Riportiamo la seconda parte del forum Oltre i Gesti, organizzato da Amodo la rete dei ristoranti etici il 9 ottobre scorso a Pietrasanta. Nel numero scorso avevamo descritto il primo panel sul servizio di sala; in questo numero riassumiamo i panel legati alla cucina, alla formazione e al problema del personale nella ristorazione.
Durante il forum ci sono state anche due lectio: una tenuta da Fausto Brozzi, designer, architetto e organizzatore di Wine&Food Experience a Venezia che ha raccontato “del rapporto tra arte e ristorazione che è l’elemento distintivo dell’evento veneziano dove si coniugano l’estetica e la bontà delle eccellenze italiane nel cibo e nel vino con la bellezza della città e della struttura che ospita questa manifestazione esclusiva”.
Poi è stata la volta di Paul Bartolotta, cuoco e imprenditore italo-americano che ha incantato il pubblico con la storia della sua carriera. Paul è una delle figure di riferimento della nostra cucina all’estero tanto da detenere il titolo, conferitogli dal presidente della Repubblica, di autentico ambasciatore.
“Il primo ristorante l’ho aperto con mio fratello Joe, purtroppo mancato nel 2019. Mio fratello è stato essenziale per la nascita dell’azienda, ma soprattutto lo era per noi. Assieme abbiamo dato vita il primo Bartolotta, un vero e proprio ristorante italiano, tappezzato da foto di famiglia. Proponiamo menù regionali, studiati, ricercati, realizzati con la maggior parte delle materie prime provenienti dall’Italia. Il nostro obiettivo è essere fedeli al gusto d’origine… Ogni volta che si deve intervenire in un aspetto di un’attività ci sono internamente le risorse predisposte ad elaborare idee e progetti. Qui siamo soliti lavorare d’anticipo: non apriamo un locale e poi vediamo cosa ne sarà - come spesso accade in Italia - predisponiamo già tutto sulla base delle analisi, dei dati, delle risorse. Ti parlerò di cucina perché io parto da lì… e arrivo lì. Far mangiare bene le persone e accoglierle nel modo giusto è l’obiettivo in ogni mio ristorante. Ma c’è anche l’aspetto della sostenibilità economica, delle tempistiche, della coerenza. O si rispettano questi punti o non si può fare una ristorazione seria. E aggiungo che per fare impresa nella ristorazione bisogna conoscere le regole per non fallire, per esempio avendo il polso sul ritorno dell’investimento… La ristorazione viene considerata rischiosa perché il fallimento è facile. La verità è che fare ristorazione non è un gioco, è un business. Molti chef nascono come artisti ma non hanno le basi per dare solidità economica a un’attività. Riprendo un concetto che mi ha trasferito mio padre: la vera libertà artistica nasce dalla libertà economica. L’arte, altrimenti non è sostenibile, perché non si ha la libertà di esprimersi”.
Dove va la cucina italiana?
A questo panel hanno contribuito Filippo Di Bartola, patron del ristorante Filippo di Pietrasanta, Maurizio Urso, cuoco al bio-relais I Carusi di Noto (SR), Stefano Pistollato, direttore commerciale di Cateringross.
Filippo Di Bartola si è detto sorpreso, essendo lui un protagonista del servizio di sala, ma contento di parlare di cucina perché: “per gestire un ristorante in forma imprenditoriale occorre ridurre le distanze che, purtroppo, ancora esistono tra i due reparti. Questo è quello che ho fatto io fin da quando ho aperto il ristorante a Pietrasanta. Stare in sala significa capire quello che preferiscono gli ospiti del ristorante, trasferire le loro preferenze in cucina, fare piatti comprensibili, buoni, con materie prime che però devono essere raccontate bene ti consente di ottenere un ottimo risultato per il ristorante”.
Maurizio Urso racconta di benessere e salute, perché “si mangerà sempre più spesso fuori casa, di conseguenza, è necessario che i cuochi e i ristoratori prestino maggiore attenzione alla qualità delle materie prime, da qualsiasi parte provengano, e al benessere psico-fisico; a questo proposito ritengo che diventi indispensabile un rapporto costante tra i cuochi e i nutrizionisti, i medici, le organizzazioni medico-scientifiche. L’innovazione passa anche da qui, dall’offrire un modello di consumo che, insieme al piacere di star bene al ristorante, sia anche molto attento al benessere salutistico. Non dimenticare, anche, l’ascolto del cliente che, oggi, viaggia, confronta, porta emozioni di altri luoghi; il rispetto della nostra cultura gastronomica non deve restare legato a una tradizione antica ma aprirsi a nuovi gusti ed esperienze”.
