Come ogni anno la FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi presenta il Rapporto Ristorazione nel corso di una conferenza stampa presso la sede nazionale di Confcommercio a Roma e, come ogni anno, è un’occasione per fare il punto di come sta il comparto.
Il Centro Studi FIPE, diretto da Luciano Sbraga, svolge questa ricerca in maniera seria, puntuale e concreta, grazie al fatto che la federazione è il principale sindacato di settore, con migliaia di aderenti e una ramificazione diffusa sull’intero territorio nazionale e proprio da questo derivano i dati che il direttore del Centro Studi ha snocciolato con autorevolezza.
Il settore ha reagito bene
Il primo dato che balza agli occhi è il valore aggiunto della ristorazione nel 2023: 54 miliardi di euro che stanno a indicare come i gravissimi problemi che il comparto ha dovuto affrontare durante l’emergenza pandemica sono ormai alle spalle. Un valore aggiunto che supera quello dell’agricoltura (40,5%) e dell’industria alimentare (36,1%) e che si somma a un altro dato importante: il superamento del 2019, quando la spesa per consumi fuoricasa aveva raggiunto il massimo storico di 83 miliardi di euro: nel 2023, con un aumento del 7%, si è arrivati a 91,7 miliardi di euro con una spesa pro-capite di 1.528 euro, pari al 32% del più generale consumo alimentare.
Il tutto tenendo conto che gli aumenti nel settore sono sempre stati inferiori al tasso d’inflazione, lasciando sul campo un po’ di marginalità: 5,3% nei ristoranti, 6,2% nelle pizzerie, 4,6% nei bar e 0,6% nelle mense.
Da questi dati si evince come l’Italia sia il fanalino di coda, al quart’ultimo posto tra i paesi europei per i prezzi al consumo, con un 5,8% rispetto alla media europea dell’8,1%.
Quanti sono i pubblici esercizi in Italia
Il tessuto imprenditoriale è costituito da 331.888 imprese attive, ma se calcoliamo che diverse imprese hanno più di un punto vendita arriviamo a superare le 400.000.
Di queste 132.004 sono bar, 195.471 ristoranti, pizzerie, take away, gelaterie e pasticcerie e 3.703 sono aziende che offrono servizi di banqueting e catering.
Sono molte per il tessuto italiano? Si, in alcune aree metropolitane, infatti il dato negativo è che il 50% delle imprese non supera il quinto anno di attività. Questo denota un problema di scarsa imprenditorialità che il presidente FIPE, Lino Enrico Stoppani, ha affrontato, a una nostra domanda, con queste parole: “Questo è stato uno degli effetti negativi della liberalizzazione delle licenze che, se da un lato, è stata giusta perché di stimolo alla concorrenza, dall’altro sta generando questi altissimi tassi di mortalità delle imprese, consentendo a tutti di fare tutto e, di conseguenza, a molti di fare poco e male, soprattutto in questo settore dove si pensa, in modo sbagliato, che non ci vuol niente a saper fare un caffè o un piatto di pasta. Che ha portato ad aumentare l’alcolismo in questo Paese grazie a punti di consumo troppo facilmente raggiungibili da chiunque, c’è un problema di infiltrazione malavitosa causato dall’abbassamento della guardia dovuto alla facilità con cui si possono aprire e chiudere locali pubblici. Nel momento in cui i requisiti professionali non sono misurabili e controllati si creano questi fenomeni che causano anche la mortalità del 50% delle imprese. C’è poca imprenditorialità nel settore e come FIPE stiamo attenti, anche grazie agli enti bilaterali, a tutte le possibili soluzioni di un problema che danneggia l’intera categoria di un settore determinante per la qualità della vita e della sicurezza nelle città”.
Nel 2023 si sono iscritte 10.319 nuove imprese con alcune sorprese molto positive: il 28,9% delle imprese sono gestite da donne e il 12.9% da giovani under 35, concentrate principalmente nel segmento ristorazione (60,3%).
La ristorazione attiva tante filiere
È ormai acclarato il ruolo che la ristorazione ha nella società e nell’economia: agricoltura, pesca e industria alimentare sono in testa, seguiti dalla parte commerciale (dettaglio e distribuzione). Per quest’ultima, la distribuzione, è in atto un profondo cambiamento di prospettiva: se fino a pochi anni fa il distributore (che si chiamava grossista) era di fatto un servizio di magazzino e consegna delle merci, oggi nel distributore gli chef e i ristoratori vedono anche un consulente in grado di selezionare le materie prime migliori per i propri menu. Poi vengono le attrezzature, gli arredamenti, la carta e le stoffe, gli aspetti legati agli investimenti immobiliari, le locazioni, gli strumenti informatici, la comunicazione e via dicendo.
Soprattutto la ristorazione è sempre di più un asset formidabile del turismo, la principale tra le industrie italiane. Molti turisti, nella scelta dell’Italia, pongono il mangiar bene tra i principali motivi di scelta della destinazione.