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Roberto Costa

13/06/2024

Roberto Costa

www.rcgroup.online 

 

Roberto Costa è un appassionato visionario genovese. Cresciuto nella trattoria di famiglia, ha gestito diversi ristoranti di successo in giro per l'Italia prima di trasferirsi a Londra dove ha aperto nel 2012 l'ormai celebre Macellaio RC a South Kensington, che ora conta altre cinque sedi nella capitale britannica. Nonostante il suo successo, Roberto si definisce ancora affettuosamente cameriere. Il segno distintivo costante dei suoi locali è la meticolosa selezione di ingredienti di prima qualità, minimamente trasformati per un'esperienza culinaria superiore. Questo impegno per l'eccellenza e la ricerca estetica sono la cifra distintiva di RC Group. Lo abbiamo incontrato ad Ancona, in occasione del secondo Forum della Ristorazione, organizzato da Confcommercio Marche, dove era ospite intervistato da noi di sala&cucina.

Roberto Costa

Quando hai aperto il tuo primo ristorante e come hai scelto la location? Cosa ti ha spinto ad intraprendere quest’avventura? Inizio con questa domanda perché molte volte, in Italia, non si tiene conto, nel business plan di apertura, della scelta della location come elemento strategico e succede poi che si chiude nell’arco di pochi anni…

“Se mi permetti volevo prima di tutto ringraziarvi dell’invito perché è veramente un piacere essere qui nelle Marche dove avete dei grandi professionisti, Moreno Cedroni e Mauro Uliassi giusto per citarne due. Credo di essere un po' meno bravo di loro. Dalla mia, probabilmente, ho una grande esperienza internazionale questo sì, ma voi avete veramente delle persone di assoluto rilievo. Ci tenevo a sottolinearlo! Per quanto riguarda la mia esperienza ho scelto il primo locale in South Kensington perché è una zona molto italiana ed europea e noi volevamo, come prima location, un posto che ci consentisse di lavorare sì a Londra ma con molti europei perché il concetto di macellaio è un concetto estremamente italiano. Ho scelto di chiamare così il locale perché mio nonno era macellaio e io sono cresciuto nella sua bottega dove ero forse più affascinato dai modi del nonno che dalla razza della bestia; modi che mi hanno portato, fin dall’inizio, a lavorare in maniera sostenibile, infatti lui macellava una bestia alla volta e, fino a che non aveva venduto tutte le parti, non passava alla seconda. E poi la scelta di Londra perché era una città, in quel momento, veramente molto vibrante: nel 2012 c’erano anche le Olimpiadi. Quindi io volevo, dopo l'apertura di 12 ristoranti in Italia, declinare quel concetto ispiratore in una città cosmopolita e per me, in quel momento, Londra era la città migliore dove esprimermi e dove potenzialmente crescere”.

 

La ristorazione è una delle più ardite e complesse scelte imprenditoriali. Il successo o l’insuccesso hanno talmente tante variabili – il tempo metereologico, la scelta della location, l’umore delle persone, giusto per citarne qualcuna - per non parlare poi dei problemi interni come la gestione del magazzino, come scrivere bene un menù, come determinare il prezzo di un piatto, che riesce davvero difficile ipotizzarne la riuscita: quali sono i criteri su cui hai fondato RC Group?

“Permettimi di fare una piccola premessa perché tu citi delle cose che sono assolutamente chiare ma il problema della ristorazione è anche la scarsa capacità imprenditoriale che è ancora, purtroppo, molto elevata! In Italia tanti ristoranti, tanti bar si aprono perché improvvisamente magari ci si ritrova senza lavoro e, con i soldi del TFR, si decide di investire in questo settore, convinti che non ci voglia nulla a saper cucinare un piatto di spaghetti o fare un caffè al bar, senza neppure immaginare quanto è importante gestire tutta la parte del back-office. La ristorazione, come ogni altra impresa che si rispetti, vive di numeri. Quindi è molto importante sapere che da un incasso giornaliero si crea anche debito – le tasse, gli stipendi, i costi di gestione – e occorre imparare a gestirlo, altrimenti si determina una spirale negativa che diventa, in poco tempo, irrisolvibile. Per quanto mi riguarda prima di aprire ogni location facciamo degli studi per capire qual è la zona più adatta per il nostro concetto di ristorazione italiana che si basa prevalentemente sulla carne e prevede uno scontrino medio di 65 sterline. A fronte di questi dati cerchiamo un posto che abbia più affluenza residenziale piuttosto che uffici e da lì si crea un business plan. Però tutto questo, ahimè, non basta perché una volta che si apre e si gestisce il ristorante la vera risposta, per essere più tranquilli, è la giusta formazione: con essa si crea motivazione e questo cambia il risultato”.

