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Luca Castellani

12/06/2025

Luca Castellani

Isola Serafini è un’isola fluviale che si trova in provincia di Piacenza ed è nota alla maggior parte delle persone per essere associata ad una delle principali centrali idroelettriche d’Italia. Costruita negli anni ’50 del secolo scorso, quando di preservazione dell’ambiente non si parlava ancora, la centrale significò lo sbarramento del fiume Po tramite la costruzione di una diga. Questo portò allo stravolgimento dell’idrografia e all’impoverimento della fauna ittica con la scomparsa di alcune specie, tra cui lo storione. Solo nel 2018 venne aperta una conca di navigazione che fece scorrere il grande fiume riportando, in parte, un equilibrio ambientale.
Per raggiungere l’isola, oggi, occorre attraversare due ponti che impongono il rallentamento delle automobili. Un rallentamento che, come vedremo in questa conversazione con Luca Castellani, responsabile della gestione della storica Trattoria Cattivelli sull’isola, predispone a uno stato d’animo positivo gli ospiti della stessa.

Ma andiamo con ordine perché questa conversazione ci darà un senso diverso dell’idea stessa di ristorazione.

Cappelletti allo zafferano al ripieno di Cacio del Po e asparagiCappelletti allo zafferano al ripieno di Cacio del Po e asparagi

Luca iniziamo con una sintesi della storia di questa trattoria…

“La trattoria nasce nell’immediato dopoguerra (1947) grazie alla determinazione di Guido Cattivelli, il nonno di mia moglie Emanuela e di sua sorella Claudia, le attuali proprietarie. Lo chiamavano il sindaco di Isola Serafini, un’abitudine di quegli anni a dare soprannomi alle persone. Si serviva solamente pesce fritto e salumi, fino al 1951 quando, con l’inizio dei lavori alla centrale, divenne locanda, con le camere per i lavoratori che arrivarono qui. Nei primi anni ’60, terminata la costruzione della centrale, vennero chiuse le camere e Cattivelli ritornò alle sue origini di trattoria, inserendo in menu i piatti più tradizionali come lasagne, tortelli, crostate. Era anche il periodo delle merende domenicali, pomeriggi dove intere famiglie o compagnie di amici venivano per i salumi e il pesce d’acqua dolce servito fritto. Anguille e alborelle che venivano tenute, una volta pescate, in grandi vasche di cemento da cui attingere per la preparazione. Sono stati gli anni in cui, al sindaco di Isola Serafini, subentrò il figlio Valentino con sua moglie Cesira, artefici della nuova filosofia di Trattoria Cattivelli: quella di trattoria di campagna che ci portiamo tuttora appresso. Negli anni ’80 entrarono in gioco Emanuela, mia moglie, e Claudia, sua sorella specializzata in pasticceria. Si continuò a tenere alta la tradizione gastronomica del fiume Po, con la apparente semplicità di quello che significa questa parola. Io arrivo nel 1984, completamente ignaro di cosa volesse dire fare ristorazione. Venivo, infatti, da una carriera in marina militare. Mi misi di buona lena diventando sommelier dopo i corsi dell’AIS ma, in realtà, fu l’incontro con tre persone a darmi il senso di ciò che stavo iniziando a fare: Valentino Migliorini che gestiva il ristorante omonimo a Caorso, pochi chilometri da Isola Serafini, e che successivamente si ritirò in Piemonte aprendo la cantina Rocche dei Manzoni; Franco Colombani, due stelle Michelin al Sole di Maleo; Giancarlo Bossi, farmacista di Castelvetro Piacentino, grande appassionato di vini, relatore ai corsi AIS, esperto di analisi sensoriale. In quegli anni la gestione di un ristorante era decisamente più semplice, non esisteva il food cost, le tasse si pagavano concordandole. Noi fummo tra i primi a gestire i conti con un software che mi ero inventato e, alla fine degli anni ’80, potevamo contare sulle statistiche di ciò che vendevamo. I volumi di lavoro erano diventati molto alti, c’era il problema di come gestire il personale, il magazzino, le rimanenze. Problemi che dovevano essere affrontati se volevamo mantenere sana l’azienda. Il cambio fu repentino, si trattava di acquisire personale qualificato, dare un impulso diverso, un’offerta più variegata con un cambio di menu quasi ogni settimana. La gestione iniziò a diventare più corposa, i flussi di persone e di denaro più importanti, e il mio ruolo, oltre ad essere di servizio in sala, divenne sempre di più quello di gestione perché il vero commercialista, nella ristorazione, non puoi essere che tu. Il bilancio di fine anno riesci a fare in modo che sia equilibrato se tieni sotto controllo ogni singola voce. A quel tempo non esistevano studi o pubblicazioni, oltre a quelle didattiche per le scuole alberghiere, che ti aiutassero a capire come gestire un lavoro così complesso”.

