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Giuseppe Portanova e Silvia Sacchi

20/11/2024

Giuseppe Portanova e Silvia Sacchi

Urbino è nota come ‘la città ideale’ del Rinascimento, rappresentata in un dipinto famosissimo attribuito a Piero della Francesca, grazie al mecenatismo del suo signore – Federico di Montefeltro - che la fece costruire nel ‘400. È anche la città che ha dato i natali a Raffaello Sanzio e, oggi, è un luogo di serenità dall’alto dei suoi 451 metri sul livello del mare, quell’Adriatico che si può vedere nelle giornate più luminose.

È qui che incontriamo Giuseppe Portanova e sua moglie, Silvia Sacchi. Due ragazzi che hanno fatto una scelta decisamente contro-corrente: quella di aprire un piccolo ristorante di una ventina di coperti lasciandone un altro che faceva numeri molto più importanti.

Il perché ce lo spiegano in questa intervista che comincia con la storia professionale di Giuseppe Portanova.

Giuseppe iniziamo dalla tua storia…

“Il mio nuovo mondo inizia nel 2011, dopo aver frequentato la scuola d’arte. Per mantenermi durante gli studi, a cominciare dai 14 anni, andavo a fare il cameriere in un locale – Il Cortegiano – che esiste tuttora: 110 coperti, la parte bar, ambienti enormi. Nel 2011, appunto, il proprietario decise di vendere il locale e, con il mio socio di allora, decidemmo di fare la scelta un po’ folle di acquistare la licenza. Un po’ folle perché io non sapevo nulla di cucina. Mio fratello Oris che lavorava al Cotidie con Bruno Barbieri a Londra mi disse se ero impazzito! Il primo mese andavo prestissimo a casa della titolare per imparare le sue ricette, alle 10 aprivamo il ristorante e cercavamo di fare la nostra parte. Così per un mese finché mio fratello mi chiamò a Londra per uno stage, aprendomi un universo. Ho capito quanto sia indiscutibile la figura del grande chef ma ancora di più ho potuto scoprire l’importanza dei ragazzi che stanno dietro allo chef. Lavorare con una brigata di ragazzi italiani dove il napoletano ti insegna a pulire il pesce, il ligure ti spiega il pesto più buono, il toscano ti fa vedere la cottura della carne perfetta, ti fa capire quanto sia straordinario quel mondo. Lì ho agito come una spugna, chiedendo l’impossibile, ho imparato tantissimo ma avevo ancora tanto da assimilare per diventare esperto. Una volta a casa spendevo metà dello stipendio che guadagnavo andando per ristoranti; è un esercizio fondamentale! Andammo avanti così per una decina d’anni, con un discreto successo ma sentivo che mancava qualcosa al mio modo di intendere il ristorante”.

Giuseppe Portanova e Silvia SacchiGiuseppe Portanova e Silvia Sacchi

Quel qualcosa, immagino, che ti ha spinto a passare da un locale di centinaia di coperti a un piccolo ristorante boutique. È così?

“Esattamente! A gennaio 2021 abbiamo deciso, con Silvia mia moglie, di iniziare i lavori in questo posto. Perché questa scelta? Mi mancava l’idea del dialogo con l’ospite che in un locale grandissimo non era possibile; di associare la cucina all’emozione. Quella stessa che provavo da piccolo di fronte al profumo dell’arrosto cucinato in casa dai miei nonni. L’idea di avere qualcosa da condividere con Silvia. Abbiamo fatto questa scelta nel periodo peggiore, quello della pandemia Covid, ma allo stesso tempo, è stata la nostra piccola fortuna per il fatto che, consegnando nelle case degli urbinati, ci siamo fatti conoscere per il momento in cui avremmo aperto”.

Giuseppe Portanova e Silvia Sacchi

Parliamo della tua cucina: come la definisci? Bisogna per forza cercare l’ingrediente che stupisca o si può trovare anche nella semplicità e nella tradizione questa materia prima?

