A Caselle in Pittari, nel Cilento, in provincia di Salerno, la cooperativa Terra di Resilienza, co-fondata da Antonio Pellegrino, recupera grani indigeni a rischio scomparsa. Il grano recuperato è coltivato dai sei soci della cooperativa e viene offerto gratuitamente ad agricoltori locali, richiamandosi all’antica tradizione dei “monti frumentari”, con l’impegno a escludere l’uso di sostanze chimiche e a raccogliere informazioni sulla crescita del grano in “un quaderno di campagna”. Poi restituiscono alla cooperativa una parte del raccolto che viene utilizzato per produrre farine di grano tenero, duro e farro per ristoratori e commercianti del Cilento attraverso la Comunità del Cibo Slow Food Grano di Caselle, creando una filiera in cui gli agricoltori tornano a essere protagonisti del sistema di produzione alimentare di quel territorio.
Queste scelte coerenti e controcorrente fanno riferimento a una parte sensibile della comunità scientifica e all’attività di studiosi fra i quali il Prof. Giovanni Dinelli (docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari di UNIBO), ricercatore sulle diverse forme di agricoltura biologica a basso impatto, con particolare riferimento all’impatto ambientale e alle ripercussioni sulla salute dell’uomo, del genetista agrario marchigiano Prof. Salvatore Ceccarelli, considerato ideatore dei cosiddetti “miscugli evolutivi” e del miglioramento genetico partecipativo nell’agricoltura sostenibile, e della “plant breeder” Stefania Grando, specializzata nel miglioramento genetico delle piante, attenta all’adattamento delle colture ai cambiamenti climatici, alla ricerca partecipativa e l’uso efficiente delle risorse genetiche.
Cosa ha spinto questa schiera di fornai, che va infittendosi nel tempo, a coinvolgere agricoltori e mugnai nell’affrontare percorsi non facili e prontamente remunerativi? L’idea che si possano coniugare e condividere valori qualitativi, salutari, etici e sociali prendendo il meglio del passato per adattarlo al tempo presente e proiettarlo in un futuro sostenibile. Il consumo giornaliero pro capite del pane è al minimo storico, dai 1.100 grammi nel 1861 agli 85 odierni, parte dei quali finisce nella spazzatura. Sembrerebbe logico proporre alla clientela prodotti sani, di alta qualità e buona durabilità.