“Guardando al passato, negli anni ‘80/’90 - spiega il presidente - in agricoltura si usavano prodotti senza regole, cioè senza avere la misura di quali fossero gli effetti, perché non educati alla cultura del loro utilizzo. Ad un certo punto il legislatore si è accorto di questo problema e pure noi agricoltori ci siamo resi conto del fatto che nell’utilizzare questi prodotti eravamo i primi a rischiare la salute. C’è chi ce l’ha pure rimessa. Quindi la tutela della salute nostra e del consumatore è stato il nostro movente. Guadagnare qualcosa in più ma rimetterci la salute non mi sembra una grande idea”.
Oggi sono sette i soci della cooperativa che si sono convertiti al biologico per un areale di 200 ettari.
In più, lato consumatori, si è presa coscienza che nessuno più mangia per fame ma per stare bene.
“Ora, se questo è vero, e io credo che sia vero, - prosegue Nicola Pentassuglia - noi dobbiamo intercettare nel mercato persone interessate a questo discorso e quindi disponibili a riconoscere che la strada dei prodotti bio, comportando un certo lavoro e certi sacrifici, ha dei costi diversi dal convenzionale. Fare capire queste e altre ragioni è quanto intendiamo ottenere con il progetto PABIO, che attraverso una serie di iniziative (partecipazioni fieristiche, coinvolgimento di diversi soggetti della filiera, dai buyer ai consumatori finali) intende promuovere il valore dell’agricoltura biologica in questo territorio. Ci sono poi altri soggetti che dovrebbero fare la loro parte: la sanità in primis ma anche la stampa, per esempio. E che sia chiaro che il convenzionale, che peraltro la nostra stessa cooperativa gestisce in larga parte, non va demonizzato: in Italia le attenzioni ci sono. Il problema piuttosto riguarda l’Europa: ci sono principi attivi autorizzati in Francia, Spagna ma non in Italia. Il problema si pone quando la Spagna inonda l’Italia dei suoi prodotti”.