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Soul Food- La cucina dell’anima

20/11/2024

Soul Food- La cucina dell’anima

Il soul food, con piatti iconici come pollo fritto, Mac and cheese e cornbread, è ormai sinonimo di comfort food made in USA, grazie ai suoi sapori decisi, ricchi e spesso associati a un’idea di godimento alimentare. Tuttavia, questa cucina ha radici molto profonde e dolorose, che affondano nel buio periodo della schiavitù nel sud-est degli Stati Uniti. L’origine del soul food è il frutto della resilienza e dell’ingegno degli schiavi africani che, giunti in America dalle nazioni della costa occidentale del continente, seppero trasformare la loro minima disponibilità di cibo in ricette gustose e di sostanza, sufficientemente caloriche per riuscire a sopravvivere nonostante gli enormi sforzi a loro richiesti. La loro eredità ha contribuito a definire non solo la cucina afro-americana ma, più in generale, quella degli Stati Uniti tutti. 

La schiavitù negli Stati Uniti d’America fu un’istituzione legale durata oltre un secolo, formalizzata prima dell’indipendenza americana nel 1776 e proseguita fino al 1865, quando fu abolita dal XIII Emendamento. Gli africani ridotti in schiavitù erano portati nelle colonie per lavorare come servitori domestici o raccoglitori nelle piantagioni. A seconda del ruolo, ricevevano trattamenti e alimenti differenti: i domestici avevano accesso a cibi più vari e nutrienti, mentre i raccoglitori dovevano accontentarsi di razioni minime e scarti, chiamati “juba”, un termine che in diverse lingue africane significa “piccoli pezzi”. Le scarse risorse alimentari venivano integrate con ciò che gli schiavi riuscivano a procurarsi tramite caccia, pesca o piccoli orti che i padroni concedevano loro di coltivare. 

In molti credono erroneamente che il soul food sia semplicemente la cucina del sud degli Stati Uniti, ma questa è una definizione imprecisa. Infatti, mentre la cucina del Sud include una grande varietà di tipi di cucina, il soul food è solo una parte all’interno di questo panorama. A differenza di altri stili culinari tradizionali del Sud, che si basano su ingredienti di alta qualità e carni pregiate, il soul food rimane ancora oggi lo specchio delle disponibilità alimentari degli africani di allora, tra cui figurano i tagli di carne meno nobili come zampe, orecchie e interiora, che gli schiavi sapevano rendere gustosi grazie alle tecniche tramandate loro dagli antenati africani.

Il soul food è, in fondo, esattamente questo: l'incontro tra le tradizioni culinarie dell’Africa occidentale, come quelle del Benin (uno degli snodi più importanti della tratta) e i prodotti disponibili nelle colonie americane. Gli ingredienti tipici della dieta africana vennero adattati o sostituiti con altri simili: ad esempio, l’igname, tubero africano, fu rimpiazzato dalla patata dolce, più accessibile in America. Altri prodotti iconici invece riuscirono ad arrivare anche nel nuovo mondo, per vie traverse. Si narra che molte donne africane, durante il viaggio verso l’America, non sapendo dove fossero dirette si misero a nascondere tra le fibre dei loro cappelli vari semi di cereali e legumi, sperando di piantarli una volta giunte a destinazione, ovunque fossero state portate. Tra questi i fagioli dall’occhio, alcune varietà di riso e il miglio.

Se però esiste un ingrediente principe del soul food, questo è senza dubbio l’okra, il baccello di una pianta originaria dell’Africa orientale, che arrivò in America già nel 1679, in Virginia. Oltre a essere usata nelle zuppe come addensante, è infatti l’ingrediente fondamentale per realizzare il gumbo, l’okra ancora oggi viene spesso consumata fritta.  Altri ingredienti irrinunciabili sono il mais e la melassa, ingredienti principali della razione che i padroni concedevano agli schiavi una volta a settimana. 

