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Sfidante, profondo, elegante: il sapore amaro

22/10/2025

Sfidante, profondo, elegante: il sapore amaro

Una monografia sulla nostra relazione, sensoriale e culturale, con il sapore amaro

Il sapore amaro occupa una posizione liminale nella storia dell’alimentazione umana. Biologicamente associato al sospetto, ha assunto nel tempo un ruolo culturale di rilievo, ricordandoci come il gusto non sia soltanto una percezione sensoriale ma una costruzione culturale che riflette sistemi simbolici, strutture sociali e pratiche rituali. Né immediatamente gratificante come il dolce, né vitalmente necessario come il salato, ma sulla soglia tra nutrizione e pericolo, piacere e rifiuto, medicamento e alienazione. Dei sei sapori fondamentali (abbiamo recettori gustativi anche per i grassi) l’amaro è forse quello che più ha generato diffidenza e fascinazione: è il sapore delle tossine ma anche delle piante medicinali e delle bevande rituali.
Se è vero che l’avversione innata all’amaro ha avuto una funzione protettiva contro l’ingestione di sostanze tossiche presenti nel regno vegetale, è altrettanto vero che i processi di selezione e addomesticamento di piante amare commestibili — dalla cicoria ai carciofi, dal radicchio alle brassicacee — hanno trasformando un segnale di allarme in risorsa alimentare. 
 

Risorsa che nacque nelle cucine contadine, fu nobilitata in quelle aristocratiche, ed è parte del giacimento gastronomico che caratterizza la cucina del Bel Paese. Ciò che Massimo Montanari definisce “retrogusto contadino”, evidenziando come la costante presenza di vegetali sia il “primo segreto” della ricchezza e varietà che contraddistingue la cucina italiana. L’amaro è diventato così un sapore di distinzione sociale: bevande come caffè, tè, birra e cacao hanno conosciuto fortune alterne, passando da medicine a prodotti di lusso, e infine a beni di consumo di massa. Da minaccia a cura, da rito a piacere estetico, l’amaro ha assunto un ruolo di identità culturale: sgraziato, potente e divisivo ma altrettanto fine, elegante e profondo in relazione alla dimensione sensoriale in cui lo si fa esprimere.

Amaro come
I composti responsabili di ciò che definiamo amaro sono numerosi e appartengono a famiglie chimiche differenti: alcaloidi, come la caffeina, teina o chinina, rappresentano alcuni degli esempi più noti. Un’altra grande categoria è quella dei polifenoli, particolare rilevanza hanno anche i glucosidi amari, tipici della cicoria e di altre erbe spontanee, ma anche peptidi derivanti da idrolisi proteica, presenti ad esempio in alcuni formaggi stagionati. La cucina dello Stivale ha saputo valorizzare l’amaro trasformandolo in un tratto identitario di molte tradizioni regionali: la cicoria catalogna trova impiego in piatti come la puntarella romana, dove l’amaro viene mitigato dalla salinità e sapidità della salsa di alici. Nel Meridione le erbe selvatiche amarognole caratterizzano le minestre bilanciando la grassezza di legumi e maiale. Misticanze, radicchi in insalata, cicorie ripassate, hanno sempre avuto un ruolo da protagonista nelle cucine domestiche. 
 

Cenni di meccanismo percettivo
La percezione del sapore amaro è un tratto fenotipico che mostra una notevole variabilità nelle popolazioni umane. La risposta sensoriale agli amari è mediata di specifici recettori (TAS2R) espressi da 25 geni, ma le conoscenze circa la relazione tra fattori genetici e sensibilità gustativa è perlopiù limitata a due di questi. Insomma, sebbene la nostra relazione con l’amaro sia tra i temi più sviscerati in letteratura scientifica, mancano ancora tasselli per completare il puzzle. Sappiamo però -l’ho ribadito nel corso di questa rubrica- che la genetica ha un impatto significativo sulla percezione, perché si riflette sulla fisiologia degli apparati. Avere un numero più o meno elevato di recettori del gusto ci rende più o meno sensibili ai sapori, non solo all’amaro. Di certo con alcuni amari la relazione diventa per alcuni soggetti particolarmente sfidante, proprio per questioni genetiche. Era il 1994 quando Linda Bartoshuk, allora in forze alla Yale University, pubblicò uno studio fondamentale sull’influenza della genetica sul senso del gusto. Il lavoro della ricercatrice si basava sulla valutazione della capacità dei soggetti coinvolti nello studio di percepire l’amaro di due composti: la feniltiocarbammide (PTC, un composto organico prodotto da molte piante che funge da repellente per gli erbivori) e il 6-n-propiltiouracile (detto PROP, simile ma meno tossico), già da tempo utilizzati in questo tipo di ricerche. Il lavoro della Bartoshuk evidenziò una diversa sensibilità a questi composti- da nulla ad estremamente forte- proprio per ragioni genetiche.  