“Sto facendo lo stesso percorso di mio fratello Oris. Lui è un purista della tradizione ma altrettanto è partito da lì per cercare nuove tecniche. Quando ho aperto in carta avevo qualche piatto particolare ma il resto era tradizione allo stato puro: un picio con ragù di cortile, i bucatini cacio e pepe che avevo chiamato ricordo d’infanzia. Vedevo, comunque, che i piatti particolari funzionavano di più. Non saprei, oggi, dare un nome preciso alla mia cucina ma di certo so che territorio e origine restano al centro, con uno sguardo al futuro che vuol dire sostenibilità, prima di ogni altra cosa, alla tecnica che ci aiuta ad essere credibili perché poter estrarre un vegetale senza rovinarne le proprietà vuol dire parlare del grande aiuto che la tecnologia può dare a noi cuochi. Uso tantissimi prodotti del mio territorio ma non dimentico che Urbino è la culla del Rinascimento e quel periodo ci ha insegnato a rompere gli schemi; qui siamo in mezzo tra mare e montagna e la mia cucina è una combinazione tra questi due elementi: la terra e il mare. Non faccio una cucina per moda ma perché la vivo; ogni mestiere deve far parlare di sé e l’unico modo per raccontarmi sono i miei piatti. Quando andiamo in vacanza, che sia una meta esotica oppure una località italiana fuori dalla mia regione, i nostri ospiti più assidui sanno che, al ritorno, troveranno in alcuni piatti il racconto di quell’esperienza. Dopo una vacanza in Thailandia c’era in carta il menu Porthainova, con un khao soy, una zuppa a base di crostacei e curry con i maccheroncini di Campofilone. Chiaro però che ci sono mostri sacri che non tocco: la parmigiana è la parmigiana, la lasagna pure. Non parlarmi mai di lasagna scomposta!”

 

C’è sempre un dietro le quinte in un ristorante e, spesso, riguarda i rapporti con il personale: come li gestisci?

“La confidenza fa perdere la riverenza. Questa è la frase più diffusa nel sistema inventato da Escoffier ma io non la sento per niente mia. Non riesco a non preoccuparmi della vita delle persone che lavorano con me molte ore al giorno, non riesco a non instaurare un rapporto più amicale. Ho preso molte botte sui denti per questo mio modo d’essere ma insisto. Continuerò ad essere così. Io penso che tutti i ragazzi che fanno parte del Portanova facciano parte del nostro progetto. In cucina con me c’è Luca, un ragazzo di Bertinoro che è venuto a vivere a Urbino per lavorare qui. In sala c’è Ivan che è con noi da quando abbiamo aperto, siamo amici da sempre e, con lui, ho rotto la regola di non mischiare mai lavoro e amicizia ed è stata una grande fortuna. Ci lascerà tra un po’ perché va a vivere a Tenerife e ci mancherà tantissimo. Andremo a cercare qualcuno per la sala ma vogliamo chi abbia davvero voglia di fare questo lavoro. Da parte nostra, nei colloqui, diamo sempre, concretamente, l’idea di essere una garanzia per il loro futuro. Ho avuto la fortuna di avere dei titolari così e voglio riprodurre quello che è capitato a me. Non ho mai avuto un giorno di ritardo nello stipendio nella mia vita e voglio che sia sempre così, non è pensabile che il mio personale debba subire i miei eventuali problemi. Non esiste che le persone debbano chiedere lo stipendio, è una cosa infame. Lo stipendio deve arrivare sempre e in modo puntuale”.

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Come reagisce Urbino, città d’arte per eccellenza, alla tua proposta di ristorazione? Sono più i turisti o gli urbinati gli ospiti del Portanova?

“A Urbino, per anni, ha avuto una ristorazione mordi e fuggi. Si veniva a Urbino per la città, l’arte, la cultura ma non per dare valore al cibo, anche se questa è una terra ricchissima di materie prime straordinarie. Quando abbiamo aperto nessuno credeva che, con questa nuova proposta, avremmo superato i sei mesi. Invece dobbiamo prima di tutto ringraziare gli urbinati che ci hanno spronato e incentivato. Nel periodo invernale lavoriamo tantissimo con gli urbinati e gli ospiti di vicinato, da Riccione, San Marino, Pesaro. D’estate, invece, il 70% della clientela è il turista straniero. Amazing è la parola che sentiamo di più in sala”.

 

Tua moglie Silvia è fondamentale. Così l’hai definita in un nostro precedente incontro. Spiegami perché?

“Perché è una maledetta spronatrice! Ti faccio un esempio: cambio del menu a ogni stagione. Per me è il periodo più intenso, proviamo e riproviamo ogni piatto fino a definire la carta. Una volta deciso per me è fatta, mi rilasso. Dopo due giorni Silvia torna con una nuova idea. Lei è un laboratorio di idee, una punta di diamante della sala del Portanova. Lei studia ogni dettaglio della sala, mentre siamo in giro sulle nostre colline blocca l’auto solo perché ha visto in lontananza un cespuglio di fiori che starebbero bene sui tavoli. Ha una passione smodata per le cose belle, solo per la propria soddisfazione, che contagia i nostri ospiti”.

 

Non ci resta che chiederlo a lei. Silvia, della sala ti piace più il dialogo con gli ospiti o la preparazione degli spazi?

