Le varietà più utilizzate in cucina
Se in un primo momento gli agrumi sono stati riservati alla realizzazione di bibite e di dolci, man mano che la ristorazione è cresciuta sono entrati in cucina molto più prepotentemente.
Ecco alcune delle varietà che trovano maggiormente spazio sui banchi da lavoro degli chef:
Arancia Staccia di Tursi: si coltiva nel fondovalle dei fiumi Agri e Sinni, in Basilicata. Una leggenda narra che i Saraceni avevano l’abitudine di mangiarla sbucciata, tagliata a fette, coperta da cannella e cipolla, condita con un filo d’olio. Le bucce, invece, venivano raccolte dagli abitanti e bollite con lo zucchero. Lo sciroppo, chiamato giuleppo, veniva utilizzato per condire le costolette di maiale fritte nel lardo.
Arancia del Gargano IGP: dolce e succosa, matura tra aprile ed agosto e viene coltivata nel tratto costiero del Promontorio foggiano. Protagonista dei traffici commerciali con Venezia nel Seicento, era menzionata e amata anche da Gabriele D’Annunzio.
Limone Costa di Amalfi IGP: la varietà è lo Sfusato Amalfitano, nome dovuto alla sua forma affusolata. Si caratterizza per una buccia medio spessa ricca di oli essenziali e terpeni ed è di dimensione medio grande. Il suo sapore semidolce gli consente di trovare largo spazio anche nella cucina tradizionale. Diffusa l’abitudine dei bar di servire il caffè espresso con una buccia di limone al suo interno.
Limone di Sorrento IGP: come il vicino Sfusato, anche questo ha una buccia spessa e di grandi dimensioni. Coltivato esclusivamente nei comuni della Costa di Sorrento, caratterizza il paesaggio per i tradizionali pergolati sorrentini costruiti in legno di castagno.
Bergamotto di Reggio Calabria DOP: 100 chilometri di costa jonica Reggina, sulla punta più a sud dello stivale, prospiciente allo stretto di Messina. È in quest’area dal clima tropicale temperato umido che cresce questo agrume. Qui si produce il 95% della produzione mondiale di bergamotto. Oggi impiegato soprattutto in profumeria, ha un passato in cucina come testimonia il menù di magro offerto nell’aprile del 1538 all’imperatore Carlo V, di passaggio per Roma.
Arancio biondo di Trebisacce: coltivato nel comune dell’Alto Jonio, questo agrume gode da una parte dell’influenza del mare e dall’altra del Massiccio del Pollino. Un frutto ovoidale che pesa in media 180 grammi, si caratterizza per il fatto che può rimanere sulla pianta fino a primavera inoltrata e inizio estate.
Arancia di Ribera DOP: assieme alla più nota arancia rossa di Sicilia, quella di Ribera impreziosisce le denominazioni siciliane. La sua coltivazione si estende lungo 14 comuni della provincia di Agrigento e i suoi frutti sono disponibili da inizio novembre a fine maggio. Polpa bionda e senza semi, la DOP comprende ben tre varietà.
Limone dell’Etna IGP: sono 16 i comuni pedemontani che rappresentano il suo areale di coltivazione. Le due cultivar sono Monachello e Femminello ed entrambe, grazie ad un’antica tecnica, che risale ad oltre 300 anni fa, riescono a produrre sia limoni estivi che invernali.
Limone di Siracusa DOP: coltivato tra il mare e l’entroterra nei dintorni di Siracusa, mai oltre i 210 metri. Si caratterizza per una elevata quantità di succo ed il disciplinare di produzione dispone il divieto assoluto di applicare cere e fungicidi prima del confezionamento, dunque, il frutto certificato è sempre commestibile in ogni sua parte.
La lista avrebbe potuto essere più lunga, la biodiversità agrumicola nell’Italia meridionale è entusiasmante. Un patrimonio sostenuto proprio da un rinnovato desiderio della ristorazione di dare rilievo alle tipicità locali.