Solitamente in questo periodo dell’anno usciamo con un articolo che tira le somme dell’estate. Un bilancio in cui si tiene conto di numeri, presenze, cose andate bene e cose andate meno bene, ora che le cifre sono più nitide. Qui sotto non troverete numeri ma solo alcune situazioni - tratte da locali di vario genere e pubblico - che diventano spunto di riflessione. In estate… e per tutte le altre stagioni.
Chi deve essere il primo a dettare le regole?
Negli ultimi anni ci siamo ritrovati a leggere, o a raccontare, soprattutto l’esperienza al ristorante percepita da un numero esiguo di commensali (il singolo, la coppia, al massimo tre o quattro persone). Lo dobbiamo sicuramente all’attenzione mediatica per il settore, alla smania di criticare in modo soggettivo ciò che viene servito, come viene presentato, abbinato, cucinato, raccontato. La maggior parte delle ‘ispezioni’ si concentrano su questo, sul momento-topico dell’esperienza eno-gastronomica individuale, mentre si parla decisamente meno delle cene o dei pranzi di gruppo sottovalutando il valore di un’esperienza positiva al ristorante anche quando cadono delle ricorrenze o vi sono eventi speciali, ritrovi sportivi, religiosi, tra amici.
Vogliamo dedicare uno spazio a questo tema anche perché le insegne allocate al mare, sulle montagne o fronte lago sono prese d’assalto nei mesi estivi (e questo si ripeterà tra poco, con l’arrivo delle festività) e non è così inusuale che in viaggio, oltre a famiglie e coppie, vi siano anche gruppi più o meno numerosi.
Anche se spesso queste persone sono legate da qualche attitudine condivisa, l’eterogeneità delle esigenze è praticamente una regola, acuita dalla crescente richiesta di pietanze speciali (dal senza glutine ai cibi senza lattosio, dalle diete vegetariane alla molteplicità di cibi “senza").
Il punto, non chiaro a tanti ristoratori, è che accettare un gruppo significa prima di tutto correre un rischio.
Mi viene alla mente una cena in una località della riviera adriatica, a pochi passi dal mare, a cui ho preso parte ai primi di giugno. Sin dal primo istante la percezione del gruppo è che l’insegna non fosse strutturata per accogliere 12 persone. Non basta mettere insieme tre tavoli per saper far fronte a una comitiva, né per far sentire gli ospiti a proprio agio. E infatti la sensazione diffusasi in pochi minuti è che non si fosse affatto i benvenuti.
Prima di accettare una prenotazione il ristoratore deve essere certo di avere i presupposti organizzativi per gestirla!
Quante persone posso accettare contemporaneamente? Ho un personale numericamente e qualitativamente in grado di sopportare il carico? Questo dovrebbe chiedersi.
Più persone sedute allo stesso tavolo possono alterare i tempi, complicare l’organizzazione della cucina, mandare in tilt la sala, quindi compromettere anche la buona riuscita del servizio degli altri ospiti. Se il locale non è strutturato per avere gruppi le complicazioni sopracitate sono praticamente inevitabili… e i ricordi negativi si moltiplicano per quanti sono transitati quella sera.
Siamo tutti d’accordo circa le note dolenti che accompagnano le compagnie; spesso sono scomposte, complesse, a volte (ahinoi) anche irrispettose, ma è il ristoratore che deve dettare le regole e lo può fare in un modo molto semplice: anche rifiutando la richiesta. In molti casi gli avventori che si muovono in gruppo non conoscono il luogo, stanno cercando un ristorante sufficientemente capiente a tentativi e magari non hanno avuto il tempo di documentarsi sull’insegna. È il ristoratore che, al momento della chiamata per la prenotazione, deve essere consapevole di quale numero di ospiti è in grado di gestire nello stesso tavolo e in generale nella sala, l’editoriale del mese scorso trattava una dinamica analoga. Una consapevolezza che, oltretutto, non può mancare in un locale che non è di primo pelo ma si presenta come una ‘solida realtà storica della zona’. La solidità passa anche, o forse soprattutto, per queste accortezze.