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La mela “Rosa Romana” è un frutto antico dell’Appennino Tosco-Emiliano dove sembra fosse coltivata già dagli Etruschi, per poi essere diffusa dai romani in Italia da nord a sud della penisola (affreschi pompeiani ne riproducono cesti). Ulisse Aldrovandi (naturalista e botanico, studioso delle diversità del mondo vivente) la illustra e descrive alla fine del ‘500, ipotizzandone l’origine nell’Epiro. Una ricerca dell’Università di Bologna (Distal) ha censito settanta siti con piante di Rosa Romana sopravvissute sull’Appennino nelle provincie di Bologna e Pistoia. Molti sono alberi secolari riscoperti vicino a siti archeologici etruschi e romani, a volte presso pievi e castelli.
Questo frutto per secoli ha alimentato un fiorente commercio lungo il nostro paese e verso l’estero, fino agli anni ’50 del secolo scorso, costituendo uno fra i principali nutrienti delle popolazioni montane assieme a castagne-marroni e derivati, quando fu abbandonato a favore della melicoltura di pianura, più adatta a gestioni intensive e meccanizzate. L’attenzione che da alcuni anni viene rivolta alle produzioni ambientalmente sostenibili, naturali, biologiche e biodinamiche, di elevato valore nutrizionale, restituisce oggi a questa mela appenninica nuovo valore e potenziali nuovi mercati.
La mela Rosa Romana fruttifica fra i 300 e i 900 metri d’altitudine e la sua raccolta inizia intorno alla metà di ottobre. La buccia giallo-verde sfumata di rosso brillante nella parte esposta al sole; il peduncolo corto, leggermente cerosa e untuosa, con conseguente beneficio per la conservazione prolungata fuori del frigo sono le caratteristiche distintive di questi frutti piccoli e appiattiti. La polpa compatta e succosa, dal gusto dolce e acidulo molto equilibrato, presenta (ancor di più nella buccia) una elevata percentuale di fenoli. Spiccate sono le sue qualità salutistiche, cosiddette nutraceutiche per i positivi effetti sulla prevenzione di malattie varie (dalla sfera cardiaca e quella tumorale), anche con effetti antiossidanti per contrastare l’invecchiamento cellulare. Sono stati divulgati importanti risultati clinici, con diete a base di mele Rosa Romana e affini, da parte di Istituti di ricerca universitari (Bologna, Trento, Camerino, Napoli-Portici).
È una mela ottima per il consumo da fresco ma molto versatile per varie preparazioni in cucina e in pasticceria. Se ne ricava anche un bell’aceto e degli ottimi estratti che non necessitano di conservanti se non di una breve pastorizzazione.
Con tutto ciò, la varietà “Rosa Romana” rimane ancora oggi un tesoro nascosto. Quasi scomparsa al pari di altra frutta del passato ne sopravvivono ancora esemplari piantati nell’anteguerra, alcuni addirittura ultracentenari, spesso abbandonati dai proprietari dei terreni. Dall'instancabile ricerca e recupero alla fruttificazione di questi patriarchi è nato un progetto di rilancio e valorizzazione, attraverso il mondo della ristorazione e dell’artigianato alimentare di qualità, grazie all’impegno dell’Associazione Mela Rosa Romana dell’Appennino Tosco-Emiliano presieduta da Dario Mingarelli affiancato dal coltivatore-commerciante Antonio Carboni e dal giornalista del Resto del Carlino Gabriele Mignardi, infaticabile scout delle tradizioni eno-gastronomiche rurali dell’Appennino Bolognese, supportati in campo scientifico da un illustre pomologo di fama internazionale, Silviero Sansavini, professore emerito dell’Università degli Studi di Bologna.
Per rafforzare la comunicazione sulle qualità e la versatilità alimentare di questa mela sono state organizzate dal GAL con l’Associazione Mela Rosa Romana dell’Appennino iniziative pubbliche e cene in note trattorie della provincia bolognese mentre grandi artigiani e ristoratori l’hanno adottata nelle loro preparazioni e nei menu stagionali. Fra questi il pasticcere Gino Fabbri, Alberto Bettini della stellata Trattoria Amerigo 1934 a Savigno in Valsamoggia, il gelatiere Andrea Bandiera con la sua Cremeria Scirocco e il panificatore Matteo Calzolari col suo Forno Calzolari.
All’impegno di esperti ed appassionati e al sostegno delle istituzioni si è associata la Fondazione Slow Food, attraverso Slow Food Emilia-Romagna, che ha accolto la mela Rosa Romana nell'Arca del Gusto.
Ma torniamo alla nostra task force di “pronto intervento”, al gruppo di amici che condividono la passione per questa mela preziosa e, attraverso i ricordi di vecchi contadini e un continuo passaparola, partono alla ricerca di meli dimenticati, spesso in zone impervie e difficilmente raggiungibili se non con fuoristrada e lunghe scarpinate nei boschi com’è accaduto recentemente a Chiapporato, magico borgo di origini cinquecentesche oggi abbandonato, isolato nei boschi del Parco Regionale Laghi di Suviana e Brasimone, a quasi 900 metri di altitudine.
Individuata la pianta “patriarca” il gruppo ne raccoglie frutti, foglie, gemme e fotografie da consegnare al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna per il riconoscimento della varietà anche attraverso l’analisi molecolare coi marcatori del DNA.
La coltivazione è rigorosamente biologica e questo comporta rese minori e costi maggiori. Antonio Carboni ha 800 piante e non le sottopone ad alcun tipo di trattamento. La sua produzione che non basterebbe a corrispondere alla richiesta crescente ma a lui si rivolgono i coltivatori (massimamente concentrati in Valsamoggia) sapendo di spuntare prezzi favorevoli e continuità d’acquisto.
Talvolta le mele che non hanno subito alcun trattamento presentano qualche ticchiolatura. Bisogna solo convincere le persone che la perfezione apparente di un frutto non è di per sé garanzia di bontà ma può essere indice di continui trattamenti. Insomma, il raccolto quantitativamente ridotto, visto l’areale di coltivazione, la qualità altissima, i costi di impianto e il tempo necessario per arrivare alla produzione dei frutti che si aggira intorno ai 4-5 anni, valorizzano l’unicità del prodotto arricchito ulteriormente dalla narrazione intorno a questa mela, dal racconto storico e il rimando alla tradizione.
Bruno Damini