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Volersi bene

Volersi bene

Tra qualche pagina leggerete di un indirizzo della Val Pusteria, aderente ad Amodo, la rete dei ristoranti etici. È la solida insegna dei fratelli Baumgartner, il ristorante Schöneck a Molini, a Falzes, in provincia di Bolzano. Mentre discutevamo con Karl, che da trent’anni si occupa della cucina, del valore del territorio, ci siamo ritrovati a parlare di quotidianità e buone (o cattive) abitudini. Karl se ne tiene stretta una, nonostante i ritmi sempre piuttosto serrati dettati dalla vita del ristoratore e del cuoco: andare in passeggiata al mattino. 
“Ci vado sempre. Con me viene anche un collaboratore di cucina. A volte si unisce anche qualcun altro; mia moglie, mio fratello, chi ne ha voglia. È un momento irrinunciabile: se prendi aria fresca, se stai a contatto con la natura, stai bene. Passeggiare nei boschi aiuta il corpo e la mente. Questo significa lavorare anche meglio. Ma lasciamo in secondo piano il lavoro, per una volta: è la salute quella che conta”.
Ci ha colpiti. Ora, non è così diffuso che fuori dalla porta del ristorante in cui si lavora vi siano stuoli di abete rosso, pino cembro, conifere e larici, come quelli in cui può contare Karl, ma il perno del discorso è un altro, e non è ambientale. È in coda, sebbene sia primario: è la salute di chi fa questo mestiere.
 

Quel che ancora succede
Sono molte le serie televisive che in questi anni hanno immortalato cuochi e pizzaioli a passeggio in contesti naturali, investiti da una calma (a volte sorprendente… pardon, surreale) e da parentesi meditative bucoliche, a cui si stenta a credere.
A guardare bene, dentro le cucine, tra i corridoi che mettono in comunicazione la sala e il pass, la situazione è quasi sempre parecchio lontana da questi ritratti mediatici: il tempo per sé è prosciugato dagli impegni legati alla preparazione della linea, in cucina, o della sala, per chi si occupa di accoglienza; la tensione è un filo costante su cui si muovono gli equilibri e gli umori di tutti, fonte di ansia e stress che si deposita sotto pelle; i momenti di stop sono associati al briefing o al riassetto; quando si mangia, se si mangia, è più un atto meramente nutritivo che un momento di piacere e condivisione.
A proposito di quest’ultimo, su cui più volte ci siamo fermati a riflettere: sono tantissime le attività di ristorazione in cui ancora oggi il pasto del personale è un ritaglio di minuti nella moltitudine delle pratiche da sbrigare. Una fettina di tempo che viene condizionata dal retro pensiero di qualcosa che non si ha ancora portato a termine nella tabella di marcia, come il controllo del numero di porzioni ancora disponibili, la preparazione da ultimare, il check della mise en place.
Abbiamo elencato, finora, dinamiche sommariamente accettabili ma in giro si intercettano ancora situazioni disastrose: personale che non mangia o mangia più o meno sempre lo stesso cibo, con la tendenza a trovare nel piatto carboidrati perché hanno potere riempitivo (a prezzi contenuti).
Per non parlare del mito, non ancora estinto, del cuoco che, finito il servizio, si ingoia a notte inoltrata un kebab o una pizza in piedi, riversando in quei morsi tutta la carica emotiva della giornata lavorativa. Più che un mito è un’abitudine che si perpetua ancora, generando problemi alimentari, e di salute, considerevoli.
Se state pensando “no, non più nel mio locale” è un traguardo di cui dovreste essere fieri… ma non estendetelo alla totalità del settore: ci sono ancora tante modalità di lavoro sbagliate che circolano nei nostri ristoranti condizionando l’appetibilità dell’intero comparto e, cosa ancora più importante, la salute psico-fisica delle persone.
È un lavoro lungo, quello di rifondare la percezione della vita del cuoco, del personale di sala e del ristoratore, ma è portando esempi positivi che si consolida un modo nuovo di organizzare la vita professionale, o la vita e basta, di chi si prende cura degli altri quando siedono a tavola.
 

