Anno 1810. L’energia elettrica era agli albori, i paesi italiani di sera vivevano nel buio e le fabbriche sorgevano, principalmente, in luoghi dove scorrevano fiumi. Per questo motivi i fratelli Zucchi, dopo San Fiorano e Sant’Angelo Lodigiano, si stabilirono a Pizzighettone (CR) nei pressi del fiume Adda. Sono passati 213 anni da allora e l’azienda Zucchi esiste ancora, alla sesta generazione di famiglia, con quasi 400 milioni di euro di fatturato e 160 dipendenti.
Con Giovanni Zucchi, amministratore delegato di Oleificio Zucchi, percorriamo la vita e la contemporaneità di quest’azienda che, oggi, fa della sostenibilità, in maniera concreta, una ragione della propria storia.
Oleificio Zucchi ha una storia molto lunga e, come tutte le storie così intense, ha accumulato dei valori importanti: me li racconta?
“L’azienda è nata nel 1810, quando il commerciante di prodotti agricoli Carlo Vitale Zucchi sposa Rosalinda Sfoglio, la figlia di un torchiaro di semi di lino. Il lino, insieme all’uva che in queste zone era diffusa, era una coltura molto praticata, sia da foraggio che da tessuto. La produzione di olio di lino era, quindi, molto importante. L’azienda, fondata nel basso lodigiano, arriva a fine ‘800 a Pizzighettone e, in quel contesto, il paese fu elettrificato grazie proprio agli Zucchi. Con quelle risorse i due fratelli si separarono e uno si trasferì a Cremona in un contesto di prima industria vera e propria. Siamo nel 1920, e da lì, attraverso il passaggio di tre/quattro siti produttivi, arriviamo a oggi con un’azienda che fattura quasi 400 milioni di euro, 160 dipendenti e due grandi aree di sviluppo: la produzione per l’industria alimentare e l’imbottigliato per retail e fuoricasa. In questo lasso di tempo ci sono state anche delle crisi da cui siamo sempre usciti grazie ad un’attenta focalizzazione sul merito e senza dare per scontato il ruolo di imprenditori per naturale vocazione familiare. Noi siamo storicamente conosciuti come pagatori molto puntuali - per papà, che è mancato da pochi mesi, è sempre stato un punto di orgoglio - e abbiamo un’etica degli affari che, a volte, ci ha portati a uscire da mercati troppo spregiudicati per i nostri valori. Abbiamo trasformata e resa più attuale, negli anni più recenti, questa etica attraverso il concetto della sostenibilità con un approccio globale sul tema. Abbiamo anche svolto un ruolo di impegno civico nel settore oleario, portando contributi e idee al settore, non guardando solo al beneficio della nostra azienda, scegliendo politiche industriali di acquisto e vendita oggettivamente differenti dalla concorrenza. A questo aggiungiamo una politica di servizio che ci viene riconosciuta dal mercato e di innovazione di prodotto; siamo stati i primi a lanciare la confezione da 10 litri sul mercato che ha avuto un impatto molto importante e, ultima ma non ultima, la creazione del Fritturista, l’olio di semi di girasole alto oleico da frittura che stiamo presentando in queste settimane: un olio che vanta il 25% di resa in più, ha una maggior resistenza all’ossidazione e almeno il 50% in meno di odore in frittura”.
Lei, nel 2014, ha scritto un libro dal titolo molto provocatorio: l'olio non cresce sugli alberi. Come è cambiato, negli ultimi anni, il mondo dell'olio, c'è più cultura, più consapevolezza delle differenze, del mercato?
“Dipende da che lato guardiamo questa cosa. Nel libro parlo di blend, un concetto che non abbiamo inventato noi, che in Italia esiste da almeno un secolo ma del quale siamo stati i primi, questo si, a parlarne diffusamente. Oggi tutti parlano di blend, i frantoiani, i concorsi, le riviste specializzate; se andiamo ad otto anni fa, all’epoca dell’uscita del libro, non c’era tutta questa attenzione e posso dire che quel messaggio è passato. Se invece guardiamo il presente dal lato consumatore siamo ancora un po’ indietro anche se, anche qui, alcune cose sono cambiate come, ad esempio, la scelta di comprare 100% italiano sia in GDO sia, soprattutto, sul mercato diretto che sta dando vita anche al fenomeno dell’oleo-turismo. Rimangono tuttavia sempre vivi, anzi aumentano nel tempo, una sorta di auto-illusione sulla provenienza dell’olio e alcuni falsi miti in materia olearia come ad esempio: solo l’olio di pasta gialla è quello di altissima qualità, l’olio che pizzica non va bene e via di questo passo”.