Il primo Stella Flora non si scorda mai.
Rievocando quell’assaggio, ormai di qualche anno fa, si è mossa un’associazione che non avevo ancora colto: lo Stella Flora, straordinario uvaggio di uve bianche di Maria Pia Castelli, indossa il colore delle Marche. Immaginatevi di sovrapporre il calice, intriso di un dorato intenso, alle delicate colline marchigiane quando, nel pieno della stagione estiva, si presentano bionde e ordinate. Avrete una percezione di continuità, prolungamento, affettività profonda. Segno, ci viene da pensare con un filo di romanticismo, che quando si vinifica con una certa attenzione, un vino è davvero figlio del suo territorio.
Come si cambia
Ripercorriamo la storia, scritta ma anche da scrivere, di quest’azienda non lontana dal suo trentesimo compleanno, attraverso le parole di Alessandro Bartoletti, figlio di Maria Pia Castelli. Alessandro oggi conduce l’attività su binari lucidissimi, come avremo modo di raccontare. Ma partiamo dalle origini, come ci suggerisce lui stesso, visto l’intimo rispetto che nutre per ciò che è stato.
“Il padre di mia madre, nonno Erasmo, piantò i vigneti qui, a Monte Urano, all’inizio degli anni ’90. Le uve che raccoglieva erano destinate a consorzi o aziende, non le vinificava. Un po’ di anni dopo mamma e papà, in ritorno da un viaggio in camper in Francia, in cui raggiunsero la Borgogna, iniziarono a domandarsi se non fosse una buona idea iniziare a produrre del vino ispirandosi alle maison francesi. Il nonno oppose un’iniziale resistenza, gli sembrava una follia. Dopo aver assaggiato i primi esperimenti di Montepulciano, affinato in barrique, dovette ricredersi! Nacque l’azienda. I primi vini messi in bottiglia furono Erasmo Castelli, dedicato al nonno, e proprio lo Stella Flora, diventato simbolo dell’azienda. L’anno successivo, quindi nel 2003, imbottigliammo anche altre due produzioni, il Lorano e Sant’Isidoro. Uscimmo due anni più tardi con le prime annate… ma il mercato subì un duro colpo nel 2008, come sanno tutti”.
All’epoca Alessandro era giovanissimo ma ricorda l’aria tesa e pessimista che si respirava nel mondo del commercio e del vino, ma pure una particolarità, tutta marchigiana.
“C’erano meno vini, naturalmente, ma le Marche godevano di una certa emancipazione. Si era formata una ristretta cerchia di produttori, i cosiddetti Piceni Invisibili, accumunati dal desiderio di valorizzare il territorio. C’era un sentimento condiviso molto più forte di oggi a cui dovremmo ispirarci”.
Alessandro è entrato in azienda nel 2009.
“Per sette anni mi sono dedicato esclusivamente a vigna e cantina. C’era bisogno di ripartire e focalizzarsi sul cuore dell’attività era cruciale. Come lo era assaggiare tante etichette, confrontarsi, fare visita ad altri produttori, leggere tantissimo. Non si arriva a comprendere se non si ha sete”.