Cerca

Premi INVIO per cercare o ESC per uscire

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

29/01/2024

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

Scrivere per una rivista che si rivolge a un’intera filiera è responsabilità di parlare a tutti e, dove si avverte - come in questo caso - di aver trovato risposte forti per un futuro che già da ora si presenta estremamente critico, allora diventa un dovere. Dovere di chiarezza espositiva da parte nostra e richiesta al nostro interlocutore di essere didattico al massimo, perché tutto risulti inequivocabile.
In quanti conoscono davvero l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, quali sono i principi su cui si fondano una didattica che si rivolge a studenti di tutto il mondo
e un’attività di ricerca, pura e applicata, che contempla il coinvolgimento di fior di aziende?
Abbiamo scelto di parlarne con Silvio Barbero, tra i fondatori - insieme a Carlo Petrini - di Arcigola prima, Slow Food poi e oggi vicepresidente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ateneo non statale nato nel 2004 su iniziativa di Slow Food e legalmente riconosciuto dallo Stato Italiano, ubicato -  non per caso – nella significativa tenuta di Pollenzo, frazione di Bra (CN). La scelta di questa struttura carlo-albertina di natura agraria, che a suo tempo aveva pure finalità di tipo amministrativo e vocazione all’innovazione e sperimentazione (qui Carlo Alberto ha realizzato una cantina per far sì che i vini che si producevano in questo territorio avessero lunga vita come i vini francesi e pare che vi sia nato il Barolo), già esprime infatti quell’approccio multidisciplinare in campo alimentare, che rappresenta la peculiarità più marcata del modello didattico dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
Ma lasciamo la parola a Silvio Barbero.

Silvio BarberoSilvio Barbero

Dove affonda le radici l’idea di dar vita ad un’Università di Scienze Gastronomiche?
“Per poter meglio comprendere come si sia arrivati alla fondazione di un’Università di Scienze Gastronomiche, occorre partire da Slow Food e dalla sua evoluzione da club gastronomico - peraltro innovativo negli anni ’80 - a soggetto culturale, politico e sociale che affronta tutte le connessioni che il modo di produrre, distribuire, consumare cibo hanno nel rapporto con le persone, la comunità, l’ambiente. Quindi un approccio al cibo non solo sotto l’aspetto della cucina o della sensorialità ma anche della difesa della biodiversità, della tutela della sovranità alimentare quella vera, del rapporto che c’è tra l’alimentazione, lo stato di salute delle persone, lo stato di salute del pianeta. Da lì è nata tutta l’attività che come Slow Food abbiamo sviluppato nelle scuole e pure la divulgazione, quindi i Presidi, gli Orti in condotta, Master of Food, aperti a tutti gli appassionati e dedicati ai vari prodotti delle filiere alimentari, per comprendere non solo la qualità dei cibi ma per acquisire conoscenza delle filiere, del valore della biodiversità, e poi l’approccio al tema della nutrizione, quindi gli accordi che Slow Food ha iniziato a fare con l’ordine dei medici e poi la nascita di Terra Madre...  Ma, oltre alla formazione nelle scuole e alla divulgazione, c’era anche l’università... ci siamo chiesti se la gastronomia potesse essere considerata una scienza, avere dignità scientifica. A nostro avviso sì, come sosteneva lo stesso Brillat-Savarin, parlando della gastronomia come l’insieme di tutte le attività che l’uomo svolge per nutrirsi. Innanzitutto siamo andati a vedere come questo tema del cibo venisse affrontato dalla comunità scientifica e abbiamo rilevato che l’attività di produzione del cibo era di pertinenza della Facoltà di Agraria, la sua trasformazione era di competenza della Facoltà di Tecnologie Alimentari, il rapporto tra cibo e nutrizione era in capo a Medicina e ognuna di queste facoltà si muoveva in modo autonomo, affrontando un pezzo del tema del cibo dal proprio punto di vista. Perché non creare un modello universitario che mettesse assieme tutte queste competenze, quindi l’agraria, la tecnologica, la nutrizionale, aggiungendo però una quarta indispensabile colonna portante quale quella umanistico/antropologica, perché non si può parlare di cibo, alimentazione, senza avere anche questo sguardo... Ecco, il lavoro che abbiamo fatto, difficile, non compreso se non adesso in parte dal mondo scientifico, è stato non di affiancare ma creare un’integrazione di questi quattro approcci. Da qui è nata l’idea dell’Università di Scienze Gastronomiche, quindi di lavorare a un progetto scientifico/accademico per creare la figura del gastronomo del terzo millennio, che non è più solo quello che annusa i vini o assaggia il culatello (gastronomo tradizionale) ma un soggetto politico, sociale, culturale, scientifico che, partendo da lì, ha la capacità di mettere in atto le condizioni per cui oggi c’è bisogno di cambiare il sistema alimentare mondiale che non funziona più”.

