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Ripartiamo dal menu

11/02/2025

Ripartiamo dal menu

Il menu inteso come contenitore di proposte, ma anche come contenuto di un locale, è un elemento sempre più rilevante nella ristorazione.

In un contesto di forte concorrenza come quello attuale non si dovrebbe più guardare al menu come a un accessorio ma come a uno strumento strategico ed essenziale

C’è qualche buona regola da adottare? E cosa possono volere i clienti di oggi, che appaiono sempre meno food addicted e più selezionatori di piacere?

Forma e lunghezza

Piuttosto buffo pensare che menu, termine che abbiamo ereditato dai francesi, significhi minuto e particolareggiato. È buffo per una ragione: questi due attributi sembrerebbero inconciliabili. Eppure così non è. Esiste una formula magica, un equilibrio preciso, per rendere il menu ‘davvero menu’. Per riuscire in questa impresa di concisione ed esaustività c’è però bisogno di molta cura

Ci sono teorie precise sulla lunghezza, sulla collocazione suggerita per le portate principali, sull’ordine di piatti e bevande, ma lasciamo questi aspetti tecnici a chi lo fa di mestiere.

Il consiglio da chi frequenta i ristoranti, li osserva e li interpella, è: non omologate… e soprattutto dedicateci tempo. Un menu non si stila su due piedi, il giorno prima o addirittura pochi minuti prima della stampa o della messa online. Richiede lo studio delle parole, dei termini, della sequenza e sì, anche della grammatica.
Sono sempre di più i locali che riescono a formulare dei menu lunghi il giusto, invitanti, completi e chiari, ma ce ne sono ancora molti privi di correttezza, informazioni essenziali e, a volte, buon senso. La consultazione dev’essere pratica, veloce e non simulare una lettura biblica. È giusto e consigliato informare sull’origine del prodotto, specificare il produttore (valutate anche di raccoglierli in un’unica pagina) insomma fare cultura di provenienza e filiera… ma prendere in ostaggio l’ospite con letture interminabili, condite da sostantivi su sostantivi, non porta da nessuna parte. Finisce che l'ospite non è in imbarazzo per la scelta ma in imbarazzo e basta. 

Ripartiamo dal menu

L’attenzione alla scena gastronomica ha poi portato a molte derive, con frasi incomprensibili e esperienze sensoriali fatte e finite, già esplicitate nero su bianco dal ristoratore stesso, ancora prima che la portata venga ordinata. Perché dovrei provare un piatto di cui so già tutto, consistenza compresa? 

Quando state pensando a come organizzarlo tenete a mente la sua funzione: il menu deve informare sì, ma anche invogliare.


Gola, intelligenza, equilibrio
Non di solo forma è composto il menu, naturalmente. Del menu come “contenitore” abbiamo parlato con Giorgia Eugenia Goggi, chef di Masseria Moroseta, una struttura, a Ostuni, che è diventata riferimento per l’ospitalità e ispirazione per le scelte accuratissime adottate nel ristorante.

Come andrebbe strutturato un menu contemporaneo, guardando all’aspetto gastronomico?

Ci siamo posti e abbiamo posto questo quesito. Il menu per Giorgia è il riflesso di tutti i valori che persegue la cucina

“Per me è rappresentativo dei criteri che perseguiamo in cucina, primi su tutti il territorio e i vegetali (che costituiscono l’85%/90% dell’intera proposta). Siamo piuttosto asciutti nella parte descrittiva, ovvero inseriamo i prodotti e lasciamo che siano le materie prime a parlare, ad invogliare il cliente. Un elemento caratterizzante è la variabilità degli ingredienti molto alta: seguiamo strettamente la stagionalità e in pochi giorni le disponibilità cambiano. Potrebbe sembrare un limite invece ritengo sia la componente eccitante di questo lavoro. Poi se mi chiedi come arrivo a trasformare, a combinare insieme in poco tempo… non c’è una regola, è una stratificazione di fasi, tecniche e suggestioni”.
Per come ne parla Giorgia intuiamo che il proposito non sia di mettere al centro la cucina ma proprio il prodotto, attraverso un lavoro di tecniche e sulle consistenze.
“Credo che il menu contemporaneo dovrebbe dare un senso di cosa c’è intorno a noi, quindi nel nostro caso l’orto, gli uliveti, ma anche i nostri fornitori. È proprio nel rapporto con chi coltiva e trasforma che abbiamo imparato tanto, è un continuo istruirsi vicendevolmente”.

Giorgia Eugenia GoggiGiorgia Eugenia Goggi

Cieca o non cieca? 

Su questo ci piacerebbe chiedere il vostro parere. Intanto vi riportiamo quello di Giorgia Eugenia Goggi. Perché - e non ve l’avevamo ancora detto - il menu de La Moroseta è interamente alla cieca, viene presentato solo quando si è al tavolo.
Non c’è alcun tipo di difficoltà da parte degli ospiti, anzi, sono consapevoli e informati, vivono con curiosità questa dinamica. La differenza con un menu in chiaro è che così non hanno aspettative, né cercano quel piatto iconico tutto l’anno. Arrivano e liberi e incondizionati. Proponiamo questa formula perché è coerente con ciò che ho detto sulla stagionalità e la variabilità degli ingredienti”.
La sequenza di ingresso dei piatti non avviene sempre allo stesso modo: ci sono cinque uscite e tre di queste sono portate “corali”, messe al centro per condividere.
“È una scelta che piace moltissimo, sposta l’esperienza sul piano anche della condivisione. Dalla cucina usciamo sempre, almeno una volta nell’arco della serata, per lo stesso motivo: condividere. Ci piace lo scambio onesto, diretto, con chi ha deciso di mangiare qui”.
Sono anche altri i locali che per ragioni simili o identiche a La Moroseta propongono il menu alla cieca. È un tema su cui vale la pena fermarsi, sintomo di un cambiamento deciso nel modo di impostare la ristorazione. 