Infine Stefano Pistollato ha messo l’accento sui rapporti che devono intercorrere all’interno della filiera dei consumi fuori casa: “in questo contesto è necessario che tutti gli attori si parlino, interagiscano tra loro: i produttori, i distributori, i ristoratori. Il ruolo della distribuzione assume una rilevanza molto importante se gestito bene: pensiamo solamente alla fatica che dovrebbe fare un piccolo produttore di qualità a raggiungere il mercato della ristorazione. Il distributore può sopperire al problema a condizione che la sua rete di agenti abbia una formazione adeguata sul prodotto, lo capisca per presentarlo al cuoco o al ristoratore. Iniziative come questo forum o come la rete dei ristoranti etici devono servire anche a questo, a ridurre il gap, la distanza tra i diversi protagonisti”.
Dove e come agire nel mondo della formazione
Il panel ha visto la partecipazione di Carlo Romito, presidente emerito di Solidus, le professioni del turismo; Giovanni Guadagno, resp.le Dipartimento Tecnico-Professionale di FIC (Federazione Italiana cuochi); Marco Feruzzi, docente di Enogastronomia c/o Istituto alberghiero statale P.Artusi, Riolo Terme (RA); Filippo Sinisigalli, chef, scopritore di talenti e formatore.
Carlo Romito ha esordito con una sintesi della storia degli istituti alberghieri in Italia: “Se la scuola diventa di massa è inevitabile che, senza un metodo e un’organizzazione sapiente, cali la qualità e questo è ciò che è successo con gli istituti alberghieri in Italia. Oggi la scuola è in mano agli insegnanti e a qualche dirigente illuminato, professionisti bravi che fanno, spesso, del volontariato per tenere alto il livello scolastico, mentre dovrebbe esserci un percorso organizzato ed efficiente stabilito da chi governa queste strutture. Non è pensabile che, ad ogni cambio di ministro, ci sia una nuova riforma che cancella quella precedente! È necessario guardare gli esempi che ci stanno intorno in Europa, come quello che ho vissuto in prima persona nel Galles: scuola aperta dalle 7,30 alle 23, con nursery per i figli del personale che faceva gli stessi orari, ma soprattutto con una visione imprenditoriale della scuola, un’autonomia che in Italia non si conosce. Una scuola sita in un edificio storico vittoriano dove i laboratori erano in stanze stupende dal punto di vista architettonico ma poco funzionali. Le hanno vendute e con il ricavato hanno costruito dei laboratori moderni. Hanno due ristoranti aperti al pubblico, una società di catering e un’agenzia viaggi interna per organizzare i viaggi di studio e vendendo anche all’esterno per autofinanziarsi; ragazzi che, oltre a studiare, fanno pratica quotidiana con un pubblico vero. Con queste soluzioni si rende la scuola davvero autonoma ed efficiente dal punto di vista gestionale”.
Giovanni Guadagno ha presentato “il modello messo a punto dai due istituti professionali per l’enogastronomia e l’ospitalità di Seregno e Saronno, che riconosce agli studenti una certificazione europea (crediti professionali ECVET). Il credito europeo è come un passaporto: può essere letto, misurato, conteggiato in
Italia come in tutte le altre nazioni della UE. Questo modello contempla un notevole incremento delle ore di laboratorio di quasi il doppio rispetto all’orario ministeriale e altre occasioni di formazione lavoro. Questo modello è frutto di un superamento della superficialità in cui viviamo in questo periodo storico dove non abbiamo voglia di approfondire, capire oltre le righe di un discorso. Ho avuto la fortuna di avere dirigenti scolastici che hanno capito la necessità di avere un rapporto forte con il territorio e creare le condizioni per rafforzare il rapporto tra scuola e lavoro, confrontandoci con i produttori che hanno visto la nascita di una Bottega scuola per le piccole produzioni di nicchia (panetteria, norcineria, vinificazione, gelateria...) che operano in sinergia con discipline teoriche.”
Filippo Sinisgalli ha affrontato il tema della selezione e del legame con le persone dal punto di vista professionale: “Con i miei ragazzi tengo un occhio aperto (severo) e un occhio chiuso (come un padre fa con un figlio). Penso davvero che siano meglio di noi. Attenzione! Non voglio che questa passi come una frase fatta. E ora mi spiego meglio: se anche hanno avuto più possibilità di noi, chi fra loro sceglie di fare questo mestiere in maniera seria, sottolineo in maniera seria, è perché lo vuole. Nel loro inconscio il fuoco della passione per la cucina deve esserci, io devo solamente soffiare su quel fuoco con pazienza. Io non formo nessuno, sto solo accompagnando perché chi fa questo mestiere dentro è già pronto per farlo. Di base hanno una grinta e una velocità di pensiero che io non avevo alla loro età. Per me questa è la benzina di tutti i giorni. Io vengo a lavorare ancora con il piacere di farlo. Però vanno create le giuste condizioni, se no non si va da nessuna parte: niente nero negli stipendi dei ragazzi, dare il giusto giro tra riposo e lavoro e retribuzione nella giusta misura. A queste condizioni i miei ragazzi sono pronti a fare muro con me. Io per loro e loro per me, disposti a fare qualsiasi cosa”.
