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Temporary wine e Komb(w)ine

13/05/2025

Temporary wine e Komb(w)ine

Avevamo conosciuto l’enologo Andrea Moser due anni fa, quando non aveva ancora intrapreso il progetto da solista, che riporta le sue iniziali - AMProject.

All’epoca ne avevamo apprezzato la visione schietta e pragmatica, abbinata a una lettura lunga che guarda al presente e al domani, del mondo del vino e del rapporto tra uomo e produzione.
Oggi lo ritroviamo con due capitoli maturi e decisamente innovativi: i Temporary wine e Komb(w)ine. Vale la pena esplorarli non solo per la qualità delle referenze, già introdotte in alcune attività di ristorazione, ma soprattutto perché la matrice è la stessa di due anni fa: un’analisi critica e consapevole di cosa mettiamo - e metteremo - nel bicchiere.

 

C’è un altro modo di far parlare il territorio

In quale direzione è andata la narrazione del vino in questi anni?
Non possiamo parlarne in termini assoluti, perché l’eterogeneità sta caratterizzando questo settore… ma guardiamo alle prose più diffuse.
Dilagano le aziende che poggiano su una lunga storia familiare, legata al territorio e alle tradizioni; si tratta di indirizzi solitamente muniti di cantine accoglienti, organizzate, che hanno tradotto un’attività familiare in un’impresa a tutto tondo.
In risposta alle sopracitate, sono germogliate (a volte senza che sussistessero le condizioni ideali di viticoltura, altre invece si sono distinte per qualità, originalità e coerenza) realtà più piccole, condotte da vignaioli con l’approccio rivoluzionario, con la tendenza a produrre poco, a riscoprire vitigni locali e a muoversi in lungo e in largo per raccontare di sé.
E se dietro a una bottiglia non ci fosse uno stabilimento di proprietà e nemmeno un piccolo garage d’arrangio per iniziare con le prime fermentazioni? E se i vini fossero l’esito di una collaborazione tra più figure e cambiassero ad ogni annata?
E, ancora: se questi vini, senza un’apparente connessione tra il produttore e il territorio fossero comunque capaci di esprimere una zona vitivinicola?

Temporary wine e Komb(w)ine

Temporary Wine

Andrea Moser lancia sul tavolo questa provocazione con il progetto Temporary Wine.

“È una sfida. Avevo il desiderio di rompere con l'idea tradizionale di enologia e di dare vita a vini provenienti da diversi territori. I Temporary wine di AMProject sono vini prodotti in quantità limitate senza che vi siano ‘solidità convenzionali’ alla base, come una cantina e una vigna di proprietà. Sono il frutto del dialogo con le persone e di un lavoro attento, ma non massivo, in cantina, e prima ancora in vigna. Quello che facciamo è adattare metodi, tecniche e strumenti a seconda del caso e in modo specifico”.
Insomma un progetto che si sottrae all’aura romantica che avvolge il mondo del vino, raccontando un modo di agire diverso, che poggia sulla tecnica, solo dove è necessaria.

C’è un termine, a proposito di narrazioni e lessici contemporanei, che è rimbalzato a destra e a sinistra negli ultimi tempi, a volte per giustificare bottiglie imbevibili (con volatili fuori dai ranghi), altre volte per confermare la bravura di alcuni produttori. Ce l’avrete in nota: il non interventismo.
“Anche in enologia devi sapere quello che non fai. Mi spiego: per scegliere di non intervenire devi sapere cosa significa intervenire. Il segreto non è abbandonare la tecnica ma conoscerla a fondo per capire quando e in che misura deve essere adottata. Come faccio ad ottenere delle uve sane, e quindi un vino auspicabilmente buono, se non so come prevenire alcune complicazioni, per esempio sul piano fitosanitario? Con i Temporary wine proponiamo un approccio che limita allo stretto necessario gli interventi dell’uomo ma senza lasciare che la natura decida tutto per sé. Non dimentichiamoci che l’uva è un prodotto della natura ma il vino non lo è” rimarca Andrea.