GumboGumbo
OkraOkra

Tra le particolarità del soul food spicca l'introduzione del gusto dolce nei piatti salati, una novità per la cucina americana, che fino ad allora lo riservava quasi esclusivamente ai dessert. Piatti come il cornbread o la salsa barbecue hanno portato in tavola un equilibrio inedito tra sapori. Quest’ultima in particolare venne creata per dare sapore ai tagli di carne poco pregiati. L’influenza afroamericana è evidente anche nei capisaldi della cultura americana odierna, come il barbecue, la cui tradizione, originata dai nativi americani, si è arricchita con tecniche africane. Durante il periodo della schiavitù, infatti, i proprietari bianchi lasciavano il lavoro laborioso di grigliare la carne proprio agli schiavi, che quindi furono in grado di affinarne le tecniche e farle proprie. Questi sapori e tecniche si sono poi diffusi e radicati nella cucina americana grazie al diffondersi delle comunità nere in tutto il paese, in quella che viene ricordata come la Grande Migrazione.

Tra i 1910 e il 1970 circa sette milioni di afroamericani migrarono dagli stati del sud verso quelli del nord, mid-west e ovest. I motivi che spinsero queste persone a lasciare i propri luoghi di appartenenza in favore delle città industriali del nord sono legati alla ricerca di lavoro e alla volontà di dare una migliore istruzione ai propri figli, ma soprattutto alla segregazione razziale. Questo spostamento portò alla diffusione del soul food nelle aree urbane, mantenendo viva la connessione con il Sud.

Southern Fried ChickenSouthern Fried Chicken

Gli inizi della migrazione furono anche il periodo in cui la cucina afroamericana sentì il bisogno di definirsi, e così il primo uso del termine “soul food” apparve nelle memorie di Thomas L. Johnson, un ex schiavo delle piantagioni. Il termine divenne poi popolare negli anni Sessanta, quando il movimento Black Power promosse l’identità culturale afroamericana. Per la verità la parola “soul” non era del tutto estranea alla cultura nera, si era infatti già affermata per descrivere altri aspetti della cultura afro-americana, come la musica, diventando simbolo di appartenenza e orgoglio.

Durante il movimento per i diritti civili, i ristoranti di soul food divennero luoghi di incontro per leader e attivisti come Martin Luther King e Malcolm X, e da altri leader del movimento Black Power, che vi si riunivano per pianificare strategie di difesa in risposta alle leggi Jim Crow, nate per segregare i neri dai bianchi, imponendo una divisione nei servizi pubblici, nelle scuole e perfino nei ristoranti. 

Tra i ristoranti simbolo della comunità vi fu il Sylvia’s di Harlem, aperto da Sylvia Woods nel 1962. Sylvia, nota come la “regina del soul food”, trasformò il suo locale in un punto di riferimento per afroamericani, contribuendo a diffondere la cultura del soul food a livello internazionale. 

Oggi la cucina Soul viene celebrata in tutto il paese durante il Juneteenth, la festa indetta per l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti. In questa occasione, le famiglie afroamericane si riuniscono per preparare tutti i piatti tradizionali che gli ricordano i propri antenati che, nonostante le grandi sofferenze, diedero vita ad una delle cucine più gustose mai create.  

Oggi celebrità e chef afroamericani hanno elevato questa cucina, facendola conoscere in tutto il mondo e aggiungendo innovazione al fine di valorizzare ancora di più le radici africane e afroamericane di questa straordinaria eredità. Il soul food è così diventato più di un topo di cucina: è un modo di tramandare storie, di ricordare le difficoltà e di celebrare la resilienza di un popolo. 

a cura di

Federico Panetta

Varesotto di origine, è come una biglia nel flipper dell'enogastronomia. Dopo la formazione alberghiera lavora in cucina e si laurea in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma. Oggi si occupa di comunicazione gastronomica collaborando con diverse riviste di settore.
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