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Nel pane e per la comunità

Nel pane e per la comunità

Facciamo rewind. Di pane abbiamo già scritto svariate volte in questo magazine, coinvolgendo più voci e seguendo diversi filoni (tematici… che vi pensate!).
Abbiamo parlato del valore del pane in termini qualitativi, del suo ruolo come alimento quotidiano, di spreco, del nuovo modo di inserirlo e valorizzarlo - anche economicamente - nella ristorazione. Ma soprattutto vorremmo sempre, in ogni stralcio di storia e narrazione che lo riguarda, unirci in coro a tutti quelli che gli attribuiscono l’egemonia culturale: sì, il pane vero, vivo, buono, deve essere presente sulle nostre tavole perché è cultura.
Dalla scelta di un pane vero - ricordiamoci cosa significa - può partire una grande rivoluzione. Ma tutto si erge dall’idea che il pane non è corredo né si merita di essere demonizzato per la natura nutrizionale (sì, dobbiamo fare anche i conti con la carboidrato fobia). Se concepito e realizzato in un certo modo è fonte di energia, esito di scelte, prolungamento di agricoltura ed esempio di interazione tra persone. Ed è proprio su questo termine, interazione - un po’ sterile, pertanto lo sostituiremo con comunità - che vogliamo concentrarci in questa uscita.

Spaccio Pani
Ho conosciuto Riccardo Amodeo un paio di mesi fa. Era piombato con due sacchi di farina sulle spalle a Noale, da Giulia Busato (a cui abbiamo già fatto appello nell’articolo Il pane di oggi e quello di domani), indossando una maglia marchiata Spaccio Pani. L’occasione era un pairing davvero singolare tra le proposte di Giulia - Tocio Bread - e diverse annate di Gravner, accompagnate nel bicchiere da Mateja Gravner. Evento che già la dice lunga sulla grande rivoluzione che sta determinando il pane contemporaneo.
Credevo che Riccardo e Giulia, colleghi panificatori, si conoscessero da tempo.
“E invece no, ci eravamo sentiti proprio perché desideravo partecipare alla serata”.
Riccardo era partito da Trieste, un giovedì sera dopo il lavoro, insomma, solo per esserci.
“Ho rintracciato Giulia tramite i social. Sono stato molto colpito dal suo modo di raccontare ciò che fa e dal come avvalora il nostro settore. C’era più di una vicinanza di pensiero e questo ci mette inevitabilmente in connessione. Credo che, in generale, nel mondo del pane contemporaneo prevalga più lo spirito di fratellanza che la rivalità”.
Mentre ci parla ripensiamo a uno dei punti de Il Manifesto dei Panificatori Agricoli Urbani,   l’associazione costituita nel 2018 da Davide Longoni (Panificio Davide Longoni, Milano), Matteo Piffer (Panificio Moderno, Isera, TN) e Pasquale Polito (Forno Brisa, Bologna). È il puto 4:

“I laboratori dei panificatori hanno pareti trasparenti. Cooperiamo condividendo ricette, consigli e fornitori. Crediamo che la rivoluzione del Pane Agricolo Urbano sia di tutti, per questo accogliamo nelle nostre botteghe chiunque scelga di intraprendere la strada del pane. Il dono e la generosità sono per noi valori essenziali. Un movimento forte e radicato, capace di nutrirsi dello scambio, è una garanzia per la prosperità e la sostenibilità di ognuno”.
In quel proposito di assenza di barriere, di muri, risiede l’eccezionalità.
Avvertiamo un forte spirito di condivisione. Non c’è protezionismo come in altri ambiti” ci conferma Riccardo. 

