Marco Cicchelli è ancora molto giovane, si è diplomato all’alberghiero di Stresa nel 2008, ma può vantare una carriera solida che oggi lo vede nel ruolo di restaurant manager alla Locanda Perbellini ai Beati, una delle ultime acquisizioni di Giancarlo Perbellini.
In questa veste lo abbiamo intervistato e lui ci ha svelato un po’ di cose utili, molto utili, per chi vuole svecchiare la sala di un ristorante.
Raccontaci un po’ di te, dagli esordi post-diploma ad oggi Marco…
“Una cosa voglio anticipare prima di parlare di me, un piccolo consiglio per tutti quelli che hanno esperienza di direzione di un ristorante e per tutti i ragazzi che stanno approcciando a questa professione: non incentivate i ragazzi appena usciti dalla scuola a fare la prima esperienza in un ristorante bi o tristellato. Non fate un buon servizio al mondo della ristorazione perché quei ragazzi partono con la convinzione di essere già arrivati. E ai ragazzi dico: meglio mille passi in una trattoria per imparare dalle basi, è una condizione necessaria per crescere. Ci tenevo a questa precisazione perché lo vedo tutti i giorni questo problema e l’ho pure provato sulla mia pelle. Perché è sicuramente stimolante lavorare in una sala dove gli ospiti pretendono la bellezza in ogni cosa, dove ci sono molti stranieri tra questi ospiti e tutto ciò ti permette anche di approfondire la conoscenza di una lingua, indispensabile oggi per chi intende lavorare in sala, però, bisogna conquistarselo quel posto, con impegno e dedizione, non può arrivare quando ancora non si sa cosa si farà da grandi”.
Un’ottima riflessione la tua: ora spiegaci qual è stato il tuo percorso per arrivare fin qui…
“C’era uno zio che aveva un panificio, a me piaceva stare in quel posto, assaporare il profumo del pane, capirne le tecniche. Probabilmente è stato quello il motivo che mi ha portato a frequentare la scuola alberghiera con indirizzo di cucina. Mi sono diplomato a Stresa nel 2008. Il primo anno di scuola ho fatto una stagione al Frà Diavolo, un ristorante in provincia di Varese gestito da una signora tedesca, Marion il suo nome, che mi ha dato una prima lezione pratica su cosa significa lavorare in un ristorante. Però la visione di cosa significhi aver a che fare con un ospite l’ho ricevuta dal signor Molinari, al Souvretta di St. Moritz dove sono andato come miglior allievo del terzo anno. Da lì il Forte Village in Sardegna il quarto anno e, appena terminati gli studi sono stato assunto alla Casa degli Spiriti sul Lago di Garda. Ho lasciato il ristorante nell’anno in cui prendeva la stella Michelin per venire a lavorare con Giancarlo Perbellini, con cui è nata da subito un’autentica amicizia e, anche se poi ho cambiato ancora, per me lui è sempre stato il punto di riferimento. Ho lavorato, nel 2017, al Dopolavoro a Venezia sotto la sua direzione, dove sono diventato restaurant manager, poi ai Quadri dei fratelli Alaimo e alcuni mesi alle Calandre, il tre stelle degli Alaimo. Lì sono passato dal ruolo di restaurant manager sotto la direzione di Perbellini a porta-vassoi, ma l’ho fatto consapevolmente, per acquisire ancora esperienza. Fino al 2021 quando Perbellini assume la gestione dei Beati, a Garda, un locale storico del lago che, in un solo anno, abbiamo letteralmente rivoluzionato! Qui sono ritornato al mio ruolo di restaurant manager”
Infatti i Beati appare come un luogo di delizie non appena si parcheggia e si rivela tale quando si entra. Qual è stata la strategia e l’obiettivo che vi siete posti?
“Cominciamo dal cambio parziale del nome che è diventato Locanda Perbellini ai Beati. Con il nome di Perbellini abbiamo dato la prima sferzata creando la percezione immediata che qui si mangia bene di certo. Poi la sensazione di essere in una casa accogliente; i lavori di ristrutturazione, soprattutto della terrazza da cui si vede il panorama lacustre, sono stati eseguiti con notevole maestria e il risultato sono le persone che si dilungano tantissimo nel nostro locale. La pandemia ha lasciato, ancora oggi, un certo timore a venire al ristorante: noi dobbiamo aiutare gli ospiti a superarla e il modo migliore è creare un ambiente positivo, luminoso, dove si è accolti con professionalità ma soprattutto con un atteggiamento di amicizia. Ci si deve fidare di noi, questa è la scommessa più importante che dobbiamo vincere: nei momenti di instabilità, come quelli che ancora stiamo vivendo come società, la fiducia è la migliore delle cure! L’ospite, da noi, deve trovare semplicità, nei piatti, nelle persone, una semplicità vera, non fittizia. Solo in questo modo riuscirà a vivere I Beati come un’esperienza. E la parte più intrigante del nostro lavoro è veder cambiare gli atteggiamenti degli ospiti sotto i nostri occhi. In questo ci è d’aiuto sia la carta che il menu degustazione; lo consideriamo come se si andasse a casa di amici a cena. In quel caso nessun ospite chiederebbe cosa offre il menu!”
In sala sappiamo che ci sono problemi, in quasi tutte le sale dei ristoranti, perché è passato il concetto sbagliato di un mestiere che si riduce a portapiatti: come si fa a rendere nuovamente attrattiva la professione di sala secondo te?
“La formula probabilmente non ce l’ha neppure un mago. In più si aggiunge la carenza di personale che si è manifestata con l’effetto Covid. Però spetta a tutti noi, manager e titolari di servizi di ristorazione, dare risposte efficaci a questo che altrimenti rischia di diventare il problema più grande per il nostro settore. Le prime risposte che mi vengono in mente e che stiamo mettendo in pratica, come azienda Perbellini, riguardano gli orari e il tempo libero. Nel locale che Giancarlo aprirà a Milano tra breve i giorni di chiusura sono sabato e domenica. La seconda risposta risiede nel realizzare la doppia brigata, ma questa cosa è possibile solo con un intervento che riveda la fiscalità delle aziende: un cameriere al ristoratore costa quasi tremila euro al mese, ma in tasca gliele vanno meno della metà. Non sarebbe meglio poterli pagare di più? Il concetto di portapiatti; c’è sempre stato, ma prima c’era una professionalità che distingueva il settore e che era rispettata anche dal cliente. Ora ci sono clienti nei ristoranti che trattano i camerieri come pezze da piedi, ma se venisse trattato in quel modo nell’ambito del suo lavoro il cliente in questione come reagirebbe? C’è troppa cattiveria oggi nelle persone! Cosa chiedo ai ragazzi che lavorano con noi? Passione, passione, passione! Con la passione si possono cambiare molte cose, ci si rende conto più velocemente che fare un servizio di sala è come aprire un’enciclopedia, conoscere un sacco di persone, scoprire il mondo senza viaggiarlo. A loro chiedo di esprimere tutto quello che hanno dentro, tutte le idee che gli frullano in testa perché è con il confronto che si cresce”.
Come vedi il futuro della ristorazione in Italia?
“Sono convinto che tanta gente che ha lasciato in questi mesi tornerà, perché se hai passione questo rimane il lavoro più bello del mondo. Questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene: ci sarà una selezione naturale e quelli che oggi lavorano bene saranno premiati. E poi è necessario un ritorno alla semplicità nel piatto, al ristorante non bisogna essere intellettuali ad ogni costo”.