Dove affonda le radici l’idea di dar vita ad un’Università di Scienze Gastronomiche?
“Per poter meglio comprendere come si sia arrivati alla fondazione di un’Università di Scienze Gastronomiche, occorre partire da Slow Food e dalla sua evoluzione da club gastronomico - peraltro innovativo negli anni ’80 - a soggetto culturale, politico e sociale che affronta tutte le connessioni che il modo di produrre, distribuire, consumare cibo hanno nel rapporto con le persone, la comunità, l’ambiente. Quindi un approccio al cibo non solo sotto l’aspetto della cucina o della sensorialità ma anche della difesa della biodiversità, della tutela della sovranità alimentare quella vera, del rapporto che c’è tra l’alimentazione, lo stato di salute delle persone, lo stato di salute del pianeta. Da lì è nata tutta l’attività che come Slow Food abbiamo sviluppato nelle scuole e pure la divulgazione, quindi i Presidi, gli Orti in condotta, Master of Food, aperti a tutti gli appassionati e dedicati ai vari prodotti delle filiere alimentari, per comprendere non solo la qualità dei cibi ma per acquisire conoscenza delle filiere, del valore della biodiversità, e poi l’approccio al tema della nutrizione, quindi gli accordi che Slow Food ha iniziato a fare con l’ordine dei medici e poi la nascita di Terra Madre... Ma, oltre alla formazione nelle scuole e alla divulgazione, c’era anche l’università... ci siamo chiesti se la gastronomia potesse essere considerata una scienza, avere dignità scientifica. A nostro avviso sì, come sosteneva lo stesso Brillat-Savarin, parlando della gastronomia come l’insieme di tutte le attività che l’uomo svolge per nutrirsi. Innanzitutto siamo andati a vedere come questo tema del cibo venisse affrontato dalla comunità scientifica e abbiamo rilevato che l’attività di produzione del cibo era di pertinenza della Facoltà di Agraria, la sua trasformazione era di competenza della Facoltà di Tecnologie Alimentari, il rapporto tra cibo e nutrizione era in capo a Medicina e ognuna di queste facoltà si muoveva in modo autonomo, affrontando un pezzo del tema del cibo dal proprio punto di vista. Perché non creare un modello universitario che mettesse assieme tutte queste competenze, quindi l’agraria, la tecnologica, la nutrizionale, aggiungendo però una quarta indispensabile colonna portante quale quella umanistico/antropologica, perché non si può parlare di cibo, alimentazione, senza avere anche questo sguardo... Ecco, il lavoro che abbiamo fatto, difficile, non compreso se non adesso in parte dal mondo scientifico, è stato non di affiancare ma creare un’integrazione di questi quattro approcci. Da qui è nata l’idea dell’Università di Scienze Gastronomiche, quindi di lavorare a un progetto scientifico/accademico per creare la figura del gastronomo del terzo millennio, che non è più solo quello che annusa i vini o assaggia il culatello (gastronomo tradizionale) ma un soggetto politico, sociale, culturale, scientifico che, partendo da lì, ha la capacità di mettere in atto le condizioni per cui oggi c’è bisogno di cambiare il sistema alimentare mondiale che non funziona più”.