Da sinistra Emanuela e Claudia Cattivelli, il cuoco Davide SesennaDa sinistra Emanuela e Claudia Cattivelli, il cuoco Davide Sesenna

Entriamo nel vivo di questa esperienza; la prima domanda è, quanti coperti fate nel corso dell’anno?

“Circa 25.000 in 300 giorni di lavoro complessivi. Una media di 83 ospiti ogni giorno. Capisci quanta cura ci vuole per dare un servizio adeguato a chi viene qui appositamente. Dico questo perché siamo vicini e lontani allo stesso tempo. Vicini perché siamo tra due caselli autostradali, lontani perché a Isola Serafini ci vieni solo per mangiare da noi e devi arrivarci piano, attraversando due ponti che ti predispongono a quella lentezza che poi ritrovi nel gusto della nostra tavola”.

 

Tu hai una predisposizione naturale al valore di un territorio: qual è il ruolo di un ristorante in questo?

“Questo territorio, della Bassa piacentina, ha acquisito valore come sistema agli inizi del 2000, quando, dando vita alla Strada del Po e dei sapori della Bassa Piacentina, abbiamo imparato tutti, pubblico e privato insieme, a conoscerci, parlarci, creando valore che, oggi, si rivolge ai tanti turisti che arrivano qui. Non è cambiato il territorio, si è semplicemente messo in rete; se da noi mangi gli asparagi ti diciamo che puoi comprarli a cinque minuti di distanza, per fare uno dei numerosissimi esempi. L’ospite capisce che in questo territorio c'è sostanza e questo diventa fondamentale. In secondo luogo gli operatori sono tutti molto seri, sono tutti molto preparati e si tengono molto stretta la propria qualità cercando, al contempo, di essere sempre molto efficienti. In questo territorio non possiamo certo fare dei numeri stratosferici, la cosa che a noi interessa di più è che il cliente ritorni, questa è la cosa più importante. Vogliamo fare cultura, far da mangiare è cultura, è un'espressione della cultura del territorio, quindi quando la gente viene a mangiare non vuol dire solamente dargli da mangiare bene, è farlo sentire a casa in un territorio che tu ami e quindi offrirgli tutte le possibilità perché quest’esperienza diventi un momento piacevole”.

Entriamo nel dettaglio, da queste parole nasce un convincimento che io ho da sempre: che gestire un ristorante è la cosa più complicata che esista sulla faccia della terra…

“È vero! Gestire un'attività di ristorazione è uno dei lavori più complessi in assoluto, perché fare ristorazione significa avere conoscenze ampie che cambiano continuamente; significa avere a che fare con materie prime che si evolvono, che oggi cucini in un modo ma sai che puoi cucinare in mille altri modi, fino a arrivare al modo di proporle, quindi ai metodi di servizio e soprattutto la cosa più complicata è cercare di capire quello che stai facendo e come lo stai facendo. Per questo io dico sempre che parlare di food cost solo in termini matematici è sbagliatissimo. Capire quanto influisce il costo della materia prima non è sufficiente. Occorre tenere sempre presente tutto quello che sta dietro al costo di gestione; è come fare un vestito su misura, quando uno va a comprare un vestito in un negozio e lo trova già pronto ha un determinato costo ma se lo vuoi su misura dal sarto i costi sono ben diversi, perché c'è dietro un'esperienza diversa, il coinvolgimento di persone competenti con bagagli di esperienza importanti che gli sono comunque costati. La gestione di questo bagaglio culturale attualmente ha un costo che il cliente non può non pagare, ma non puoi neanche dirgli che deve pagare questo bagaglio culturale che porta a un piatto perfetto, a un servizio inappuntabile, a due ore di piacevolezza. Ecco perché confezionare un prezzo adeguato è la cosa più complicata in assoluto, perché deve essere un prezzo etico per te che hai una gestione comunque corposa e deve comunque essere remunerativo, quindi avere delle marginalità adeguate; ma deve essere etico anche per il cliente, quindi io ti devo dare il miglior rapporto qualità prezzo per me ma anche per te; trovare questa quadra è la cosa più complicata nella ristorazione: perché questo è il dilemma, qual è il miglior prezzo a cui io ti posso vendere questo piatto e questo servizio?