Questa condizione è dovuta ad una variazione del gene TAS2R38, che secondo quanto evidenziato in Italian Taste, il progetto di ricerca orchestrato dalla Società Italiana di Scienze Sensoriali per indagare tendenze e abitudini alimentari dello Stivale, riguarderebbe più le femmine dei maschi. Nel campione preso in esame per lo studio infatti, il 34,6% delle femmine è risultato supertaster (ipersensibile all’amaro del PROP), mentre solo il 21,1% dei maschi ha questo tipo di ipersensibilità. La risposta sensoriale che sperimentano i cosiddetti supertaster non va ricercata solo nell’intensità dello stimolo, semmai nella natura dell’amaro. Un po' come se quel composto scatenasse nell’assaggiatore una risposta atavica avversa da incasellare alla voce veleno. Non ci si può educare granché in questo caso, proprio perché alla base ci sono codici genetici. Ma quei codici sono circoscritti, in altre parole espongono alcuni di noi ad esperienze sfidanti con alcuni amari ma non ci impediscono di apprezzarne altri. Del resto le amarezze sono parte di un retaggio culturale che ha radici profonde.

Contemporaneo e trasversale: le strade dell’amaro

Come quelle della tradizione liquoristica legata agli amari, categoria che racconta meglio di qualunque altra una tradizione italiana, e che oggi sta vivendo un momento di rinascita grazie al lavoro di nuovi interpreti e ad un approccio più contemporaneo. E di amaro si parla anche quando si pensa al movimento delle birre artigianali; se il luppolo è stato l’ingrediente della rivoluzione, il primo decennio è stato dominato non solo da inedite aromaticità ma anche da amari impattanti. E non mancano certo esempi contemporanei se ci si sposta dal calice al piatto. Gianluca Gorini è tra gli interpreti che più hanno elevato il pensiero sull’amaro, strutturando spesso i piatti su questa dimensione sensoriale. Fulgido esempio lo spaghetto tonico, pre-dessert di rara profondità, in cui l’amaro sferzante ed erbaceo della genziana si intreccia alle note agrumate del bergamotto candito. 

Da Gorini Spaghetto tonico crediti Nicolò BrunelliDa Gorini Spaghetto tonico crediti Nicolò Brunelli

Lettura colta sull’amaro anche nelle proposte di Davide Di Fabio, tra le voci più interessanti del fine dining d’autore, alla guida della cucina di Dalla Gioconda. I cappelletti di olive amare, burro all’arancia e ricci di mare, signature ispirato ad un classico autunnale dell’entroterra marchigiano, sono una rilettura colta e contemporanea del territorio. 

E se dare all’amaro un ruolo da protagonista in un piatto può risultare divisivo, affrontare il tema con ciò che per definizione nasce dolce suona come una contraddizione in termini, eppure Stefano Guizzetti, gelatiere e lievitista tra i più talentuosi dello Stivale, ha saputo relazionarsi con amari diversi e stratificati, aprendo scenari inediti nel gelato e non solo. Come nel suo Amaro (vedi foto di copertina), un grande lievitato che cesella le estrazioni di rabarbaro, genziana e china in un morso amaro, lungo ed elegante, veicolato dal burro e arricchito dagli agrumi, canditi e in pasta. Sono solo alcuni esempi che tratteggiano le diverse dimensioni di un sapore sfidante, parte del giacimento culturale del nostro passato, mai come oggi presente nel pensiero gastronomico contemporaneo. 

DallaGioconda - Cappelletti. Foto di Savour.duoDallaGioconda - Cappelletti. Foto di Savour.duo

Referenze 

Exploring influences on food choice in a large population sample: the Italian Taste Project https://www.researchgate.net/publication/314095784

a cura di

Stefania Pompele

Tecnico per il processo agroalimentare, un po' di corsi sull'assaggio del vino e una specializzazione in analisi sensoriale. Si occupa di formazione e consulenza, le piace scrivere di cibo e sensorialità. 
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