“Con Andrea Chittaro, Francesco Sponza, Giovanna Abbondanza e Matteo Grasso abbiamo aperto Spaccio Pani, a Trieste, da poco più di un anno e abbiamo trovato grande solidarietà intorno a noi. Io stesso prima dell’apertura sono stato un paio di settimane al Forno di Lambrate per confrontarmi sulla linea produttiva e prendere le misure”.
Una dinamica, quella della collaborazione, che ripensandoci abbiamo già sentito altre volte, rievocando immagini di panificatori che si confrontano su impastatrici, metodi, farine, in modo aperto e vicendevole, per far crescere il movimento più che un mero investimento per far crescere l’attività. Potrete contraddirci (e siamo qui ad accogliere qualsiasi testimonianza) ma non è così usuale trovare dinamiche simili nella ristorazione, in cui le energie sono spesso concentrate nel proprio rettangolo di gioco. Domandiamo a Riccardo: c’entra con l’incremento dei forni contemporanei?
“Negli ultimi due anni a Trieste, oltre alla nostra, sono nate attività sulla stessa lunghezza d’onda e ne siamo felici. Stiamo parlando di una città piuttosto ingessata in merito alla panificazione. Come in tante altre zone d’Italia si è perpetuata per anni una tradizione, che metto tra virgolette, totalmente slegata dalla qualità e dall’integrità del prodotto. Prendo il pane di segale, evidenza dei nostri legami con l’Impero austro-ungarico. È stato proposto in modo blando nella nostra città, come una reminiscenza storica, ma senza studio. Noi lo prepariamo con vera farina di segale, adottando tutti i metodi che contraddistinguono la nostra produzione, ovvero con farine scelte, lievito madre e fermentazioni spontanee. In generale, più lavoriamo uniti nella stessa direzione, più benefici ci saranno per il mondo del pane”.
Anche in merito alle resistenze culturali i panificatori moderni hanno molto su cui confrontarsi. 
“L’obiettivo è veicolare che il pane prodotto in un certo modo dovrebbe essere quotidiano e non una bottiglia rara da aprire in occasioni speciali! Abbiamo il vantaggio di lavorare con un alimento meno complicato di altri; allo stesso tempo è complesso scardinare certe abitudini. Sicuramente remando nella stessa direzione stiamo stimolando una consapevolezza”.
Come altri, Spaccio Pani (che porta la dicitura forno+ frigo) mette il pane al centro, e attorno tante altre cose: i caffè specialty, la pasticceria dolce e salata, vini e bevande naturali. Anche qui c’è una linea che accomuna molti.
“Parti dal pane, che rimane il fulcro, e poi è inevitabile che quel modo di intendere il nutrimento contamini tutto il resto”.
 

Riccardo Amodeo, Matteo Grasso, Andrea Chittaro e Francesco Sponza di Spaccio PaniRiccardo Amodeo, Matteo Grasso, Andrea Chittaro e Francesco Sponza di Spaccio Pani
Nel pane e per la comunità
Nel pane e per la comunità

Tria a Verona
Il concetto di comunità ce l’hanno già nel nome, visto che rimanda a tre, quanti sono loro: Simone, Francesco e Antonio. Ma in realtà l’aria conviviale tipica della bottega di quartiere, quella in cui sta nascendo una piccola comunità, è sempre più presente anche al civico 21D in via IV Novembre, a Verona, dove il via vai di clienti inizia alle otto e si esaurisce alle 22.
Scopriamo che molti sono già affezionati e tornano anche più di una volta al giorno.
“Oltre a sfornare in più mandate abbiamo una proposta diversificata, che copre vari momenti della giornata, dalla colazione con pasticceria dolce e salata, fino all’aperitivo. Non è stata una scelta dettata dalla moda ma da fattori precisi. Il primo riguarda le diverse attitudini che ci caratterizzano: io mi sono formato nella panificazione, Antonio e Francesco invece hanno esperienze e inclinazioni più legate alla sala e al vino, quindi il progetto è nato proprio con la volontà di condividere e dare continuità alle connessioni tra di noi. Non ci siamo inventati chissà cosa, abbiamo unito i puntini lasciando che tutti e tre potessimo esprimerci”.
L’altro fattore, ci conferma Simone, riguarda la carenza di proposte con questa identità in una città come Verona, vivace e molto frequentata dai turisti, che avverte il bisogno di innovarsi.

“Sin da quando abbiamo iniziato i lavori abbiamo registrato un buon interesse da parte del vicinato. C’era curiosità e voglia di scoprire una formula diversa dal solito bar. È piaciuta l’idea di concentrarsi su un pane con determinate caratteristiche, nato da lievito madre, da una ricerca attenta delle farine e dall’affiancarci tanto altro purché sia di qualità”. 

