La pizza ai 5 pomodori
È un lavoro a quattro mani quello che Giacomo Devoto e Gian Marco Ferrandi conducono a Officine del Cibo. Un lavoro centrato sul rispetto della materia prima che viene scelta con cura, sulla quale applicano un’opera di selezione frutto di competenza, un gioco di bilanciamento e armonia. Come per la pizza ai 5 pomodori che Devoto spiega: “Il topping è formato da cinque tipologie di pomodoro con Parmigiano Reggiano affumicato e all’interno troviamo Piennolo giallo e rosso, polvere di Miracolo di San Gennaro varietà presidio Slow Food, il classico pomodoro San Marzano. La classicità del topping incontra la contemporaneità perché il mix di sensazioni che sprigiona al palato diventa aromaticità e equilibrio di acidità. Sono sapori moderni, anche innovativi, ma sempre comprensibili. Il cliente deve poter capire e apprezzare, distinguere sapori e consistenze”.
È un’opera di precisione, un cesello di idee, quella che Giacomo Devoto e Gian Marco Ferrandi eseguono su un prodotto, la pizza, che ha subito, nel bene e nel male, tante trasformazioni.
“Io credo che la concezione della pizza d’ora in poi non subirà più ulteriori sviluppi – afferma Devoto – ma maggiore attenzione. La gran parte della gente oggi sceglie con cura ciò che la fa star bene, capisce se il disco è ben lievitato, preferisce farine meno raffinate, si accorge se dietro c’è ricerca e attenzione anche per gli aspetti nutrizionali. Noi, in 12 anni, abbiamo ampliato le nostre conoscenze e cerchiamo di dimostrarlo nei fatti. Credo che oggi si debba trovare un punto di incontro tra quello che viene definito fine dining, ormai troppo cervellotico e poco compreso dal pubblico, e la percezione comune della pizza come piatto povero, che purtroppo persiste nella stragrande maggioranza delle persone, soprattutto in provincia. Occorre mediare tra la pizza popolare realizzata con materie prime e ingredienti di scarsa qualità e progettazioni arzigogolate ed eccentriche che fanno lievitare il food cost oltre all’impasto ma non aggiungono valore al prodotto finale. Quella non è più pizza. La cucina deve restare cucina e mettersi al servizio della pizzeria per aumentare il livello di interesse e far diventare la pizza quell’eccellenza che dovrebbe essere, vanto per l’Italia e le sue tradizioni. Dobbiamo puntare sulla qualità e migliorare la percezione della popolazione nei confronti del prodotto. Ma è molto difficile”.
Difficile e complesso anche perché la comprensione del concetto abbraccia una serie di riflessioni che comprendono la definizione del food cost, il rispetto della capacità di spesa della clientela, il livello di servizio offerto: “Se metto sulla pizza ingredienti troppo costosi – afferma Devoto – anche senza ricarico, la pizza diventa troppo cara e la gente non la sceglie. Devo essere in grado di calibrare meticolosamente qualità e costi. Non si improvvisa questo mestiere, ci vogliono competenze adeguate e finché il potere d’acquisto degli italiani sarà quello corrente sarà sempre più complicato far quadrare i conti mantenendo alta l’asticella della qualità, che non possiamo certo abbassare”. È quasi un appello quello che Giacomo Devoto lancia.
Intanto, a Officine del Cibo, Devoto e Ferrandi lavorano alacremente e con criterio per offrire un’ottima pizza, classica quanto basta, innovativa dove serve, concettualmente raffinata. Un progetto gastronomico sintesi di ricerca ed esplorazione, di equilibrio tra tradizione e inedito: l’italianità ai massimi livelli. Da provare, di sicuro.