La cucina italiana, diventata famosa all’estero e nell’Italia stessa solo grazie a un’emigrazione di massa tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, oggi è, in moliti casi e in molti stati, la seconda cucina dopo quella locale, scalzando la storica cucina francese: come si è riusciti, come avete fatto voi, a raggiungere questo primato? Quanto conta la materia prima, come la scegliete e dove, quanto le tecniche di cucina e quanto l’accoglienza?
“Questa è una domanda che spero di riassumere bene. Cominciamo dalla cucina italiana: per quanto mi riguarda è la biodiversità dei nostri territori l’elemento fondamentale. Essa ci porta ad avere dei prodotti unici nel mondo che riescono a bilanciare, con pochissimi ingredienti, ogni tipo di ricetta. Prendiamo, ad esempio, una caprese, fatta solo di pomodoro e mozzarella. Se però quella mozzarella è un fiordilatte di Agerola e il pomodoro un Piennolo del Vesuvio, diventa un capolavoro assoluto, un’unicità insuperabile, quindi la peculiarità sulla scelta del prodotto è fondamentale. A Londra ci sono 1700 ristoranti italiani o quantomeno a bandiera italiana. E ogni ristorante a Londra credo che svolga la funzione di essere un piccolo consolato. Noi, ad esempio, abbiamo un ristorante vicino a Piccadilly Circus, dove, a livello annuale, transitano 25 milioni di persone che, in quel tratto, vedono una bandiera italiana, un ristorante italiano, un nome italiano! È un potentissimo mezzo comunicativo. E le persone, una piccola percentuale di quei 25 milioni, che entrano nel nostro ristorante devono sentirsi in Italia. E, per farlo, si deve avere una cucina dove semplicità, concretezza e la ricerca del miglior prodotto fanno la differenza”.

 

Amiamo ascoltare persone di talento appassionate, dedite e concentrate che vorrebbero lavorare con noi in un team altamente innovativo, di successo, dinamico e fiorente. Queste sono tue parole che cito per affrontare un aspetto della ristorazione che mi sta particolarmente a cuore: la selezione del personale. In Italia, pur con risultati apprezzabili, come afferma la FIPE nell’ultimo Rapporto Ristorazione dove indica in 1.070.839 i lavoratori dipendenti (con un +8,5% sul 2019), esiste un serio problema che non si risolve se non si pongono in modo chiaro ruoli e competenze. Voi avete ideato Mattoro e RC Academy per dare formazione adeguata alle vostre persone: ci spieghi come funzionano queste strutture e se la Brexit ha creato problemi per avere personale italiano?
“Brexit e Covid contemporaneamente hanno creato un problema immenso perché i ragazzi che erano a Londra sono ritornati giustamente dalle proprie famiglie senza preoccuparsi di rinnovare i documenti. Quando abbiamo riaperto i ristoranti ci siamo trovati senza personale e quello è stato veramente un grandissimo problema che ne ha generato un altro: quello della mancanza di professionalità del personale. Chi era rimasto, essendoci una richiesta così alta magicamente da comis è diventato chef e il cameriere è diventato manager senza avere le skill per poter fare quello. Noi abbiamo attivato le due accademie proprio per risolvere rapidamente questi problemi. A Mattooro cerchiamo di formare i ragazzi italiani sia di sala sia di cucina facendo ben presente quello che dicevo prima: e cioé la biodiversità, l'importanza del territorio e del prodotto, la semplicità espressa della cucina italiana e tutta la parte del back-office. Puntiamo molto sulla parte amministrativa perché quello che cerchiamo di trasferire è che la qualità alta, se saputa gestire, non costa così tanto di più rispetto alla mediocrità. Bisogna solo imparare a calcolare l'incidenza del food-cost. Questo è quello che facciamo sia con ragazzi italiani sia con ragazzi che non sono italiani a cui vogliamo fermamente trasferire il made in Italy. Fino ad oggi abbiamo fatto corsi assolutamente in modo gratuito proprio perché credo che il primo passo sia quello di convincere i ragazzi ad amare questo lavoro. Facciamo delle selezioni, questo sì, in base all’esperienza che hanno fatto in passato e, soprattutto, dell’attitudine che esprimono”.

Roberto Costa

 

In Italia la ristorazione di catena, come la tua, è in crescita, una crescita lenta ma che avanza, sono 11.500 i punti di consumo, con una crescita del 22% tra il 2019 e il 2022, e il 34% di questo mercato è costituito da piccoli player nazionali, con meno di 10 punti vendita ciascuno: quali consigli ti senti di dare agli imprenditori che investono o vorrebbero investire in questo settore?

