Ora lo dice anche Fipe , il sindacato dei pubblici esercizi ha mostrato un segnale di insofferenza e finalmente ha capito che “il buono pasto non è più buono” e va trovata una soluzione se non proprio una alternativa. Ce n'é voluto di tempo per ammetterlo e meno male se la federazione che sindacalmente dovrebbe tutelare gli interessi dei pubblici esercizi è arrivata ad aprire gli occhi su un sistema che fa acqua da tutte le parti. Fipe ha impiegato a dir poco anni per maturare la convinzione che il “meccanismo” dei buoni pasto era ed è totalmente fuori da ogni logica commerciale, per non dire anche di normale legalità. Nelle gare d’appalto la leva del massimo ribasso ha eroso i margini minimi per garantire una qualità nel servizio accettabile. Il buono pasto è stato dequalificato come sistema di utilizzo: il principio di scopo per cui era stato introdotto è stato via via snaturato fino a diventare un “buono” per ottenere tutto all’infuori di un servizio mensa.
Ma adesso che la misura è colma, fra ribassi, costi di commissioni, ritardi nei pagamenti, spese di servizi e gestioni, l’esercente non ne può più e recentemente l’ha detto chiaramente. E’ praticamente stato azzerato qualsiasi beneficio economico e tutti all’infuori dei soggetti appaltanti, nessuno ha più interesse a lavorare con questa tipologia di buoni pasto.
Da tempo e da più parti si suggerisce di abbandonare questo sistema obsoleto del buono cartaceo e di passare ai sistemi telematici con carte magnetiche personalizzate e dotare gli esercizi pubblici di pos. Non sarebbe soltanto più qualificato il servizio, ma soprattutto verrebbe tracciato il sistema. Che dire, gli interessi dietro a questa fetta di mercato stimata in 2,5 miliardi di euro sono ancora troppi e i soggetti che ancora beneficiano del “ giro” dei buoni di fatto hanno tenuto a tacere fino ad ora migliaia di esercenti , ma quanto durerà? Possono bastare anche se in ritardo le lamentele di Fipe?
Roberto Martinelli