Volersi bene

La gestione (anche) delle piccole cose
È nella preziosa lizza degli esempi positivi il metodo adottato da Paca, noto ristorante di Prato,  inaugurato diversi anni fa da Niccolò e Gabriele Palumbo insieme a Lorenzo Catucci. Ce lo racconta Niccolò, che con il fratello Gabriele conduce la cucina.
“Ci siamo imposti delle regole per consentire a noi e a tutti i dipendenti di vivere, anzi di vivere bene, dentro e fuori al ristorante. La prima regola è il giorno di chiusura fissato alla domenica, oltre che al lunedì. La domenica è un momento di famiglia, di ritrovo, di festa; avere tutta la domenica libera significa dare a chi lavora con te la possibilità di condurre una vita normale, in cui non ci si negano le ricorrenze, i momenti solitamente importanti. Non ci si ritrova a dover compiere commissioni e a sciupare la giornata di reale riposo con altre incombenze… intendo anche per noi che gestiamo! Per lo stesso motivo abbiamo scelto di non ricevere prenotazioni per eventi alla domenica, è un giorno di riposo intoccabile”.
Negli ultimi anni sono diversi i locali che stanno adottando questa strada. Non da ultimo Giancarlo Perbellini, che al 12 Apostoli ha deciso di chiudere le prenotazioni persino per il sabato.
“Questo per noi è un tassello importante, naturalmente, ma non basta per definire la qualità della vita. C’è tutta la settimana da gestire” - continua Niccolò.
“Il settore della ristorazione è molto estraneo ai normali contratti di lavoro. Noi invece rispettiamo il contratto nazionale di lavoro, che prevede le otto ore giornaliere per i nostri dipendenti. Cosa comporta l’attenersi a questi orari? Il ristorante è aperto a pranzo solo nelle giornate di venerdì e sabato, gli altri giorni solo la sera. Inoltre stiamo introducendo anche il sabato sera libero a turno, al momento per chi lavora in cucina, sempre nell’ottica di normalizzare la vita di chi fa parte della squadra Paca”.
Un tema, dicevamo, che è stato per anni sottovalutato dagli imprenditori della ristorazione e dagli stessi dipendenti è quello del pasto.
Al pasto dedichiamo un’ora, dalle 6 alle 7, prima del servizio. Cuciniamo a turno, me compreso. Ci teniamo che non sia il classico momento di riunione, in cui si parla di lavoro. Prima o dopo sì, ma quella finestra temporale deve essere dedicata ad altri temi, che aiutino a liberare la mente di chi prende parte al tavolo”.
Se di Karl Baumgartner ci aveva colpiti la parola “salute”, rimettendo in fila quanto detto da Niccolò ci siamo trovati a cerchiare in rosso il termine serenità.
“Sì, serenità! Per noi lavorare insieme significa vivere un ambiente sano ed equilibrato, in cui si respira tranquillità. Anche l’errore dev’essere percepito come un’incombenza possibile, ma funzionale alla crescita e al miglioramento, non ad un atto da colpevolizzare duramente… altrimenti si genera un’ansia intollerabile in chi lavora con noi”.
Proprio mentre stiamo per salutarci Niccolò ci racconta un appuntamento con i suoi ragazzi, un pic nic estivo fissato per il fine settimana successivo. E l’immagine, che già abbiamo incontrato in altre attività di ristorazione, è forse la più bella che ci si possa auspicare: tutta la squadra che fa qualcosa insieme senza che ci sia un secondo fine. No, non si tratta di team building, è un termine inadatto. È l’esigenza di convivialità di un gruppo di persone.
“È un momento che non forziamo, così come non forziamo le altre attività che facciamo insieme nel corso dell’anno. Sono occasioni spontanee, di gruppo e condivisione, che ci fanno stare semplicemente bene”.

Niccolò PalumboNiccolò Palumbo
Il personale di Paca in esternaIl personale di Paca in esterna

Una postcard dalle Egadi
Quel “semplicemente bene”, rimarcato da Niccolò Palumbo, ci ha catapultati in un’altra scena, questa volta intercettata in un’isola delle Egadi, in un primo pomeriggio di metà maggio. Dalla cucina a vista di un localino sul mare si levava un gran bel profumo di sugo, quello a cui non resisteresti neanche a piena sazietà, tanto è invitante. Dietro al  grande padellone armeggiava, con il sorriso stampato sul viso, un cuoco in tenuta borghese. Davanti a lui, una lunga tavola apparecchiata con una dozzina di posti a sedere. Tutto lasciava intuire che si trattasse di un evento speciale; un pranzo riservato a pochi, forse il pit-stop di un gruppo di turisti. Ma poco dopo ecco la sorpresa: a prendere posto furono tutti i membri dello staff, dal responsabile di cassa al cameriere, ma anche chi svolgeva lavori più marginali in spiaggia. Si sedettero tutti in simultanea, nessuno in ritardo, aspettandosi per iniziare; ammirarli in quel momento di comunità semplice, ma essenziale, avrebbe fatto venir voglia a chiunque di entrare a far parte della squadra (oltre che di godere del lauto banchetto!). “È il nostro modo di vivere bene” fece la proprietaria non appena le feci notare la bellezza di quella ‘cartolina’ atipica. Sì, perché in Italia si incontrano sicuramente tante altre situazioni analoghe… ma ammirare quel senso di benessere e rilassatezza nell’ambiente di lavoro non capita tutti i giorni!
 

La coerenza è preziosa (ed educa)
Decisamente meno incoraggianti sono altre situazioni che s’incontrano in giro, come dicevamo qualche riga sopra. Ma oltre a guardare le dinamiche macroscopiche, guardiamo anche ai dettagli che, sì, fanno la differenza. Uno in particolare: la coerenza tra ciò che si offre al cliente di un locale e ciò che si mette a disposizione del personale. Gli esempi sono tantissimi ma ne suggerisco uno, intravisto in un’insegna attenta - nella teoria, o di facciata, a quanto pare - alle scelte degli imballi, del tovagliato, del vetro, e alla qualità materie prime e dei prodotti in genere. Ricordando benissimo che in quel ristorante al commensale viene proposta una originale carta delle acque, noto con stupore, costeggiando il locale dopo il sevizio del pranzo, che sulla tavola pronta per il personale sono posizionate delle bottiglie d’acqua da mezzo litro in plastica.
È un esempio a cui potrebbero farne seguito molti, moltissimi altri, e se avete a che fare con la ristorazione, o ci avete lavorato in passato, sapete a cosa mi riferisco. L’invito è quello di riflettere: volersi bene e voler bene a chi lavora con te passa anche per la coerenza del linguaggio, delle scelte, delle abitudini. Non è tempo sciupato, è un valore da custodire.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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