente una regola, acuita dalla crescente richiesta di pietanze speciali (dal senza glutine ai cibi senza lattosio, dalle diete vegetariane alla molteplicità di cibi “senza").

Il punto, non chiaro a tanti ristoratori, è che accettare un gruppo significa prima di tutto correre un rischio. 

Mi viene alla mente una cena in una località della riviera adriatica, a pochi passi dal mare, a cui ho preso parte ai primi di giugno. Sin dal primo istante la percezione del gruppo è che l’insegna non fosse strutturata per accogliere 12 persone. Non basta mettere insieme tre tavoli per saper far fronte a una comitiva, né per far sentire gli ospiti a proprio agio. E infatti la sensazione diffusasi in pochi minuti è che non si fosse affatto i benvenuti.

Prima di accettare una prenotazione il ristoratore deve essere certo di avere i presupposti organizzativi per gestirla! 

Quante persone posso accettare contemporaneamente? Ho un personale numericamente e qualitativamente in grado di sopportare il carico? Questo dovrebbe chiedersi.

Più persone sedute allo stesso tavolo possono alterare i tempi, complicare l’organizzazione della cucina, mandare in tilt la sala, quindi compromettere anche la buona riuscita del servizio degli altri ospiti. Se il locale non è strutturato per avere gruppi le complicazioni sopracitate sono praticamente inevitabili… e i ricordi negativi si moltiplicano per quanti sono transitati quella sera.

Siamo tutti d’accordo circa le note dolenti che accompagnano le compagnie; spesso sono scomposte, complesse, a volte (ahinoi) anche irrispettose, ma è il ristoratore che deve dettare le regole e lo può fare in un modo molto semplice: anche rifiutando la richiesta. In molti casi gli avventori che si muovono in gruppo non conoscono il luogo, stanno cercando un ristorante sufficientemente capiente a tentativi e magari non hanno avuto il tempo di documentarsi sull’insegna. È il ristoratore che, al momento della chiamata per la prenotazione, deve essere consapevole di quale numero di ospiti è in grado di gestire nello stesso tavolo e in generale nella sala, l’editoriale del mese scorso trattava una dinamica analoga. Una consapevolezza che, oltretutto, non può mancare in un locale che non è di primo pelo ma si presenta come una ‘solida realtà storica della zona’. La solidità passa anche, o forse soprattutto, per queste accortezze.

Esperienze da manuale

L’intelligenza nella raccolta ordini e nella narrazione

La bravura del personale di sala, lo sapete per esperienza diretta se siete ristoratori, sta anche nella capacità di piazzare alcune proposte tenendo conto della freschezza delle materie prime, dei tempi del servizio, della deperibilità di alcuni ingredienti, e di tanti altri fattori che attraversano il ristorante in quel preciso momento. Fattori che molte volte il cliente ignora, ma accetta e rispetta implicitamente se sceglie di affidarsi al cameriere.
La potremmo chiamare intelligenza di piazzamento (se avete definizioni migliori fatevi avanti!) e si sviluppa solitamente con tanta esperienza. È tutto lecito, strategico e funzionale all’organizzazione del ristorante, come ci ha raccontato in più occasioni anche Lorenzo Dornetti nella rubrica che cura per questa rivista. L’importante è che si rispettino le scelte del cliente, sia lasciata libertà, o che le eventuali regole vengano spiegate accuratamente per tempo. Ecco, se non ci sono questi presupposti e si mira solo alle proprie convenienze il ristoratore fa tutto fuorché una bella figura. 

Per spiegarmi meglio porto alla luce un’altra vicenda.
Stiamo parlando ancora di una cena di gruppo, numericamente più contenuto rispetto a quello precedentemente citato. Ho trovato assurda l’insistenza del ristoratore nel convincere gli ospiti a ordinare tutti piatti uguali, evidentemente per far marciare più velocemente la cucina. Se riponi sul tavolo dei menu à la carte e non aggiungi nessun’altra informazione non puoi presentarti qualche minuto dopo pretendendo che tutti abbiano voglia di mangiare le stesse pietanze. Il “ci penso io, vi porto questo, vi porto quello…” senza che gli ospiti te l’abbiano chiesto non può esistere!
Oltretutto stiamo parlando di un’insegna con prezzi non così modici, dove si sottintende che vi sia un livello di servizio e cura allineati alla spesa. Qualsiasi persona prenda posto nella sala di un ristorante merita la stessa attenzione, lo stesso rispetto, lo stesso trattamento, la stessa libertà. Il prezzo che andrà a sostenere è uguale a quello delle altre persone presenti quella sera, non si possono fare differenze. E pensare che la percezione del cliente sia di minor importanza solo perché fa parte di un gruppo è profondamente sbagliato! 

Esperienze da manuale

Ma del buono c’è eccome

Ho apprezzato di buon grado, invece, le modalità di prenotazione sempre più accurate di alcuni ristoranti. Mi riferisco a prenotazioni telefoniche e online. Veicolare informazioni precise a chi sta prenotando non è ‘voler mettere in chiaro le regole di casa’ o ‘infarcire di imposizioni l’ospite’, come sostengono alcuni; piuttosto direi che è un ottimo modo per iniziare a dialogare con il cliente ancora prima che questo faccia ingresso, evitare che la clientela sia spaesata o prenoti in un locale che non fa al caso suo.

Inoltre, mi sono sorpresa per le premure riservate al cliente anche quando è solo. È di qualche mese fa la notizia rimbalzata su diverse testate che alcune insegne non accettino prenotazioni per una persona. Nelle settimane che ci lasciamo alle spalle ho invece constato che tanti ristoranti hanno la bravura e le capacità di far sentire incluso, accompagnato, in altre parole benvoluto, anche il cliente che si affaccia in solitaria. Mi sono sorpresa della diligenza, della capacità di coinvolgere, senza essere invadenti, rispettando gli spazi e i tempi. Non so se fosse un caso, ma ciò è avvenuto soprattutto in insegne poco conosciute, estranee a guide, classifiche e cronache varie. 

Mi domando se non sia proprio in queste due casi estremi - l’esperienza del gruppo e del singolo - che si misura l’attaccamento sincero alla parola ristorare. A voi rivolgo il quesito.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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