La gestione (anche) delle piccole cose
È nella preziosa lizza degli esempi positivi il metodo adottato da Paca, noto ristorante di Prato, inaugurato diversi anni fa da Niccolò e Gabriele Palumbo insieme a Lorenzo Catucci. Ce lo racconta Niccolò, che con il fratello Gabriele conduce la cucina.
“Ci siamo imposti delle regole per consentire a noi e a tutti i dipendenti di vivere, anzi di vivere bene, dentro e fuori al ristorante. La prima regola è il giorno di chiusura fissato alla domenica, oltre che al lunedì. La domenica è un momento di famiglia, di ritrovo, di festa; avere tutta la domenica libera significa dare a chi lavora con te la possibilità di condurre una vita normale, in cui non ci si negano le ricorrenze, i momenti solitamente importanti. Non ci si ritrova a dover compiere commissioni e a sciupare la giornata di reale riposo con altre incombenze… intendo anche per noi che gestiamo! Per lo stesso motivo abbiamo scelto di non ricevere prenotazioni per eventi alla domenica, è un giorno di riposo intoccabile”.
Negli ultimi anni sono diversi i locali che stanno adottando questa strada. Non da ultimo Giancarlo Perbellini, che al 12 Apostoli ha deciso di chiudere le prenotazioni persino per il sabato.
“Questo per noi è un tassello importante, naturalmente, ma non basta per definire la qualità della vita. C’è tutta la settimana da gestire” - continua Niccolò.
“Il settore della ristorazione è molto estraneo ai normali contratti di lavoro. Noi invece rispettiamo il contratto nazionale di lavoro, che prevede le otto ore giornaliere per i nostri dipendenti. Cosa comporta l’attenersi a questi orari? Il ristorante è aperto a pranzo solo nelle giornate di venerdì e sabato, gli altri giorni solo la sera. Inoltre stiamo introducendo anche il sabato sera libero a turno, al momento per chi lavora in cucina, sempre nell’ottica di normalizzare la vita di chi fa parte della squadra Paca”.
Un tema, dicevamo, che è stato per anni sottovalutato dagli imprenditori della ristorazione e dagli stessi dipendenti è quello del pasto.
“Al pasto dedichiamo un’ora, dalle 6 alle 7, prima del servizio. Cuciniamo a turno, me compreso. Ci teniamo che non sia il classico momento di riunione, in cui si parla di lavoro. Prima o dopo sì, ma quella finestra temporale deve essere dedicata ad altri temi, che aiutino a liberare la mente di chi prende parte al tavolo”.
Se di Karl Baumgartner ci aveva colpiti la parola “salute”, rimettendo in fila quanto detto da Niccolò ci siamo trovati a cerchiare in rosso il termine serenità.
“Sì, serenità! Per noi lavorare insieme significa vivere un ambiente sano ed equilibrato, in cui si respira tranquillità. Anche l’errore dev’essere percepito come un’incombenza possibile, ma funzionale alla crescita e al miglioramento, non ad un atto da colpevolizzare duramente… altrimenti si genera un’ansia intollerabile in chi lavora con noi”.
Proprio mentre stiamo per salutarci Niccolò ci racconta un appuntamento con i suoi ragazzi, un pic nic estivo fissato per il fine settimana successivo. E l’immagine, che già abbiamo incontrato in altre attività di ristorazione, è forse la più bella che ci si possa auspicare: tutta la squadra che fa qualcosa insieme senza che ci sia un secondo fine. No, non si tratta di team building, è un termine inadatto. È l’esigenza di convivialità di un gruppo di persone.
“È un momento che non forziamo, così come non forziamo le altre attività che facciamo insieme nel corso dell’anno. Sono occasioni spontanee, di gruppo e condivisione, che ci fanno stare semplicemente bene”.