“Domanda facile! Il contatto con le persone è la risposta, perché è uno scambio continuo di pensieri, di idee. Ti racconto un episodio successo proprio oggi a pranzo. È venuta una signora che frequentava, molti anni fa, questo stesso luogo che, al tempo, era l’Osteria dell’Adelina. L’Adelina, mi ha raccontato la signora, era famosa per i suoi biscotti all’anice che teneva custoditi in un bastone di legno. Era una cosa che non sapevo e che mi ha subito fatto venire un’idea che vedrai realizzata la prossima volta che verrai. Questo lavoro mi è sempre piaciuto, mentre studiavo giurisprudenza ho fatto un’esperienza scuola-lavoro in un bar. Quell’esperienza mi ha fatto capire che non sarei mai stata un avvocato, pur laureandomi, ma avrei lavorato in una sala di ristorate. Cosa che poi ho sempre fatto. Mi piace dire che è stata la sala a scegliermi e non il contrario. Al Portanova ho raggiunto la mia massima espressione perché è una cosa mia e di Giuseppe, è la nostra vera casa. Qui accogliamo gli ospiti mettendo su ogni tavolo un diverso biglietto di benvenuto che ricavo dalla mia altra grande passione: la lettura. Quella stessa che mi ha portato ad aderire all’iniziativa della Biblioteca per la cura di sé: si tratta di una rete di locali pubblici a Urbino che mette a disposizione dei propri ospiti libri che possono portarsi via e, una volta letti, riportarli in uno di questi locali”.

Giuseppe Portanova e Silvia Sacchi

Torniamo a Giuseppe con un’altra domanda: hai ambizioni di stella Michelin o di punteggi alti nelle guide? Come giudichi il loro ruolo attuale?

“Quando abbiamo aperto il pensiero era solo uno: facciamo un ristorante come piace a noi, da ospiti del ristorante e da titolari. Non avevamo in mente di raggiungere le guide. Dopo un anno ci arriva il riconoscimento della Michelin e ricordo perfettamente l’emozione di quel giorno. Ci siamo resi conto che c’è un organismo di controllo che può avvalorare il valore più importante: quello che ti viene riconosciuto dai tuoi ospiti. Ti direi una bugia se affermassi che non mi impegno per questo. Mi serve per tutelarmi, sono ambizioso e mi piacerebbe giocare in serie A. È quindi ovvio che ne sarei felice. Farsi conoscere è sempre difficile e la presenza in guida è un tramite ancora importante, soprattutto per la clientela straniera”.

 

Sei il presidente dell’associazione Ristoratori Città di Urbino: quale importanza ha l’associazionismo in questo settore?

“Fare il presidente di un’associazione di ristoratori è un’impresa difficile perché, purtroppo, si guarda ancora tanto al singolo interesse. Però voglio farlo, credo molto nella condivisione, nel confronto. Sto cercando di creare una progettualità per la ristorazione urbinate, far capire che siamo tutti sulla stessa barca e non dobbiamo affondarla. A Urbino, nel raggio di poche decine di metri ci sono cucine per tutti i gusti e per tutte le tasche, dobbiamo semplicemente farci conoscere di più e meglio. Solo l’associazionismo può aiutarci in questa impresa”.

Quale futuro per la ristorazione in Italia? Cosa si dovrebbe cambiare se è necessario?

“Si deve cambiare. È indispensabile. Partiamo dai due fattori fondamentali, di cui si parla da tempo: personale e materia prima. Ma aggiungo una parola in più: atteggiamento. Infatti negli ultimi anni ho visto nascere tantissime realtà, con molti soldi da investire ma con pochissima identità. La domanda che mi faccio è: qual è l’idea? Dov’è l’anima di questi posti? Ho visto nascere bellissimi locali dove entri, mangi bene ma non ti lasciano niente, potrei essere a Urbino come a Dubai. Non mi raccontano niente. Essere a Urbino vuol dire far parte dell’arte e della cultura di quel luogo. Da noi usiamo le ceramiche di Urbino come piatti perché rappresentano il territorio. Vorrei una ristorazione credibile, con una propria identità. Vorrei che ogni persona che lavora nel ristorante conoscesse il luogo dove si trova, le sue materie prime, la sua bellezza naturale e artistica per poterla raccontare agli ospiti che vogliono ascoltare. Un’ultima considerazione: i ristoranti grandi saranno destinati a chiudere, perché non ci sarà abbastanza personale. Dobbiamo quindi cambiare atteggiamento in generale se vogliamo andare avanti”.

 

Portanova ristorante in Urbino

Via Cesare Battisti, 67

Urbino (PU)

Tel. 340 903 6715

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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