Quando hai aperto il tuo primo ristorante e come hai scelto la location? Cosa ti ha spinto ad intraprendere quest’avventura? Inizio con questa domanda perché molte volte, in Italia, non si tiene conto, nel business plan di apertura, della scelta della location come elemento strategico e succede poi che si chiude nell’arco di pochi anni…
“Se mi permetti volevo prima di tutto ringraziarvi dell’invito perché è veramente un piacere essere qui nelle Marche dove avete dei grandi professionisti, Moreno Cedroni e Mauro Uliassi giusto per citarne due. Credo di essere un po' meno bravo di loro. Dalla mia, probabilmente, ho una grande esperienza internazionale questo sì, ma voi avete veramente delle persone di assoluto rilievo. Ci tenevo a sottolinearlo! Per quanto riguarda la mia esperienza ho scelto il primo locale in South Kensington perché è una zona molto italiana ed europea e noi volevamo, come prima location, un posto che ci consentisse di lavorare sì a Londra ma con molti europei perché il concetto di macellaio è un concetto estremamente italiano. Ho scelto di chiamare così il locale perché mio nonno era macellaio e io sono cresciuto nella sua bottega dove ero forse più affascinato dai modi del nonno che dalla razza della bestia; modi che mi hanno portato, fin dall’inizio, a lavorare in maniera sostenibile, infatti lui macellava una bestia alla volta e, fino a che non aveva venduto tutte le parti, non passava alla seconda. E poi la scelta di Londra perché era una città, in quel momento, veramente molto vibrante: nel 2012 c’erano anche le Olimpiadi. Quindi io volevo, dopo l'apertura di 12 ristoranti in Italia, declinare quel concetto ispiratore in una città cosmopolita e per me, in quel momento, Londra era la città migliore dove esprimermi e dove potenzialmente crescere”.
La ristorazione è una delle più ardite e complesse scelte imprenditoriali. Il successo o l’insuccesso hanno talmente tante variabili – il tempo metereologico, la scelta della location, l’umore delle persone, giusto per citarne qualcuna - per non parlare poi dei problemi interni come la gestione del magazzino, come scrivere bene un menù, come determinare il prezzo di un piatto, che riesce davvero difficile ipotizzarne la riuscita: quali sono i criteri su cui hai fondato RC Group?
“Permettimi di fare una piccola premessa perché tu citi delle cose che sono assolutamente chiare ma il problema della ristorazione è anche la scarsa capacità imprenditoriale che è ancora, purtroppo, molto elevata! In Italia tanti ristoranti, tanti bar si aprono perché improvvisamente magari ci si ritrova senza lavoro e, con i soldi del TFR, si decide di investire in questo settore, convinti che non ci voglia nulla a saper cucinare un piatto di spaghetti o fare un caffè al bar, senza neppure immaginare quanto è importante gestire tutta la parte del back-office. La ristorazione, come ogni altra impresa che si rispetti, vive di numeri. Quindi è molto importante sapere che da un incasso giornaliero si crea anche debito – le tasse, gli stipendi, i costi di gestione – e occorre imparare a gestirlo, altrimenti si determina una spirale negativa che diventa, in poco tempo, irrisolvibile. Per quanto mi riguarda prima di aprire ogni location facciamo degli studi per capire qual è la zona più adatta per il nostro concetto di ristorazione italiana che si basa prevalentemente sulla carne e prevede uno scontrino medio di 65 sterline. A fronte di questi dati cerchiamo un posto che abbia più affluenza residenziale piuttosto che uffici e da lì si crea un business plan. Però tutto questo, ahimè, non basta perché una volta che si apre e si gestisce il ristorante la vera risposta, per essere più tranquilli, è la giusta formazione: con essa si crea motivazione e questo cambia il risultato”.