Ferrán Adriá si è congratulato per l'originalità del suo vermut. Per Martín Berasategui è il migliore mai assaggiato e ne rifornisce i suoi ristoranti pluristellati. Davide Musci, il suo creatore, sta cercano un distributore in Italia che sappia valorizzare il suo “Primo de Lanzarote” da Malvasia Volcánica collocandolo nei luoghi giusti, in piccole quantità.
Davide Musci ha lavorato a lungo nel mondo della comunicazione e della TV seguendo le orme del fratello che lavorava a Roma con Alan Friedman. Prima come cameramen poi come coproduttore fornisce gli approfondimenti, dai TG ai talk show, a canali come La 7, Sky Tg 24. Per rompere l’ansia quotidiana per le dirette apre un ristorante di cucina piemontese al Testaccio, il “Satollo”, che gli costa sacrifici economici e fisici: da 10 ore allunga le giornate lavorative a 15 ore. Nonostante sia alla prima esperienza nel mondo della ristorazione il locale ha subito successo.
La gastronomia è sempre stata una passione coltivata in famiglia dalla madre Marinella e dal padre Domenico. Quest’ultimo, in particolare, è stato un imprenditore e un eclettico intellettuale, scrittore, storico dell’alimentazione piemontese, pittore e scultore di vaglia.
Dopo quattro anni di superlavoro al ristorante, nel 2012 Davide con la sua compagna decidono di offrire al figlio appena nato un’esistenza meno frenetica emigrando a Lanzarote, isola che li aveva stregati in sette anni di vacanze estive, con i suoi paesaggi lunari, dove si può percepire la forza dell’oceano, dei venti Alisei e il “magnetismo” dei vulcani sparsi su tutta la sua superficie.
I terreni sui fianchi dei vulcani sono ricoperti di lapilli e cenere vulcanica, metà dell’isola è emersa dal mare con l’eruzione del vulcano Tinguaton nel 1730, e i contadini con immensi sforzi vi hanno piantato e coltivato la vite. È una viticoltura eroica, resa ancora più difficile dal fatto che non ci sono sorgenti. L’endemica scarsità di pioggia (fino a 150 mm all’anno) e la vicinanza con l’Africa fanno sì che sia un miracolo che a Lanzarote si possa coltivare la vite sfruttando l’umidità portata dall’Atlantico dalla benefica azione degli Alisei assorbita dai lapilli vulcanici grazie all’escursione termica notturna in grandi buche che proteggono le vigne. La popolazione locale ha imparato a fare così anche nelle case dotate di cortili che raccolgono l’umidità notturna. Particolari sono le forme di allevamento della vite: la tradizionale hoyos e la moderna zanjas. Entrambe richiedono un grande lavoro di costruzione e manutenzione, con costi elevati che si riflettono sul prezzo del vino. Il primo metodo consiste nello scavo di una fossa dove si piantano da una a tre viti proteggendole con muretti semicircolari alti 50-70 cm.