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

Modello didattico: multidisciplinarietà, approccio fortemente laboratoriale e viaggi didattici…
“Nel fare il piano di studi ci siamo trovati di fronte al fatto che non esistesse una classe di laurea in Scienze Gastronomiche. Le abbiamo quindi dato forma, trovandoci però a doverle dare la veste di Agraria, che era un po’ stretto rispetto al nostro pensiero. Ci abbiamo messo 13 anni per convincere il mondo accademico e la politica che era giusto creare una classe di laurea in Scienze Gastronomiche e l’abbiamo ottenuta nel 2017. Qui si studia chimica e fisica, ma anche biologia, antropologia, filosofia, estetica, diritto alimentare, agronomia, comunicazione, economia, economia politica, climatologia... Per affrontare crisi così complesse non ci si può affidare solo all’iperspecializzazione ma al dialogo fra i saperi, precisamente a una multidisciplinarietà che fa sì che le varie materie si trasformino assorbendo il principio della filosofia gastronomica (cioè a Pollenzo non puoi insegnare la geografia come la insegni a Economia e Commercio). C’è tutto un lavoro di ridefinizione del ruolo dei singoli docenti e delle singole materie. Questa è la cosa più complicata su cui io e Carlin, che non siamo docenti, ci battiamo perché il mondo della docenza è un mondo chiuso. Abbiamo dovuto fare grandi battaglie per aprire a una multidisciplinarietà. Altra specificità del nostro modello didattico è un approccio fortemente laboratoriale (c’è un Food-lab, un Laboratorio di analisi sensoriale, un Laboratorio di economia circolare, un Laboratorio di orticoltura - abbiamo un orto dove produciamo ortaggi anche per la mensa). Una nostra esclusiva rispetto alle altre Università e che abbiamo inserito nel nostro modello didattico è di far fare, ogni anno, vere e proprie esperienze ai nostri studenti attraverso i viaggi didattici  (visitare industrie, territori, comunità contadine, cantine), questo grazie alla rete di relazioni di Slow Food, alla Banca del Vino ubicata nelle cantine dell’Università. Per non parlare di  tutte le opportunità che offre Terra Madre! Abbiamo un ufficio con 10 tutor che, insieme ai docenti, organizzano 110 viaggi didattici l’anno, in Italia, in Europa e nel mondo”. 

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

Qual è l’offerta didattica?
“Due sono i corsi di laurea: Laurea triennale in Scienze e Culture Gastronomiche (in inglese e italiano) e Laurea Magistrale in Food Industry Management (in inglese). Ci sono poi otto Master e un Dottorato inter-ateneo in “Enogastronomia, Scienze e Culture del cibo”.

Chi frequenta l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo?
“Dal 2004 ad oggi sono 3300 gli studenti che hanno frequentato Scienze Gastronomiche di cui il 56% sono italiani e il 44% internazionali (98 le nazionalità rappresentate). Sin dall’inizio abbiamo optato per un’università internazionale, così come abbiamo deciso di dedicare al diritto allo studio il 10% delle risorse del bilancio di questa Università. Attualmente abbiamo un bilancio di 11 milioni di euro. Tutti gli anni mettiamo sul piatto comunque un milione di euro. Poi ci sono anche i sostenitori di Borse di studio. Ad oggi di quel milione che noi mettiamo 250 mila euro sono contributi delle imprese per questa causa”.

Sbocchi professionali…
“Secondo le statistiche continuamente aggiornate dal nostro Career Center, gli studenti che completano il percorso di studi trovano lavoro nel 90% dei casi entro un anno. Scorrendo il report 2023 si evince che i principali settori di occupazione dei laureati di Triennale e Magistrale sono nell’ordine l’HoReCa, la Produzione agroalimentare industriale e il Turismo enogastronomico, seguiti da una miriade di altri ambiti (nel QRcode il report 2023 per intero)”.