Temporary wine e Komb(w)ine
Temporary wine e Komb(w)ine

C’è un altro modo enologico di fotografare il tempo
Gli altri tratti che caratterizzano i vini AMProject sono l’unicità e l’irripetibilità.
“Avevo l’esigenza di fotografare cosa rappresentano le uve in un preciso momento storico. Questi vini sono la rappresentazione di una sola annata e non il frutto di una stratificazione di interventi atti a uniformare le annate. Tante aziende puntano a rendere simili le produzioni tra un annata e l’altra per essere riconoscibili e per dimostrare una certa coerenza produttiva. Quello che conta per noi è valorizzare l’espressività di quel momento. In questo periodo storico, segnato da condizioni climatiche che cambiano repentinamente, mi sembra sensato fotografare quell’intervallo temporale  e metterlo in bottiglia”.
Le fotografie che possiamo degustare oggi, firmate AMProject, sono Fly e Run: due vini gemelli ma dalle personalità profondamente diverse, usciti nel mese di aprile.

“Si tratta di un pinot bianco e di un pinot nero che affondano le radici nella stessa vigna, affacciata al lago di Caldaro, esposta a est, a 500 metri d’altitudine”.
Le loro diversità sono evidenti all’assaggio. Andrea li descrive con accortezza.
“Fly, inizialmente, puro e immediato, si rivela via via più profondo, con picchi acidi e salini. Run invece riempie la bocca al primo sorso, poi scivola via esprimendo sentori aromatici mediterranei. In questa diversità c’è il fine di questo progetto”.


Kombucha? Non diffidate, capite
Scardinare certe abitudini a tavola è un’impresa, ne abbiamo parlato ormai innumerevoli volte. Ma i dati e il percepito stanno facendo emergere in modo chiaro un cambiamento profondo nel consumo del vino, evidenziando un ridimensionamento della sua presenza sulle nostre tavole. È una nuova tendenza destinata a cementificare? Quale sarà l’assestamento in futuro? Le ultime generazioni come si comportano?
Abbiamo avuto modo di parlare anche di questo con Andrea. Proprio in questi giorni sta consegnando le prime bottiglie di Komb(w)ine, una kombucha nata dalla collaborazione con Ettore Ravizza, co-founder di Legend Kombucha.
Komb(w)ine, lo anticipa il nome, è ottenuta dalla combinazione tra un mosto monovarietale e lo scoby (coltura simbiotica composta da batteri e lieviti che avvia la fermentazione, come ormai molti di voi conosceranno) sfruttando lo zucchero naturalmente presente nel mosto. Ne esce una bevanda nuova, senza alcol e senza zuccheri, in cui dialogano le caratteristiche del vino a quelle della kombucha.
“Da diversi anni produco kombucha per i miei figli e questo ha stimolato in me molti interrogativi. Il primo: da dove proviene lo zucchero necessario alla produzione? Da qui l’idea di utilizzare il mosto. Ora è diventato un prodotto che stiamo immettendo sul mercato e abbiamo già degli ottimi riscontri”.

I ristoratori stanno in buona parte rispondendo con curiosità anche se il cambio di approccio non è immediato. Lo diciamo sempre: il vero problema sta in chi ignora il cambiamento. Non carpire quali sono i nuovi codici attitudinali nei tempi giusti significa perdere un’opportunità… non significa essere resilienti!


Quale sarà il punto di equilibrio tra il vino e no alcol sulle nostre tavole? Lo chiediamo ad Andrea Moser.
“Questa crisi del settore enologico farà sempre più male. I tempi sembrano anche piuttosto rapidi, perché la velocità condiziona anche queste dinamiche, accelerando passaggi che in passato sarebbero avvenuti più lentamente. Ipotizzo che scompariranno molti ettari vitati, soprattutto nelle zone non vocate, mentre resisteranno le produzioni nelle aree che hanno un senso d’essere. Ci sarà ancora una buona fetta di produzione occupata dal vino industriale, immagino. E poi… poi ci sarà il no alcol. Quale? Questo è un capitolo tutto da scrivere. Quello che sostengo, da sempre, è che il vino dealcolato è assurdo. Impiegare energia per poi sottrarla allo stesso prodotto è un controsenso. Siamo in un’era in cui cerchiamo di ottimizzare le risorse, serve aggiungere altro?”.


Cosa possiamo augurarci, da amanti del vino e di tutto ciò che questo rappresenta per la nostra cultura?
A questo rispondiamo noi: ci auguriamo che si affermino a gran voce le produzioni meritevoli, contrassegnate da coscienza, attenzione, cura e rispetto del territorio. E che ci siano progetti che si interrogano con lucidità e visione, come quelli che vi abbiamo riportato nelle prime righe. Mentre, per quanto riguarda il no alcol, tema che avremo modo di approfondire in altre uscite, vogliamo schierarci dalla parte della consapevolezza: non diffidiamo, capiamo… per poter scegliere.

 

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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