Siamo a inizio stagione, tre ponti tra Pasqua e Primo Maggio che dovrebbero portare nuova linfa al settore della ristorazione e dell’ospitalità. Speriamo sia così, speriamo che il tempo sia bello.
Già questa riflessione sul tempo, che fino a qualche anno fa non si faceva, ci racconta di come anche la ristorazione è legata a doppio filo a un tema, quello del cambiamento climatico, che ancora non si vuole affrontare in maniera seria e concreta.
Eppure esiste, ci sono studi scientifici che lo dimostrano, ma ci sono ancora tante, troppe fake-news che ne distolgono l’attenzione e troppi governi che non hanno una posizione chiara sull’argomento.
Cosa c’entra la ristorazione con il cambiamento climatico?
Semplice, se piove quando non dovrebbe le persone non si muovono, gli hotel e i ristoranti non si riempiono. Ma questa è la risposta più ovvia. Quella più complessa è che l’emergenza climatica incide moltissimo anche sulla qualità e quantità di cibo prodotto. Prendiamo il caso delle uova negli Stati Uniti, ma anche quello delle api che si stanno riducendo di oltre il 60% nel mondo. L’aviaria non è che è arrivata per caso, molti esperti hanno rilevato che gli eventi meteorologici estremi e i cambiamenti climatici svolgono un ulteriore ruolo nell’evoluzione della situazione perché possono influenzare la demografia degli uccelli selvatici e incidere pertanto sulle modalità di sviluppo nel tempo della malattia.
Così come la riduzione del numero di api può portare rapidamente a un calo dei processi di impollinazione che sono fondamentali per ortaggi, frutta e sementi. L’80% di quello che mangiamo ogni giorno, senza impollinatori, non esisterebbe. Colture ben impollinate danno luogo a rese notevolmente più elevate e migliorano la qualità e la durata di conservazione di questi prodotti.
Tutto è connesso nel mondo, quando ce ne renderemo conto sarà sempre troppo tardi.
Anche il mangiare fuori casa è legato a questi e ad altri fattori, come il problema del personale e i costi che le persone dovrebbero sostenere per questo tipo di consumi.
Pagare quaranta o cinquanta euro per una cena è ormai nella norma, anche in trattoria. Una cifra che, per qualcuno, non dice nulla ma per un giovane, studente o precario, vuol dire tanto e, infatti, i giovani non sono certo la categoria più diffusa nei ristoranti.
Con questo non dico che bisogna abbassare i prezzi ma mettere nelle condizioni di poter far fronte alla quotidianità un numero maggiore di persone in Italia. Ricordo, infatti, che siamo ai primi posti nella classifica degli stipendi più bassi d’Europa.
Ultima considerazione: il problema del personale nella ristorazione. Va pagato il giusto. Va interrotta la spirale di quei ristoratori che dicono: dimostrami cosa sai fare e decido quanto pagarti. Esiste un contratto di lavoro che parla chiaro! Gli sforzi indirizziamoli invece verso la richiesta di ridurre la pressione fiscale sulla categoria e, per farlo, rispettiamo, per primi, le regole.
Sono solo alcune delle cose da mettere a posto per far sì che un settore che vale più di cento miliardi di fatturato venga rispettato e considerato come merita!