 

Quindi la definizione corretta di food cost quale sarebbe?

“Come dicevo la semplice matematica in questi casi non è applicabile, c'è una filosofia ben diversa nell'applicare il food cost, che dipende da come tu vuoi venderti verso il cliente. Una tecnica del food cost che viene usata molto spesso è quella dove si tende a fare il prezzo del concorrente, ma la domanda che devi fare è, il prezzo del concorrente è adeguato per me? Spesso e volentieri non è così, perché i costi di gestione del mio ristorante magari sono completamente diversi dai suoi, che magari i conti li sta facendo in modo corretto, ma quel prezzo per me non è corretto, forse è migliore, forse è peggiore e quindi diventa importante diversificare anche l'offerta, in modo che uno offra dei piatti che spesso e volentieri non possono essere messi a paragone, cosa che succede naturalmente nei ristoranti stellati che lo fanno in maniera adeguata, dove si fanno dei piatti che non sono paragonabili ad altri. Però la differenza tra ristorante stellato e trattoria o ristorante di alto livello è che un piatto tradizionale - i tortelli per esempio – si può mangiare ovunque in una determinata zona a prezzi completamente diversi. Allora, quando io ti servo il mio piatto il servizio acquisisce un’importanza strategica perché prima lo devo raccontare al cliente che non lo conosce, che deve capire che cosa c'è dietro a quel piatto, quali materie prime ci sono, come sono state trattate, quali mani esperte hanno creato la ricetta, come viene portato in tavola, come è bello l’ambiente in cui lo consuma. E questi sono costi, intangibili per l’ospite ma non possono esserlo per il ristoratore. In un corretto food cost devono essere calcolati”.

LL'interno della trattoria
Porticato della trattoriaPorticato della trattoria

Come fai a gestire un bilancio tenendo conto di tutto questo?

“Quando io faccio i corsi di formazione il tortello per me è un esempio e ogni piatto deve essere analizzato come se fosse un bilancio societario perché è da lì che cominci a marginare in modo adeguato. Come dire? Ogni piatto è come un anello della catena del tuo bilancio finale, quindi non puoi permetterti di sbagliare un piatto in quanto non piace al cliente oppure non ti dà marginalità, lo studio di un piatto è fondamentale. Spesso e volentieri l'errore che il ristoratore fa è non fare l'analisi dei costi dei piatti oppure lo fa in maniera approssimativa. Mentre dovrebbe sempre tener presente che in quel piatto ci vanno inseriti tutti i costi del ristorante, dal personale in cucina e in sala fino a quello delle pulizie. Ti dirò di più, ci va dentro anche il compenso del titolare, il TFR dei dipendenti, il futuro del ristoratore quando andrà in pensione, visto che le pensioni dei commercianti sono ridicole, perché se la mia pensione un domani non mi permetterà poi di vivere in modo adeguato dopo una vita di lavoro, io devo pensarci adesso. E i software questi calcoli non li sanno fare, perché coinvolgono situazioni diverse, caso per caso, ristorante per ristorante. Questo è un dovere che ogni ristoratore deve saper gestire individualmente, se vuole che il suo lavoro venga riconosciuto e apprezzato”.

 

È per questi motivi che c’è un turn over così elevato di aperture e chiusure nell’arco dei primi tre anni di vita di un ristorante?