Ospiti in Masseria MorosetaOspiti in Masseria Moroseta

Le foto

Poco tempo fa, con alcuni addetti ai lavori, si discuteva sul valore, o sul non valore, delle foto in un menu. Eravamo più o meno tutti d’accordo: potrebbero avere significato solo per il menu online utilizzato per la consultazione da casa. Per i menu cartacei o digitali che vengono forniti al ristorante probabilmente è meglio lasciar perdere. Il cliente è già seduto, ha già fame, ha già “convertito” - parlando in termini commerciali - l’input in una scelta: è pronto a godersi il momento, non c’è bisogno di ulteriori stordimenti. Arrivati a questo punto le foto non danno valore aggiunto, semmai potrebbero dirigere il cliente verso una scelta che potrebbe non essere funzionale a quel preciso servizio.
Il fine lavoro di orientamento dell’ospite, in favore di eventuali necessità del giorno o della cucina, ci auspichiamo lo faccia il personale di sala. Quanto terribile sarebbe farsi ingolosire dallo scatto di un nido di pappardelle fumanti e poi non poterne godere?

Quindi, il menu lo lasciamo spoglio e sterile? No! Una grafica pulita, ordinata, anche a colori, con elementi iconografici stuzzicanti e un carattere leggibile per tutti, è già sufficiente. Ci pensano le parole a solleticare il palato e la bocca dello stomaco!
Qualora si utilizzassero le foto online, invece, vanno rispettate delle regole ferree: qualità, quantità e aggiornamento. Esistono ancora siti web con foto di piatti del Pleistocene (un conto se è un archivio dei piatti iconici, un altro è se si ha la parvenza che siano i piatti fuori in quel momento). Per fortuna si rintracciano sempre meno nei web site foto di bassa qualità, sgranate e sbrodolate, che fanno venire tutt’altro che appetito, ma un check agli archivi è sempre consigliato.

Ahìnoi resistono, in molti contesti turistici, ancora esempi anacronistici di menu infilati in cartelline plastificate, impressi da immagini spregevoli (oltre alla plastica stessa). Qui concedeteci un accorato… basta! L’immagine che dobbiamo veicolare, anche come Paese in cui la cultura gastronomica è vetrina e sostanza, è di autenticità, veridicità, modernità. Questi modelli vanno nella direzione opposta. Lo abbiamo ribadito parlando dei social, ma vale anche qui: il gioco delle aspettative instillate nei clienti, prima di averli come clienti, è delicatissimo.

 

Presentazioni, commiati, pane&coperto
La piacevolezza del menu passa anche per misurati elementi di narrazione, ovvero presentazioni, scelte e scuole di pensiero, commiati. Ciascuna insegna deve trovare la propria cifra stilistica ricordando che si tratta di informazioni tattiche che possono incuriosire alcuni clienti, intrattenerli, ma anche suscitare domande scomode. Pertanto: trasparenza, sincerità e pochi ego-riferimenti!

C’è una voce a margine che non dovrebbe mai essere a margine: il pane (che fortunatamente viene sempre più scorporato dal coperto). È significativo che molti inizino a sottolinearne la provenienza, specificando il fornitore o l’auto-produzione. Rendetela una portata a tutti gli effetti!
E ancora, le note speciali: vedendo l’abnorme quantità di richieste eccezionali, intolleranze e allergie, giocare d’anticipo - rispettando anche le normative - è un vantaggio in termini di tempo, fatica, e un accorgimento gradito dall’ospite che a questi dettagli ci fa sempre più caso.

Ripartiamo dal menu

Sempre che ne rimanga traccia

Abbiamo volutamente lasciato alla fine un quesito puntiglioso: il menu è meglio in cartaceo o in digitale? Mi accingevo a scrivere questo articolo quando tra le mani mi è comparsa la straordinaria raccolta Note di Pranzi - I Menu della Storia, di Alessia Cipolla. Dentro vi sono 350 menu dal 1850 ad oggi, con storie, curiosità e memorie da far luccicare gli occhi. 

“Una porta che si apre verso il passato” scrive l’autrice, in grado di proiettare le persone in epoche lontane, di dare testimonianza di stili, forme, abitudini alimentari, nuove correnti culinarie. Molte delle opere riprodotte sono in tiratura limitata, e per questo profumano di unicità e autorialità.
Inevitabile pensare a oggi e all’immaterialità a cui, anche il menu, come dal resto tutto ciò che ci circonda, sta andando incontro. L’avvento dei qrcode e dei menu digitali, che hanno preso piede a partire soprattutto dal 2020, ha dato prima una risposta alle urgenze igieniche e poi ha consegnato ai ristoratori maggiore agilità nella gestione, oltre che un evidente risparmio. Comprendiamo che la digitalizzazione sia una risorsa, e anche un’accortezza ambientale (guai a noi!) ma pensandoci, sarebbe bello prevedere, almeno per le occasioni speciali o per certe insegne, una stampa, un’illustrazione che possa essere conservata dall’ospite. Alcuni locali già lo fanno coinvolgendo artisti, grafici, fotografi. Ne escono delle micro-opere o delle opere a tutti gli effetti.

I ricordi a tavola possono essere indelebili anche senza che vi sia una carta a imprimerli, siamo d’accordo. Ma poter ritornare dove eravamo, rievocare cosa avevamo assaggiato o stupirsi dell’evoluzione della dialettica gastronomica, passando per il piacere tattile che solo la carta riesce a garantire, è un godimento che si allunga e rimane.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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