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Far quadrare i conti

13/03/2025

Far quadrare i conti

“Come stanno andando le cose?”.
Basta fermarsi qualche istante in più a tavola, aspettando a fine cena, quando le luci della cucina si sono spente, e porre questa fatidica domanda a un ristoratore, per capire che le cose nella ristorazione stanno cambiando davvero.
Non si tratta di pessimismo. Non siamo qui per demolire o scoraggiare chi ama questa professione, la difende, la trasferisce alle nuove generazioni, se la tiene cucita addosso. Semmai tutt’altro. Il nostro ruolo di comunicatori passa anche per la raccolta di informazioni, la mediazione, l’analisi dei dati, l’ascolto (mai compulsivo o finalizzato al gossip, ma questo lo sapete). E quindi siamo qui per confermare, sulla base anche delle nostre esperienze e di quanto intercettiamo ogni settimana, che gli equilibri si stanno spostando. Le condizioni che sussistevano nel 2019 ci paiono sempre più lontane. C’è un nuovo ordine - o meglio disordine - mondiale, dicono tutti. E riguarda anche questo settore.

La risposta a quella domanda, purtroppo, arriva più o meno sempre puntale: “è difficile stare in piedi”.
Poi ci sono le attitudini, l’ottimismo, la capacità di trovare strade alternative, di reinventarsi, è vero. C’è chi organizza serate, trova nuovi format promozionali, propone menu calcolati al centesimo. Ma la costante che attraversa tantissime attività di ristorazione, in questa fase storica delicatissima, è la complessità della gestione economica. È difficile far quadrare i conti.
È un continuo esercizio di riassetto degli acquisti; di limare da una parte per non dover tagliare dall’altra. È difficile gestire la forbice, specie perché questo nodo convive con altre due insidiose appendici: il problema del personale e la disomogeneità settimanale delle prenotazioni. È difficile trovare personale capace, formato, che rimanga e che aderisca al progetto; è sempre più dura riuscire a garantire uno stipendio dignitoso a fronte di quanto sono elevate le spese. È estremamente complicato spalmare le prenotazioni su giorni che non siano venerdì, sabato, domenica e festivi. Quello della concentrazione delle prenotazioni è un tema che ferisce da tempo ma oggi sembra non esistano davvero altri momenti per uscire a pranzo o a cena, per godersi il piacere a tavola (fanno eccezione i pranzi di lavoro, che però giocano un’altra partita, e di certo non tengono in piedi i locali che nascono per offrire tutt’altra esperienza ai commensali).
Ma gli aspetti più ostici, appare evidente, riguardano i costi delle bollette, delle materie prime, degli stipendi e la perdita di potere dacquisto di giovani e famiglie. Sono proprio questi fattori che ridisegneranno, probabilmente, la geografica dell’ospitalità del nostro Paese. Anzi, lo stanno già facendo.
A fronte di tutto questo, come si può affrontare questo contesto così arido e imprevedibile?

Far quadrare i conti

Non lesinare sulla qualità
Come di consueto, abbiamo voluto coinvolgere alcuni ristoratori. Il primo è Christian Fava, del ristorante Tracina di Cesenatico. Christian, dopo essersi preso cura della sala, è rientrato in cucina. Ha il polso dei costi, dei flussi, e con molta fermezza sta attuando scelte oculate per far marciare senza ripercussioni la cucina - di pesce - del suo ristorante.
“Una delle voci di costo più rilevanti in Italia continua ad essere quella del personale. Rispetto a qualche anno fa è aumentato anche perché si sono azzerate le risorse di supporto (si riferisce a stagisti e tirocinanti, pagati sensibilmente meno rispetto a un dipendente ndr). Questi costi, uniti alle materie prime, ci obbligano a riformulare le spese per la cucina, tra le poche su cui possiamo davvero intervenire. Noi però non abbiamo mai nemmeno lontanamente ipotizzato di abbassare la qualità delle materie prime. Non fa parte del nostro modo di intendere la ristorazione. Abbiamo quindi percorso due strade: il menu giornaliero anziché il menu stagionale e la scelta di non concentrare la proposta su prodotti di lusso. Mi spiego meglio: se avessimo un menu sempre uguale per un periodo di tempo prolungato sarebbe difficile stilare un prezzo di copertura, cioè che copra tutte le oscillazioni di valore del prodotto. Lavorando con il fresco, e formulando le proposte in base a ciò che ci offre il mercato ittico, in cui mi reco personalmente ogni giorno, riusciamo ad essere più elastici.  Per quanto riguarda la tipologia di prodotti: non lesiniamo sulla qualità, quello mai, ma abbiamo eliminato o ridotto sensibilmente l’acquisto di alcune referenze di lusso, come caviale, ostriche o pesci di pregio. Ce li concediamo quando è possibile. Stando in sala, in passato, ho compreso che il cliente è in grado di percepire la qualità del prodotto qualunque sia la categoria o il livello merceologico. È soddisfatto se lo paga il giusto anche se dovesse avere un valore di mercato più contenuto”.
 Christian si riferisce al cosiddetto pesce povero - sarde, alici, sgombri, totani - una famiglia che in realtà merita sensibilità, rispetto e può essere valorizzata in qualsiasi genere di cucina, dalla tradizionale alla creativa.
“Le persone scelgono un locale valutando sempre di più la capacità dell’insegna di far star bene l’ospite, non di esibirsi in voli pindarici. Questo implica che si dia più valore, guardando al mio, all’abilità di cucina, più che al contorno o all’esclusività del prodotto. L’altra grande sfida a cui sono sottoposti Christian e Tracina riguarda l’ottimizzazione dei costi del servizio e del personale. Un fattore di cui abbiamo parlato con Marcello Trentini che da poco ha annunciato e chiuso il mitico Magorabin a Torino.