“I giovani ristoratori devono pensarci nel momento in cui aprono, quindi devono capire come il prezzo di vendita dei loro piatti deve essere adeguato. Ecco perché, torniamo al prezzo del tortello venduto a 7 euro e venduto a 14 euro, lì dentro ci deve essere la tutela della tua intera vita professionale. C’è poi il falso problema del cliente che potrebbe dire;  beh, devo pagartela io? Sì che devi pagarmela tu, perché quando compri, e sto estremizzando, la borsetta di Louis Vuitton a 2500 euro paghi senza battere ciglio, e anche lì stai pagando non la materia prima ma la sapienza artistica e artigianale di chi l’ha creata. Esattamente come per la ristorazione. Il problema nella ristorazione oggi è che pochissimi sanno fare veramente i conti e hanno una visione lunga. È necessario tener conto che in un’attività si reinveste continuamente; le materie prime devono essere di qualità assoluta, i forni devono essere cambiati quando si usurano, le manutenzioni vanno fatte e tutto questo va ripartito dentro un semplice tortello”.

Acquadelle di fiume fritte in olio dAcquadelle di fiume fritte in olio d'oliva
Tortino verdure e trota affumicataTortino verdure e trota affumicata

Parlando di materie prime mi viene da farti un’altra domanda: come scegli i tuoi fornitori, quali criteri adotti?

“La scelta dei fornitori è fondamentale perché il fornitore non è solamente chi ti dà la merce, è quello che rientra nella tua filosofia di ristorazione. Oggi naturalmente i fornitori sono tanti, preparati, i prezzi con cui ti danno la stessa merce sono spesso e volentieri differenti e quindi non sempre l'indice del prezzo è l’elemento determinante.  Per noi il rapporto con il fornitore è la conoscenza, il guardarsi negli occhi, quindi lo consideriamo come uno di famiglia, deve essere una persona che conosce molto bene ciò che produce e mi vende perché io devo raccontarli quando sono in servizio al tavolo, al mio cliente. Ecco perché un fornitore è fondamentale nel nostro tipo di ristorazione, perché poi le cose vanno comunicate, poi c'è il cliente che non vuole sentirsi raccontare ma c’è anche quello che invece capisce e vuole che tu gli racconti. E qui entra in gioco un altro tema che riguarda la diversa tipologia del cliente, con la conseguente psicologia che, oggi, è una delle leve principali nella nostra attività di ristorazione. Non ti devi mai mettere nelle condizioni di dire questo cliente mangerà quello, perché spesso e volentieri sbagli clamorosamente, ecco perché impari ogni giorno. Per me il cliente è sempre il signor cliente, viene prima di ogni cosa, è il faro della nostra attività. Quando tu hai un cliente che ti entra dalla porta entra in campo il sorriso, la predisposizione naturale a dargli un'accoglienza adeguata, questo è fondamentale, magari ce ne fossero di libri che ti insegnano queste cose, è solo l'esperienza in sala”.

 

Un’ultima domanda che riguarda ancora i fornitori: ci sono i produttori che hai descritto ma ci sono anche i distributori, con questi quali sono i criteri di scelta?

“Devono essere preparati e attenti. Qual è l’interfaccia del distributore che viene nel mio ristorante? È il suo rappresentante, chi rappresenta l'azienda è per me l'azienda in quel momento, quindi il distributore deve poter contare su venditori qualificati, che devono sapere come raccontarti le cose e quale prodotto comunque consigliarti rispetto ad altri. Devono motivare gli eventuali aumenti di prezzo, devono conoscere il nostro menu e saperci aiutare a migliorarlo con le loro referenze. Quando mi interfaccio con un rappresentante di un'azienda che fa distribuzione, il rappresentante deve essere corretto, la correttezza paga sempre. Quindi deve raccontarmi perché sta aumentando il prezzo, deve raccontarmi che quel prezzo lì è variato, deve raccontarmi che quella materia prima che mi sta vendendo è diversa da quello che ho preso la settimana prima. Se sei corretto e concreto, ne esci sempre vincitore comunque”.

 

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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