Marco Feruzzi si è concentrato sul ruolo dei professori all’interno degli istituti scolastici: “Facciamo tutto ciò che ci è possibile fare, molto spesso mettendoci del nostro per sopperire alle limitazioni che la legislazione e le regole burocratiche impongono. Ad esempio nel triennio formativo, prima di scegliere l’indirizzo finale, abbiamo pochissime ore di laboratorio (sei); come è pensabile che un ragazzo capisca davvero come funziona la cucina di un ristorante o conoscere in maniera concreta le caratteristiche di una materia prima? Cosa possiamo fare per aiutare di più i nostri ragazzi? Implementare, grazie alla poca autonomia che ogni istituto ha, le ore di laboratorio, di pratica. Gestire bene gli stage dove vanno i ragazzi. Gestire bene significa mandare i ragazzi migliori nei posti dove riescono ad arricchirsi ulteriormente, spiegare ai ristoratori che uno stage non deve essere un peso, che se non sono loro, i ristoratori, a credere nei ragazzi/e questa professione finirà. È indispensabile trasmettere professionalità ai giovani”.
Il personale: problema o opportunità?
Il tema del personale è un tema molto rilevante nella ristorazione ma non solo, è un tema che vede, dopo il Covid, un cambiamento nelle scelte delle persone che non vogliono più farsi rubare tempo per un lavoro non soddisfacente, o pagato poco rispetto all’impegno.
Di come risolvere questo problema complesso hanno parlato, nell’ultimo panel di Oltre i Gesti, Laura Roncaccioli, restaurant manager del ristorante Le Cementine (gruppo Alajmo), Niccolò Palumbo, socio del ristorante Paca di Prato, Simone Rosetti, fondatore di Romagna Gourmet, Andrea Chiriatti, Responsabile lavoro dell’Area Relazioni sindacali, previdenziali e formazione della FIPE.
Laura Roncaccioli ha esordito spiegando il modello Alajmo: “Sono autodidatta rispetto alla scuola alberghiera, sono diplomata a un liceo, e sono qui a testimoniare una realtà che, nonostante abbia una visione internazionale, è molto familiare. Raffaele Alajmo, nel periodo Covid, è venuto a parlare con noi tutti, facendoci vedere i conti del gruppo e chiedendoci, per chi lo voleva, di restare uniti. Io ho scelto quella soluzione e sono rimasta. Oggi ho la conferma di aver fatto la scelta giusta perché lavorare con loro significa crescita continua, rispetto dei ruoli, condivisione degli obiettivi. Massimiliano Alajmo racconta sempre che “Il ristorante deve rispecchiare il tuo pensiero. Deve essere autentico. Noi abbiamo una clientela molto attenta. Il segreto? Mantenere sempre un profilo basso”.
Niccolò Palumbo, invece, racconta del modello che hanno adottato a Paca, dove non esistono le gerarchie in nessun ruolo, se le gerarchie significano “mettere a disagio le persone, i collaboratori. Ho fatto diverse esperienze negative prima di aprire, con i miei soci, Paca e tutti abbiamo convenuto che nel nostro ristorante non sarebbero mai accadute le cose che avevamo vissuto. Oggi siamo una vera squadra, affiatata, forte, perché oltre al tempo del lavoro diamo importanza anche al tempo di vita. È fondamentale se vuoi sempre essere al massimo del risultato”.
Simone Rosetti ha parlato di managerialità come condizione indispensabile per “riuscire a gestire più ristoranti contemporaneamente. Managerialità significa saper riconoscere le qualità delle persone e le loro predisposizioni; questo l’ho imparato sulla mia pelle ma oggi è l’elemento di forza che mi permette di vedere i miei locali funzionare bene perché danno esattamente ciò che gli ospiti desiderano. Ho, cioè, creato le condizioni affinché i locali abbiano una forte identità, grazie anche alle persone che ho imparato a scegliere e valorizzare”.
Andrea Chiriatti ha chiuso il panel rimarcando il ruolo importante che svolge un’associazione come la FIPE – Federazione Italiana pubblici Esercizi.
“È vero ciò che è stato detto nell’introduzione: non solo la ristorazione ha un problema di personale. Altrimenti il rischio è che la ristorazione sia un comparto su cui non valga la pena investire. Invece, se si vuole invertire questo trend negativo, occorre far conoscere ai giovani le reali potenzialità del settore. Mancano completamente quei percorsi di orientamento dedicati ai ragazzi delle scuole e ai giovani in generale, che al momento non sono informati sulle opportunità di lavoro e su quali prospettive di crescita professionale e salariale esistono nelle nostre imprese. Per questo abbiamo realizzato il FIPE Talent Day, un road-show nelle principali città italiane che, dopo il successo registrato nel 2022 con 500 aziende coinvolte e oltre 5.000 partecipanti, è giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Un’altra cosa riteniamo indispensabile: è fondamentale sviluppare un rapporto più concreto e solido tra operatori della ristorazione e associazioni sindacali e di categoria per conoscere come funzionano i contratti di lavoro e come scegliere i metodi più adatti per la selezione del personale. Occorre dare valore ai contratti integrativi aziendali che consentano di dare premi ulteriori in base ai risultati”.
Guido Parri