Nell’annoso e complesso tunnel dei buoni pasto, grazie alle ripetute richieste sollecitate dagli organi istituzionali e alle proteste sia da parte delle associazioni consumatori, che lamentano un valore dei buoni tra i più bassi in Europa, sia dagli operatori del settore costretti a commissioni troppo alte e a pagamenti troppo lunghi, forse si sta cominciando a vedere un po’ di luce.
Prima, il freno allo strapotere delle aziende emettitrici dei buoni pasto dello scorso novembre da parte dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici. Quest’ultima ha infatti stabilito che le società emettitrici partecipanti ai bandi d’appaltodevono fissare tempi di pagamento e commissione massima certi, senza nessun costo aggiuntivo.
Oggi arriva una nuova presa di posizione in favore dell’aumento del valore detassabile del «buono pasto» da parte della Cobes, il nuovo organo di Confindustria che rappresenta buona parte delle aziende italiane del settore.
La questione ha un forte impatto sociale, considerando che ogni giorno pranzano fuori casa col buono pasto oltre 2,5 milioni di lavoratori dipendenti di enti pubblici ed aziende.
Aumentare il valore detassabile del buono pasto, oggi fermo a 5,29 euro, contro i 9 euro della Spagna, dei 7 della Francia e dei 6 euro della Turchia, significherebbe aumentare il potere d'acquisto dei dipendenti delle aziende italiane.
“L’innalzamento della quota di esenzione non è un costo” sostiene il presidente di Cobes Arrigoni “ ma costituisce un incentivo alla crescita ed uno strumento di equità intelligente ed efficace poiché tutela il potere d’acquisto delle famiglie dal momento che incide significativamente sul salario reale dei dipendenti e comporta costi minori per imprese e PA rispetto ad altri strumenti. Infine, continua Arrigoni, mette quasi tutti d’accordo e, fatto non da poco, è rapidamente realizzabile”.
Mettere a segno anche questo obiettivo sarebbe un ulteriore passo avanti nelle complesse storture del sistema dei buoni pasto. Tra queste, ancora totalmente irrisolta, l’accumulo del valore del buono o la conversione in denaro per fare la spesa nei supermercati o nelle gastronomie convenzionate sia da parte dei consumatori, sia ahimè, di esercenti che utilizzano i buoni per rifornirsi di prodotti.