Crediti Fotografici Giorgia Pezzani
Negli ultimi anni si è affacciata la prospettiva di una ristorazione robotizzata, in cui macchine e tecnologie si muovono autonome nel locale riducendo notevolmente il margine d’errore (ma anche il senso dell’accoglienza).
Soj Vino e Cucina, ristorantino nato nel 2021 nel centro storico di Parma, all’angolo tra Borgo del Parmigianino e Strada Felice Cavallotti, ci fa pensare che nel nostro Paese sono talmente tante le alternative possibili e la voglia di ospitare che i robot, in cucina e in sala, sarà difficile vederli.
Perché proprio qui, in questo piccolo locale di appena sedici coperti, ne abbiamo la conferma?
Pur con risorse contenute - sono in due e lo spazio è di appena sessanta metri quadri - Eugenio Restivo e Federico Capocasa riescono ad offrire una ristorazione moderna, intelligente, concentrata su un menu corto, variegato e al tempo stesso equilibrato, che poggia su tecniche contemporanee, sapori solidi e spazi ben gestiti. Acquistano i prodotti da fornitori conosciuti e riducono all’osso lo spreco riuscendo quasi sempre ad arrivare al sold out, anche nell’infrasettimanale. Non ci sono linee di confine tra lo spazio di cucina e la sala, è tutto comunicante (sì, la cappa aspirante è stata scelta con scrupolo!).
E sono proprio loro, Eugenio e Federico, ad affacciarsi per presentare i piatti facendo del racconto di chi cucina un elemento di valore al pari della qualità del piatto.
Metterci la cultura, senza troppe sovrastrutture
Il racconto ha una sua valenza sia per la rete Amodo, come saprete, sia per i ragazzi di Soj.
“Ci sono tante modalità di narrazione. Noi abbiamo scelto di non soffermarci sulle spiegazioni tecniche ma di accompagnare al tavolo il piatto aggiungendo ciò che per noi ha un valore vero. Ovvero la storia, la memoria gustativa, il legame tra la materia prima e la terra. Ci agganciamo alla cultura gastronomica locale non solo quando si tratta di concepire un piatto, ma anche quando lo portiamo a tavola”.
Il menu di Soj sin dall’inizio ha accolto pietanze apparentemente ‘nobili’ (le lumache, il piccione, l’anatra, l’anguilla) ma, ci ricordano Eugenio e Federico proprio in questi giorni di cambio menu, “sono in realtà cibi che appartenevano alla cultura rurale locale e quindi li abbiamo riproposti con accostamenti contemporanei, con l’intento di valorizzarli”.
Si occupano di primo pugno del servizio, non c’è personale di sala, come anticipavamo prima. Quindi il registro narrativo è costante, sempre sulla stessa linea: quella della rievocazione e dell’empatia, per trasferire un significato culturale, di prossimità geografica e di grande rispetto per ciò che abita ancora oggi la campagna emiliana, costellata di bravi produttori.
“Naturalmente la parte narrativa ci piace molto… e la coltiviamo ogni volta che il tempo ce lo permette!”.