Si chiude la 45esima edizione di Vinitaly ed è tempo di bilanci.
Positivi per quanto riguarda i numeri della manifestazione, che vedono un incremento di visitatori, attestati intorno ai 156.000. Di questi, oltre 48.000 di presenze straniere (+3% esteri sul 2010), prime fra tutte quelle di nazionalità tedesca, statunitense, canadese, inglese, svizzera, francese, austriaca, est europea, russa e cinese e coreana. Stupisce la presenza dei buyer nipponici, nonostante i drammatici eventi che hanno colpito il Giappone, ma che dà l’idea dell’internazionalità di questo evento e del suo trend di crescita inarrestabile.
Meno positivi dal punto di vista dei consumi, fotografati e commentati nel corso di convegni e di tavole rotonde presentate nel corso della manifestazione. Primo fra tutti quello che, a fronte di un rafforzamento dell’export per il vino Made in Italy, con una crescita del +7,8% sia sui mercati dell’Unione Europea (+1,4%) che su quello statunitense (+12,5%), dove l’Italia conquista il primato rispetto a Francia e Australia, si verifica un trend al ribasso dei consumi interni, che nel 2010 per la prima volta sono scesi sotto la soglia dei 40 litri, contro i 43 del 2009, i 45 del 2007 e i circa 120 litri degli anni Settanta.
Ma cosa sarà successo agli italiani? In pratica, si è passati a mezzo bicchiere a testa di vino contro i due bicchieri consumati negli anni Settanta.
Le risposte provengono proprio dal mondo del vino, a cominciare dai produttori per arrivare alle figure istituzionali che operano in questo settore.
La logica dell’industria enologia potrebbe essere quella di preoccuparsi di vendere, non importa se qui in Italia o nel resto del mondo, ma invece è unanimemente condiviso il riconoscimento di valore di entrambi i mercati, quello interno e quello dell’export.
Ciò premesso, resta da analizzare il perché di questa flessione dei consumi.
Gli esperti sono tutti più o meno d’accordo nel riconoscere la concomitanza di numerosi fattori, quali i cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi anni che hanno visto mutare le occasioni di consumo, i fattori dietetici, l’aumento delle percentuali di immigrati non consumatori, le nuove limitazioni alcolemiche che hanno fatto scendere drasticamente i consumi pro capite di vino.
C’è tutto questo ma non c’è solo tutto questo.
Al convegno del Vinitaly, “Ma gli italiani amano ancora il vino?” è emerso, tra le tante problematiche e dinamiche, che gli italiani ammettono di non conoscere il vino. La metà del panel intervistato si giudica in materia totalmente incompetente e si affida alla marca nella scelta di acquisto.
Dice bene Veronika Crecelius, giornalista tedesca corrispondente in Italia della rivista Weinwirtschaft, quando attribuisce il calo del consumo del vino al cambiamento demografico.
“Gli anziani bevono meno, i giovani di oggi non sono appassionati e bevono altre cose, l'euforia dopo il risveglio del settore e la ‘rivoluzione qualitativa’ si è spenta con gli anni e poi gli italiani non sentono ancora la ripresa economica. Il giovane fa fatica a orientarsi adesso che nelle case non c'è più quel legame naturale con il vino che esisteva fino a pochi anni fa in ogni famiglia italiana. La pubblicità non sa attrarre i ventenni, non è "cool", troppo tradizionale oppure evocativa di un lifestyle che piaceva negli anni ‘90”.
La comunicazione, quindi, ha qualche responsabilità in questa vicenda. Il mondo del vino ha continuato a coltivare il pubblico degli eno - appassionati, facendo parlare troppo gli enologi e i critici, abbandonando al loro destino le nuove generazioni che sono le più sensibili alla pubblicità e alla comunicazione.
Al convegno del Vinitaly, è emerso anche che i produttori di vino italiano hanno saputo e sanno individuare l’evoluzione del gusto del consumatore andando incontro ai cambiamenti della nostra società, ma non hanno saputo “avvisarlo” comunicando il prodotto mediante un linguaggio appropriato alle donne e alle giovani generazioni.
Insomma, forse per paura di banalizzare un prodotto che è costato tanta fatica costruire, hanno compiuto un errore di comunicazione, optando per un registro linguistico comprensibile solo dagli esperti e agli addetti ai lavori.
Bene, si tratterà ora di rimboccarsi le maniche e di correggere il tiro. Del resto, sbagliando s’impara.
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