“Il primo consiglio che mi sento di dare è quello di avere un unico centro di produzione per creare una costante qualitativa piuttosto che avere diverse cucine nei punti vendita. Diventa fondamentale anche per contenere i costi. Un unico centro permette, inoltre, di gestire nel migliore dei modi la variante igienica dei luoghi di lavoro. Ci sono poi tantissime altre variabili in questo comparto; pensiamo, ad esempio, alla pressione contributiva. In Italia è intorno al 55%, in UK è del 40% e questo permette di dare al personale più giorni di riposo e nessun doppio turno. Infine gli aspetti organizzativi: noi facciamo l'inventario tutte le settimane, i nostri gestionali scaricano automaticamente tutte le porzioni vendute di un determinato prodotto, in questo modo riusciamo a confrontare gli acquisti della settimana con il magazzino della settimana precedente”. 

 

Il food-cost è la parola magica attraverso la quale si riescono a tenere sotto controllo i costi e i conseguenti ricavi di un ristorante: tu cosa ne pensi e questo è un metodo che applicate nei vostri ristoranti?

“Noi abbiamo un metodo che chiamiamo GP, Gross profit, e questo deve essere mediamente il 70%; quindi ci sono piatti che volutamente hanno un GP un pochino più basso e che hanno una vendita minore, poi ci sono dei piatti che hanno un GP più alto, tipo la pasta, che hanno una vendita maggiore. È fondamentale calcolarlo bene e controllarlo bene, altrimenti ritorniamo a ciò che dicevo all'inizio della nostra chiacchierata, cioè crei debito e non crei credito. Secondo me è giusto controllare in maniera sana il food cost evitando di fare del nero che, alla fine, risulta sempre deleterio perché distrugge il mercato della ristorazione”.  

Roberto Costa

L’estetica, la corretta acustica e la bellezza rappresentano, a mio avviso, un elemento importante nella scelta di un locale: qual è il tuo pensiero al riguardo?

“Io penso che questi elementi siano determinanti per il successo di un locale. E hanno, giustamente, sfumature diverse a seconda dei luoghi. Se vado in uno stellato probabilmente ho un locale più minimale perché la concentrazione deve essere sul piatto, mentre se vado in una trattoria di paese ho magari il perlinato ma anche un oste che sopperisce alla mancanza di estetica con la sua giovialità. Sto semplicemente facendo degli esempi perché tutto dipende da quello che vuoi tu scegliendo un locale. Per me è fondamentale vedere un ospite, e dico ospite non un cliente perché un ospite lo faccio entrare in casa mia il cliente no, che si sente a suo agio, allentando il nodo della cravatta dopo dieci minuti. Credo che l'Italia molto più che Londra UK sia un paese di osti, nel senso che mediamente si va a mangiare in un ristorante perché c'è l'oste che conosci o comunque ti fa sentire in una situazione di comfort. Questo è un bene prezioso”.

 

La conoscenza è una virtù alla base di ogni business di successo; ancora una tua frase che stimola l’ultima domanda: cosa intendi per conoscenza nel caso specifico di RC Group? Conoscenza dei luoghi prima di aprirvi uno dei tuoi locali? Conoscenza delle tecniche di cucina? Conoscenza della potenziale clientela? Oppure conoscenza delle regole dell’accoglienza?

“Sono tutti importanti quelli che hai citato, assolutamente tutti importanti! Se io voglio fare il macellaio devo conoscere perfettamente l'animale, devo lavorare in maniera sostenibile tutto l'animale, non solo la bistecca o il filetto perché non è giusto. Qui entra in gioco anche la conoscenza che deve avere il cameriere orientando la scelta del cliente. Io racconto sempre che l’affermazione di un territorio, della sua biodiversità, del successo di un bar, di un resort, di un hotel o di un ristorante sta nell’ultimo mezzo metro dl braccio di un cameriere che vi pone il piatto. Se questo mezzo metro non viene formato diventa un problema. Perché quel braccio ha una responsabilità incredibile, perché ha il paese di provenienza, la biodiversità, i produttori, l'imprenditore, gli investimenti, i tuoi colleghi, gli chef in cucina che vivono su quel mezzo metro. Ecco, questo è quello che noi dovremmo fare, essere consapevoli che quella del cameriere è una responsabilità importante, ma può essere anche la cosa più bella del mondo perché quando tu vai al tavolo a prestare un servizio hai davanti mille mondi diversi e devi sempre essere informato per non rimanere a bocca aperta, questo lo impari con il tempo, però queste nozioni poi ti serviranno nella vita di tutti i giorni”. 

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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