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

Mondo impresa: attività di ricerca pura e applicata, consulenze, formazione ad hoc…
“Lo stesso approccio scientifico/filosofico che permea il percorso formativo dei nostri studenti cerchiamo di portarlo nel mondo della ricerca, soprattutto quella applicata. È qui che noi apriamo allimpresa, portandovi queste nuove istanze di sostenibilità, di tutela della qualità, di difesa della biodiversità, che il modello industriale alimentare nel tempo ha dimenticato, anzi ha teso a distruggere. Anche l’industria un pochino più responsabile ha capito che non può più andare avanti in un certo modo, affidarsi solo alla chimica, metter fuori prodotti che se valutati in tutta la loro filiera hanno degli impatti ambientali drammatici.  Il modello alimentare attuale, e questi sono studi fatti dalle Nazioni Unite, è responsabile per circa il 35% dell’emissione di gas climalteranti (soprattutto CO2, anche metano) e quindi è causa e vittima dei cambiamenti climatici, che stanno mettendo a dura prova la produzione del cibo. Dobbiamo lavorare su questo con un approccio a 360°. Per fare un esempio: ipotizziamo che io produca un cibo biologico a 1000 km di distanza e poi lo venda nell’altro capo del mondo. L’impronta ambientale di quel prodotto è comunque negativa, paradossalmente meglio un prodotto da agricoltura convenzionale fatto a 50 km di distanza. Ecco che l’approccio di filiera, multidisciplinare porta a fare delle scelte organizzative, tecnologiche, industriali, di innovazione. Questo richiede di mettere insieme competenze, capacità.
Quanta ricerca c’è da fare per cambiare i modelli organizzativi e produttivi, per fare una vera innovazione sostenibile nel campo della produzione e della distribuzione del cibo... Questo è un po’ l’obiettivo che ci siamo dati, il segnale che vogliamo lanciare. Questa Università può diventare, deve diventare una grande piattaforma culturale, scientifica per avviare una trasformazione verso la sostenibilità dei processi di produzione, distribuzione e consumo del cibo. Dobbiamo mettere assieme tutte le ricerche, avendo chiaro qual è l’obiettivo (a che fine?) e dobbiamo - questo è il grande sforzo - riuscire a fare dialogare i saperi scientifici con i saperi tradizionali. È la scienza che ci dà le soluzioni ma se questa schiaccia i saperi tradizionali non va bene. Senza questi saperi non si fa il Culatello di Zibello o il Parmigiano Reggiano. Lavoriamo molto con il mondo delle imprese, oltre che per la ricerca applicata e le consulenze, ma anche per fare formazione on demand sulle nostre tematiche (sezione che tra l’altro che coordino), definendo percorsi formativi ad hoc per quell’impresa o per quell’area di quell’impresa, mettendo a valore tutte le conoscenze che il nostro corpo accademico ha sviluppato in questi anni, facendole atterrare sul mondo e sull’esigenza specifica delle imprese”.

L’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, orgoglio italiano

Che tipo di responsabilità sente di più l’Università di Pollenzo in questo nostro complesso tempo?
“In realtà sono due le responsabilità che sentiamo più pressanti:
riuscire a tutelare il modello di produzione del cibo di piccola scala, che nell’ ipotesi della rivoluzione industriale era un modello desueto, mentre invece ancora oggi una parte importante della popolazione del pianeta vive perché c’è un’agricoltura familiare. Dobbiamo riuscire a evitare che il mondo accademico dimentichi questa realtà, altrimenti si va verso una deriva. Pensiamo che la difesa delle produzioni di piccola e media scala sia una delle soluzioni al tema della biodiversità, sostenibilità e fame nel mondo.
- l’altra responsabilità che sentiamo è quella di riuscire a rendere concreta, fattibile, la trasformazione dei processi industriali in senso della sostenibilità.  La grande responsabilità, come università, non è combattere l’industria ma accettare la sfida di dialogarci e tentare di dare soluzioni credibili anche a quel mondo lì”.

Non a caso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo conta un significativo parterre di aziende, coinvolte a vario titolo nella causa che pure alimentano, con la propria esperienza, in un costruttivo rapporto di mutuo scambio, come dev’essere quando le cose funzionano.
Noi lì abbiamo visto il futuro.

a cura di

Simona Vitali

Parma, la sua terra di origine, e il nonno - sì, il nonno! - Massimino, specialissimo oste, le hanno insegnato che sono i prodotti, senza troppe elaborazioni, a fare buoni i piatti.
Non è mai sazia di scoprire luoghi e storie meritevoli di essere raccontati.
Condividi