 

Lo spaghetto di TracinaLo spaghetto di Tracina
Christian FavaChristian Fava

Le ragioni che spingono a chiudere o a riformularsi

Marcello ha annunciato la chiusura di Magorabin - locale che ha nutrito per 22 anni, di cui 13 insignito della stella Michelin - con un post sui social, a metà febbraio. Lo abbiamo sentito non per cavalcare l’onda, bensì per come si è espresso, con onestà e chiarezza, rispetto alle ragioni di questa decisione. La premessa è che in queste settimane non ha smesso di cucinare: conduce Casamago; locale inaugurato sei anni fa, dall’anima decisamente più funky, dove girano cibo, vino e musica su binari più leggeri rispetto a Magorabin.
“Prima del 2020 in Italia si stava consumando un’epoca d’oro per la ristorazione. Un’onda lunga, determinata dalla mediaticizzazione della cucina e dall’assegnazione di valore alla figura del cuoco, sempre più sovrapposto all’immagine della rock star o del calciatore. L’affermazione del cuoco come personaggio mediatico ha aperto tante opportunità per il fine dining, è chiaro. Si sono ‘scoperti’ gli stellati, prima erano un campionato a parte. Era evidente che questa bolla fosse destinata ad esplodere o a ridimensionarsi notevolmente. Ora, complici più fattori, siamo dentro a questa esplosione”.
Marcello Trentini continua la sua lucida analisi di quanto avvenuto negli ultimi anni, prima di giungere alle condizioni personali - ma enormemente diffuse - che stanno spingendo molti locali alla chiusura.
“In quell’arco di tempo sono aumentate persino le iscrizioni agli istituti alberghieri, c’era veramente un interesse smodato. Con la pandemia, oltre ad essersi ridimensionato l’appeal per un certo tipo di ristorazione, la maggioranza degli italiani ha dato fondo ai propri risparmi. Ci ricordiamo, dopo le chiusure forzate, quanta voglia di uscire, andare al ristorante e godersi la vita, c’era nel nostro Paese?”.
Eccome se ce lo ricordiamo. Era una corsa alle prenotazioni.
“È inutile girarci tanto attorno, rispetto a quel periodo sono cambiate le disponibilità economiche delle persone e, di pari passo, i costi di gestione di un ristorante sono saliti alle stelle. Le bollette, il personale, le materie prime: tutto concorre a scoraggiare l’attività imprenditoriale. Se dimezzi gli incassi e raddoppi le spese non ci vuole un genio della matematica per capire che il sistema non è più sostenibile. E tenere aperto un locale a pranzo per un paio di tavoli, come vediamo nell’infrasettimanale di tantissime attività, è una follia”.
Queste considerazioni di Trentini si sovrappongono ai racconti di molti altri ristoratori, soprattutto in quelle insegne in cui le spese necessarie a mantenere in piedi l’attività sono tante, variegate, consistenti (pensando a un ristorante di fine dining, dal tovagliato a, banalmente, il costo dei calici da vino, fino ad arrivare a tutte le inezie… che sono inezie solo in apparenza).
“Oltre ad aver maturato l’idea piano piano, ho analizzato il recente trend di chiusure dei locali simili a Magorabin negli ultimi mesi. Davanti all’ineluttabilità dei fatti ho preso questa decisione. Chiudere non è un dramma se si ha l’attitudine a reinventarsi e se si vive l’ambito professionale con flessibilità. In Italia, a differenza di molti altri paesi, abbiamo l’idea che ‘una strada sia per sempre’. Spesso, invece, cambiano i requisiti e bisogna sapersi plasmare. Ho scelto il lavoro del cuoco e del ristoratore perché ne sono innamorato ma so che non esiste un solo modo per svolgere queste professioni. Non so cosa riserverà il futuro… al momento sento di volermi dedicare con più serenità a uno spazio semplice, più facile e privo di sovrastrutture”.

Marcello TrentiniMarcello Trentini

Al di là dell’esperienza di Trentini, è assodato che il problema economico in Italia sia schiacciante.
Nell’attesa che venga pubblicato il Rapporto Annuale sulla Ristorazione della Fipe, guardando ai dati di fine anno è chiaro che il settore regga ma non brilli (a dicembre 2024 il fatturato delle imprese della ristorazione ha registrato una crescita reale dell’1,1% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Nella media dell’anno, a fronte di un significativo rallentamento dell’economia, l’incremento è stato dello 0,7%).
Il confronto con i ristoratori - ma anche con baristi, enoteche e locali affini, colpiti in prima linea da questo andamento - ci ha fatto raccogliere molte preoccupazioni. Difficile dire cosa ci riservi il futuro ma ci sono degli elementi su cui vale la pena puntare. Per esempio sulla propria capacità di adattamento, che si sviluppa solo quando si presta ascolto, si analizza, ci si confronta. Barricarsi nel proprio locale senza indossare uno sguardo lungo non cambia di certo le condizioni. Non può risolverle. Manca il supporto delle istituzioni, e non vi diremo mai che non è così; ma voi, come ristoratori, potete fare molto. Scegliete, in primis, in cosa ridimensionare, in cosa tagliare, eventualmente come cambiare. Una strada non è per sempre. Ce lo hanno suggerito anche Christian Fava e Marcello Trentini.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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