Questa è una conferma non solo per Simone (che dopo aver cambiato rotta, da geometra al settore della ristorazione, si è dedicato alla panificazione) ma per l’intero comparto: la voglia di pane buono, non ‘veloce’, con una spina dorsale vera… c’è, c’è eccome!
“Non guarderemmo mai l’orologio. La gratificazione è data soprattutto dal riscontro dei clienti”. Soffia nella stessa direzione il vento che si respira fuori da Tria, a contatto con altre realtà che mettono il pane al centro.
“Dobbiamo ammettere che nel nostro settore abbiamo percepito tanta partecipazione. Ci sono state delle figure chiave, a cui il mondo dei forni contemporanei deve molto, che hanno aiutato a scoprire e riscoprire il valore del pane. Poi si sono aggiunti gli eventi, la condivisione di idee, il confronto diretto. Siamo felici perché tanti colleghi sono venuti a trovarci in questi primi mesi e questo la dice lunga sulla voglia di continuare a far crescere questo movimento”.

Nel pane e per la comunità

Casa Paris

Non capita tutti i giorni di mettere piede in un’attività che non ha ancora aperto le porte per la prima volta. È quello che ci è accaduto con Casa Paris, nel settembre scorso, indirizzati dal vignaiolo Andrea Ugolotti.
Il forno di Simone Verrocchio e Martina Paris è adagiato su una posizione privilegiata, a Moscufo, in provincia di Pescara. Un angolino di prodotti profumati, conserve e altre goduriose incursioni, avvolto da linee pulite e tinte bianche. Nel laboratorio c’è una finestra che incornicia un paesaggio mozzafiato: oltre c’è ’Abruzzo rurale che parla, tra distese morbide e tanti colori che mutano con l’avvicendarsi delle stagioni. Il territorio è importante, anzi fondamentale per Simone e Martina, come ci raccontarono allora; oggi, a nemmeno un anno dall’apertura, condiscono quei propositi, già definiti, con ulteriori pensieri.
“Per noi fare pane significa dare voce al territorio e portare rispetto allambiente che ci circonda. Contrastiamo l’uso intensivo dei campi e promuoviamo, al contrario, la trasparenza, la ricerca, lo scambio con i nostri fornitori”.
Sicuramente vi sono delle complessità di divulgazione diverse rispetto a un forno urbano ma le risposte arrivano - testimoniano loro stessi - anche quando si è in un paesino di tremila abitanti.
“Il nostro modo di fare pane crea legami con la comunità perché chi viene qui non compra solo un prodotto, ma entra in una storia fatta di terra, grano, lievito madre e tradizione. Nel nostro laboratorio passiamo tanto tempo a raccontare come facciamo le cose proprio perché ci raggiungono persone attente, consapevoli, che vogliono essere informate e che adottano determinate scelte. È bello vedere che i nostri clienti apprezzavo il nostro lavoro e si fidano della nostra genuinità. Sono di diversa estrazione sociale ma accomunate da un forte senso di rispetto verso il cibo e il pane!”
La collaborazione, come abbiamo intuito già dai precedenti contributi e da altre interviste, è il minimo comune denominatore per assicurarsi la crescita.

Simone e Martina attingono dalla propria attività di coltivazione del grano ma non mancano anche di confrontarsi con mugnai vicini e altre attività locali.
La collaborazione è essenziale come l’aria che respiriamo. L’Abruzzo è una regione in cui si fa un po' fatica ad aprirsi… diversa dall’Emilia Romagna, per esempio, dove c’è già una bella rete di produttori che seguono la stessa filosofia. Ci auspichiamo di creare occasioni di scambio anche con le altre aziende che panificano qui in Abruzzo. Spesso è il tempo che manca… ma ci crediamo!”.

C’è un filo rosso che si srotola da ogni pane vero che viene messo al centro, abbiamo tante ragioni per dirlo. Ricordiamoci di riservargli il ruolo che gli si addice: in mezzo, per tutti. 

 

 

Martina Paris e Simone VerrocchioMartina Paris e Simone Verrocchio
La vista dal laboratorio, a Casa ParisLa vista dal laboratorio, a Casa Paris
Nel pane e per la comunità
a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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