Il prezzo di un olio extra vergine di oliva di alta qualità è veramente sostenibile sul piano economico? Non a tutti è chiaro questo aspetto. Le scelte effettuate dal ristoratore sono ritenute coerenti da chi acquista l’olio, ma non sempre sono giudicate come le migliori possibili da chi invece l’olio lo produce. Da qui la domanda su quanto effettivamente incida il costo di una fornitura di olio per un ristorante. Domanda la cui risposta non è semplice, perché dipende dal tipo di ristorazione e dagli impieghi cui l’olio è destinato. Intanto, a scanso di equivoci, va precisato che rispetto al passato la selezione degli oli è più accurata e differenziata. Un tempo si trovavano sui tavoli oliere inguardabili, con oli ossidati e in alcuni casi perfino rancidi.
C’è stato un salto di qualità decisivo. Anche le stesse aziende produttrici curano meglio l’offerta qualitativa rispetto a un tempo. Sono cresciuti, migliorando nettamente, sia i produttori, sia i ristoratori. Visto il quadro generale in atto, è bene insistere e richiedere un maggiore impegno da entrambe le parti: acquirenti e fornitori. Si tratta soprattutto di superare antichi e non sempre risolti pregiudizi intorno all’idea degli alti costi degli extra vergini. Non è così. Se il problema di molti è risparmiare, va benissimo, ma occorre farlo con giudizio. Con gli oli destinati alla cucina, per cotture e fritture, è più facile: non occorrono in tal caso livelli di eccellenza, visto che le alte (e/o prolungate) temperature comunque degradano un olio di per sé resistente. È sufficiente una qualità media, o anche una qualità entro i termini di legge, purché, insomma, l’olio non presenti difetti sensoriali che compromettano il sapore degli altri ingredienti.
Per ciò che concerne le fritture, peraltro, c’è oggi l’imbarazzo della scelta: ci sono oli progettati su misura, frutto di un mix accurato di più tipologie, pensate allo scopo di reggere bene alle alte temperature. Oltre alla gamma degli oli da olive, che restano sempre al top, va segnalato l’olio di girasole ad alto contenuto oleico. L’importante è che la scelta venga fatta con la massima attenzione. Sarebbe anche utile segnalare nel menu l’olio, o gli oli utilizzati. Quanto agli extra vergini da presentare sui tavoli, o quelli utilizzati in cucina per la finitura di un piatto, l’incidenza del costo resta di fatto un falso problema: è un errore di percezione. In tanti ritengono che un extra vergine di alta qualità incida sensibilmente sui costi del ristorante, per cui tendono a farne a meno e preferire uno più economico, secondo il concetto che un olio vale l’altro e sia sufficiente in etichetta la categoria merceologica “olio extra vergine di oliva”.
È una tendenza diffusa, ma sbagliata: non tutti gli extra vergini sono uguali. Faccio un esempio. Abbiamo due opzioni: un extra vergine da sei euro al litro, di qualità basica, oppure uno da 24 euro, di qualità eccelsa. Nell’ottica del risparmio si propende per la prima soluzione, visto che l’obiettivo è condire. Però, a conti fatti, ha davvero senso credere in questo illusorio risparmio, visto che per condire una porzione di dentice o branzino sono necessari appena 10 ml di olio Evo? Quanto inciderà mai tale costo? Considerando le quotazioni di mercato dei due pesci citati, non è da ritenere insulsa la sola idea di ricorrere a un generico extra vergine? Occorre riflettere molto sul difetto di percezione, molto comune tra gli operatori del settore. Ha senso dunque optare per un olio senza grazia solo per ottenere un risparmio di pochi centesimi per ogni singolo piatto?
Luigi Caricato